di Giulietto Chiesa (Sputnik)
Qui le norme introdotte, invece di favorire la concorrenza (e quindi alzare le entrate dello Stato), favoriscono gli attuali monopolisti della comunicazione. Cioè Mediaset (Elettronica industriale), Persìdera (70% Telecom Italia, 30% Gruppo Gedi), la RAI. In altri termini, invece di organizzare un’asta al rialzo, che li costringa a competere e permetta l’ingresso di altri acquirenti potenziali e produca maggiori entrate allo Stato, il governo (il ministero dello sviluppo economico) indice una gara in cui vincerà chi offre il prezzo più alto rispetto a quello fissato in partenza. Siccome non siamo nati ieri e sappiamo di essere di fronte a una banda di pescecani bene organizzati, capaci di ungere ruote e di mettersi d’accordo nel loro interesse comune (che non è quello pubblico) per dividersi la torta pagando il meno possibile, dunque, siccome sappiamo tutto questo, la prima domanda che sorge è questa: chi decide il prezzo di partenza? Sotto quali pressioni e spinte? Sotto quali “unzioni”?
Dalle cose fin qui dette si capisce subito che il prezzo di partenza sarà tranquillizzante, cioè basso. Si tratta di “garantire la continuità del servizio”; di valorizzare le esperienze maturate”; “tenere conto dei contenuti diffusi”. Tutto detto nella neo-lingua, “molto responsabile”, per “difendere l’occupazione. In sostanza queste fughe di notizie servino per far capire che chi già occupa le frequenze se le potrà tenere….
Un’occhiata ai costi. Attualmente un multiplex viene pagato dal concessionario circa 1,5 milioni di euro all’anno. Chi ne ha cinque spende dunque 7,5 milioni l’anno. Il cambio che sta per avvenire e di cui si discute ora — appunto il passaggio alla seconda generazione, la cosiddetta “banda 700” — illustra il tipo di regalo che i governi passati hanno fatto ai privati in questi decenni. Gli operatori telefonici (Vodafone, Telecom etc,) che occuperanno le nuove connessioni 5G hanno sborsato complessivamente oltre 6,5 miliardi di euro per accaparrarsele e ne fruiranno a partire dal 2022. Cioè pagheranno mille volte di più. Ma quanto pagheranno i tre capi-bastone uniti per i multiplex televisivi sarà mille volte di meno.
È già chiaro che le regole le fisserà quel campione di trasparenza che si chiama Agcom (l’autorità, si fa per dire, di garanzia, ultra-lottizzata tra i partiti e i giganti televisivi). I due multiplex di nuovo tipo — che saranno a disposizione per una concessione ventennale, varranno più del doppio, in termini di frequenze, di quelli attuali. E verranno suddivisi in quattro lotti. Già si indicano i criteri di “lottizzazione” in modo tale che i tre non si pestino i piedi l’un con l’altro. In modo che la torta venga suddivisa in parti uguali.
Tutto questo era scandaloso fino a ieri, con i governi di destra, di centro-destra, di centro-sinistra. Adesso scopriamo che il governo giallo-verde riproduce in fotocopia, per altri venti anni, lo stesso trucco. Qui i ponti non crollano, ma le macerie dell’ignoranza, della manipolazione di massa, dell’abbrutimento altrettanto di massa, che cadranno sui cervelli degli italiani, saranno perfino più micidiali. Mettere sotto processo per inadempienza contrattuale le imprese cui oggi regaliamo i cervelli degli italiani non sarà neppure possibile, per la semplice ragioni che noi non gli chiederemo nessuna garanzia. Faranno quello che hanno sempre fatto, impunemente. E il suicidio intellettuale e morale dell’Italia sarà firmato giallo-verde.
[1] Fino ad oggi c’erano 20 multiplex, di cui 5 dati a Mediaset, 5 a Persìdera, 5 alla RAI, uno a testa alla “7” di Urbano Cairo, a Europea7, a Rete Capri, a Wind 3, a Dfree di Tarak Ben Ammar. Ora ce ne saranno solo due, di multiplex, ma che varranno molto più canali dei multiplex precedenti.
L’articolo La televisione italiana (tutta) resta in mano a chi ce l’ha proviene da Blondet & Friends.