I due corni del dilemma ci paiono lo scarto enorme tra legge formale e sua applicazione, a partire dalla Costituzione materiale che ha ampiamente sostituito quella scritta, e l’accettazione della supremazia del diritto dell’Unione Europea sulla legislazione nazionale. A latere, si consolida il potere di varie burocrazie in grado non solo di bloccare quanto loro sgradito, ma di orientare la legislazione ed esercitare un potere di fatto che rende debolissime le istituzioni politiche e tiene in scacco i cittadini. I grandi temi si infrangono nella dura lotta di ogni giorno, per cui lo Stato di diritto è un sogno allorché si tratta di ottenere una prestazione sanitaria o un’analisi clinica in tempi ragionevoli, viaggiare sui mezzi pubblici puliti, rispettosi degli orari, dove chi paga il biglietto non è un fesso e dove i prepotenti e i disonesti non sono tollerati, vivere in città dalle quali siano cacciati malviventi domestici e d’importazione.
Lo Stato di diritto diventa facezia che non muove al riso nel caso dei ventimila insegnanti di ruolo tornati precari per una sentenza del Consiglio di Stato, poiché in Italia i gruppi di pressione si organizzano e rendono difficile la vita quotidiana e l’azione legislativa. Nel piccolo, lo Stato di diritto è assente allorché milioni di pensionati devono rendere complesse dichiarazioni periodiche per ottenere detrazioni e richiedere diritti che non valgono una volta per tutte. Diventa vano chiedere legalità, al di là delle pompose liturgie del potere, in una nazione nel quale oltre il 90 per cento dei furti resta impunito e spesso non è neppure denunciato, tanto non ci sarebbero indagini se non in casi clamorosi, con grande gioia di farabutti per i quali vige un particolare ius soli, poiché scelgono volentieri l’Italia come patria di elezione. Di rapine e estorsioni impunite siamo maestri per merito delle mafie che, vergogna nazionale, abbiamo largamente esportato.
Il potere reale, si sa, è esercitato dal denaro. Le vessazioni delle banche sono esperienza di tutti. Sappiamo tutti quanto pesano le spese incomprensibili, le difficoltà opposte spesso al prelevamento e all’uso del proprio denaro, per tacere gli ostacoli per prestiti e mutui, le autentiche vessazioni a carico di chi è in difficoltà, senza che esista un’autorità cui ricorrere, un sistema di difesa contro il potere devastante del denaro che svuota la democrazia.
Ma, avverte Karl Popper, viviamo in una società aperta, la migliore possibile nella storia. Tanto aperta che varie leggi limitano il libero pensiero, in barba all’articolo 21 della Costituzione. Negli ultimi anni la stretta si è fatta più soffocante, toccando temi come la cosiddetta omofobia, il divieto di esprimere preferenze o antipatie, ridefinite in blocco discriminazioni. Un’medico, la dottoressa Silvana De Mari, è processata per aver espresso un’opinione clinica sulla pericolosità di certi rapporti sessuali, ogni riunione pubblica di gruppi sgraditi al sottopotere di fatto è un percorso di guerra burocratico che nega clamorosamente il diritto di “riunirsi pacificamente e senz’armi”, un diritto risalente allo statuto albertino del 1848.
Le scarcerazioni di malavitosi incalliti sono facili e frequenti, e non è colpa di magistrati faciloni se le norme esistono. La libertà personale viene negata a qualcuno, ma lasciata con impudenza a stupratori e spacciatori, fino a una sentenza che ne ha liberato uno in quanto l’attività di spaccio è il mezzo di sussistenza di quel gentiluomo. Sicari professionisti, borseggiatori e truffatori sono avvertiti, specie se stranieri. Lo Stato di diritto, infatti, pare applicarsi con maggiore elasticità ai non italiani. Le carceri sono strapiene, tanto da divenire un inferno non per la severità della legge, ma per i posti limitati, con la conseguenza che si promulgano normative e dettano circolari tese a svuotarle, ma non risulta un piano di costruzione di nuove prigioni per rinchiudervi chi lo merita.
Molte leggi italiane soffrono di un difetto che affligge anche le Costituzione: dicono e non dicono, affermano e contemporaneamente derogano. Spesso rimandano a regolamenti che non vengono emessi o contrastano con la norma, per la gioia degli avvocati che, legittimamente, resistono nei processi e dai processi. L’ipertrofia legislativa unita alla scarsa applicazione pratica deve essere un difetto permanente del nostro popolo, se già Dante scrisse “le leggi son, ma chi pon mano ad esse?” e Alessandro Manzoni citò le grida, ovvero i decreti del tempo dei Promessi Sposi, che nessuno osservava e l’autorità ignorava.
Roberto Pecchioli
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