PolCor

L’indistinzione e l’inversione sessuale, il via libera alle perversioni (la pederastia e la pedofilia sono alle porte), l’omosessualità come valore, la pazzia come valore, la provocazione dell’orrido postmoderno in luogo dell’arte, la globalizzazione oltranzista, la stupidità e l’ignoranza come valore, l’illogico come valore: questo il sabba delle streghe in cui siamo costretti a danzare.
La devastazione del passato, delle scuole e delle università, la parcellizzazione del sapere, lo scientismo ottuso, la lenta pauperizzazione, il dilagare del virtuale in luogo del tangibile, la sparizione dei commerci, l’ecologismo isterico, l’estinzione del lavoro, l’individualismo spacciato per libertà, l’annientamento delle comunità, la sussunzione delle industrie e dell’agricoltura nelle multinazionali: ecco il “progresso”, ecco la “democrazia”: termini nobili e innocenti ormai snaturati sino a incarnarsi nell’opposto della democrazia e del progresso.

http://pauperclass.myblog.it/2017/02/24/il-mondo-al-contrario-alceste/

Allora torniamo a Platone:

  1. E possibile conoscere oggettivamente il Bene.
  2. Solo chi ha un’anima pura è capace di conoscere il
    Bene, e solo dopo molti anni di studio.
  3. Tale istruzione deve presupporre la filosofia, il cui obiet­-
    tivo è appunto la conoscenza del Bene.
  4. Solo chi conosce il Bene (ovvero il filosofo dotato di
    un’anima pura e rigorosamente istruito) merita di go­-
    vernare.

Allo status di filosofo re si accede mediante un lungo lavo­ro di autodominio. Quello del filosofo re è il più importante di tutti i percorsi formativi, e ad esso Piatone dedica parte del VII libro della Repubblica. Il filosofo re è educato fino ai vent’anni come un guerriero. Deve eccellere, proprio come loro, nella ginnastica, nella musica e nella poesia, ma non deve trarre piacere dalla violenza. Nei successivi dieci anni apprenderà l’aritmetica, la geometria e l’astronomia. Se vi riuscirà, a trent’anni sarà pronto per lo studio della dialetti­ca. Infine, ma comunque non prima dei cinquant’anni, potrà essere filosofo re.

Piatone accetta che il filosofo re possa mentire, purché lo faccia per buoni fini e per governare meglio la Città. In que­sta concessione egli dimostra di essere ben consapevole che la società reale non coinciderà mai con la Città delle Idee. La menzogna è uno strumento in più nelle mani del governante giusto, così come lo sono i miti, “nobili bugie”, nelle mani del filosofo. Piatone scrive nella Repubblica che se qualcuno j deve mentire, è proprio chi governa lo Stato: dovrà farlo d fronte ai nemici, o anche agli stessi cittadini, per il bene della comunità. A tutti gli altri invece sarà vietato.

Imparare la virtù

Nel dialogo platonico «Protagora», a Socrate, che non crede che la virtù sia insegnabile, Protagora risponde con un mito grandioso. Gli dei avevano deciso di popolare la terra dei viventi; li plasmarono con la creta e diedero l’incarico a Prometeo ed Epimeteo perché distribuissero loro le facoltà necessarie alla sopravvivenza. Epimeteo, ottenuto che il fratello lo lasciasse fare e venisse a lavoro finito solo per il controllo, cercò di distribuire le facoltà in modo equilibrato: rese poco prolifici quelli a cui aveva dato l’aggressività, grossi quelli a cui mancava l’agilità, diede le ali, la dimora sotterranea o la velocità ai deboli; infine chiamò il fratello perché controllasse l’eccellenza della sua opera. Ma Prometeo vide subito che Epimeteo, da sbadato qual era, aveva lasciato un animale senza facoltà: senza zanne né artigli, nudo, lento, visibile e debole. Quello era l’uomo. Poiché, come Epimeteo l’aveva fatto, l’uomo non sarebbe potuto sopravvivere, Prometeo rubò ad Atena e a Efesto la tecnica e il fuoco e glieli donò: gli uomini avrebbero costruito con le loro mani ciò che Epimeteo si era dimenticato di dare loro – come è noto, Zeus lo punì per questo furto generoso. Nonostante la tecnica e il fuoco, gli uomini mostravano però di non poter sopravvivere: in confronto con le belve feroci, nonostante le loro armi, restavano troppo deboli e venivano divorati l’uno dopo l’altro. Avrebbero dovuto unire le loro forze per fronteggiare i pericoli troppo grandi, ma ogni volta che vi si provavano si trattavano con ingiustizia e tornavano a separarsi. Per impedire la loro estinzione, Zeus si convinse di dover fare loro un altro dono, quello dell’arte politica, per cui apprendessero il pudore e la giustizia, e di doverlo offrire a tutti affinché sapessero vivere insieme. Questo mito, che in modi variati si ripresenta nella cultura successiva, vuole significare che, mentre gli animali hanno nel loro stesso corpo le facoltà che consentono loro di sopravvivere, il corpo dell’uomo gli è inadeguato: Epimeteo è stato avaro con lui, e l’uomo può vivere soltanto con i doni di Prometeo e Zeus. Ma questi doni non sono nella sua corporeità; l’uomo li acquisisce solo se li impara: se impara da un lato la tecnica e il suo prolungamento teorico, dall’altro la rinuncia alla cupidigia naturale e il riconoscimento dell’altro uomo.

estratto da  http://www.appelloalpopolo.it/?p=12765