Che cos'è la Troika

Se ne parla (e ne sentiremo parlare ancora di più in futuro) per indicare i poteri di BCE, FMI, e Consiglio Europeo (che non è il parlamento) come i veri decisori della politica europea; rimandando ai link per i primi due, elenchiamo qui gli attuali componenti della commissione.

Alla conferma della carica, il presidente della Commissione, in accordo con il Consiglio, sceglie i rimanenti commissari sulla base delle nomine proposte da ognuno degli Stati membri. Alla fine l’intera Commissione deve essere approvata dal Parlamento europeo (che ha anche facoltà di porre in essere audizioni per vagliare le candidature dei singoli commissari), per poi essere definitivamente nominata dal Consiglio europeo.

Commissione 2014-2019

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Commissione Juncker.
Commissario Nazionalità Incarico Competenze
Jean-Claude Juncker Lussemburgo Lussemburgo Presidente
Frans Timmermans Paesi Bassi Paesi Bassi Primo vicepresidente Relazioni interistituzionali, diritti fondamentali, cittadinanza e stato di diritto
Federica Mogherini Italia Italia Vicepresidente Affari esteri e politica di sicurezza
Kristalina Georgieva Bulgaria Bulgaria Vicepresidente Programmazione finanziaria, bilancio e risorse umane
Valdis Dombrovskis Lettonia Lettonia Vicepresidente Euro e dialogo sociale
Andrus Ansip Estonia Estonia Vicepresidente Mercato unico digitale
Jyrki Katainen Finlandia Finlandia Vicepresidente Lavoro, crescita, investimenti e competitività
Maroš Šefčovič Slovacchia Slovacchia Vicepresidente Unione energetica
Johannes Hahn Austria Austria Commissario Politica di vicinato e negoziati di allargamento
Marianne Thyssen Belgio Belgio Commissario Occupazione, affari sociali e competenze e mobilità del lavoro
Neven Mimica Croazia Croazia Commissario Cooperazione internazionale e sviluppo
Christos Stylianidis Cipro Cipro Commissario Mercato interno e servizi
Cecilia Malmström Svezia Svezia Commissario Commercio
Margrethe Vestager Danimarca Danimarca Commissario Concorrenza
Pierre Moscovici Francia Francia Commissario Affari economici e monetari, fiscalità e unione doganale
Günther Oettinger Germania Germania Commissario Economia e la società digitali
Dimitris Avramopoulos Grecia Grecia Commissario Migrazioni, affari interni e cittadinanza
Phil Hogan Irlanda Irlanda Commissario Agricultura e sviluppo rurale
Vytenis Andriukaitis Lituania Lituania Commissario Salute e sicurezza alimentare
Karmenu Vella Malta Malta Commissario Ambiente, affari marittimi e pesca
Elżbieta Bieńkowska Polonia Polonia Commissario Mercato interno, industria, imprenditoria, piccole e medie imprese e spazio
Carlos Moedas Portogallo Portogallo Commissario Ricerca, scienza e innovazione
Jonathan Hill Regno Unito Regno Unito Commissario Stabilità finanziaria, servizi finanziari e mercato unico dei capitali
Věra Jourová Rep. Ceca Rep. Ceca Commissario Giustizia, tutela dei consumatori e uguaglianza di genere
Corina Creţu Romania Romania Commissario Affari regionali
Violeta Bulc Slovenia Slovenia Commissario Trasporti
Miguel Arias Cañete Spagna Spagna Commissario Azione per il clima e l’energia
Tibor Navracsics Ungheria Ungheria Commissario Educazione, cultura, gioventù e sport

http://it.wikipedia.org/wiki/Commissione_europea#Composizione_e_nomina

Contro riforme

Nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Il discorso riformista è nella realtà un gigantesco quanto  complesso dispositivo volto  alla massima estensione e concentrazione della proprietà privata, producendo involuzione politica, sociale e culturale. Questo scritto vuole essere un grido d’allarme per impedire l’uso indiscriminato di una formulazione che, nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, ha cambiato interamente  senso. Dietro  l’uso della retorica delle riforme si cela una strategia  che utilizza la sovversione di significato di questo termine per produrre risultati sociali sempre piu irreversibili. La strategia riformista, che questo volume vuole portare allo scoperto sperando in un effetto  Dracula, per cui essa potrebbe morire se portata  alla luce del sole, conduce alla sistematica distruzione di ogni istituzione sociale che non sia perfettamente coerente con la massima estensione della proprietà privata e dell’attività di consumo, il brodo di coltura in cui essa prospera fin dalle sue origini nella rivoluzione borghese. L’individualizzazione  sociale e la riduzione di ogni rapporto umano allo scambio di mercato, scopo ultimo della logica capitalistica dell’accumulo e dello sfruttamento senza fine, sono progressivamente strutturati tramite un insieme di trasformazioni istituzionali, le riforme appunto, che sortiscono il loro effetto socialmente nefasto tanto nel caso in cui siano effettivamente realizzate quanto nell’ipotesi che non lo siano.nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Dalla introduzione del libro “Contro riforme” di Ugo Mattei, disponibile anche in e-book 116pp. Einaudi 2013

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Cronache italiane

Federico Dal Cortivo per Europeanphoenix intervista il Prof Attilio Folliero, politologo residente a Caracas.

Prima di rispondere alle domande, mi permetto una premessa. Io vivo lontano dall’Italia da dieci anni; ovviamente, ho sempre seguito e continuo a seguire le vicende italiane attraverso i grandi media: i telegiornali “aggiustati”, i programmi come “Porta a Porta”, i grandi quotidiani… tutti interessati a mostrare sempre e solo una parte “della storia”. Recentemente, per esempio c’è stata a Teheran l’Assemblea dei Paesi non allineati, che praticamente in Italia è passata sottosilenzio, con poca informazione e quella poca passata era tutto meno che imparaziale ed obiettiva… “I «non allineati» a Teheran fiera d’odio per l’Occidente”, per dirla con il titolo di un noto giornale nazionale italiano; non c’è nessun odio verso l’occidente da parte dei Paesi non allineati, ma questa è l’informazione che è costretto a leggere l’italiano medio.

Nell’antica Roma, quando stava per cadere l’impero, c’erano persone che vivevano come se niente stesse passando, continuando a fare banchetti ed orgie come al tempo del massimo splendore dell’impero… vennero travolti senza rendersi conto di quello che gli stava succedendo! La situazione italiana (e dell’occidente, dell’Europa e degli Stati Uniti) di oggi è praticamente la stessa che si viveva alla caduta dell’impero romano: molti continuano a vivere senza rendersi conto di quello che gli sta per accadere. I politici nostrani (tutti) litigano fra di loro sul sesso degli angeli, però la quasi totalità di loro guarda ancora estasiata agli USA ed alla sua politica neoliberista e guerrafondaia, come se gli USA fossero ancora la superpotenza uscita vincitrice della seconda guerra mondiale; questi politici non si rendono conto che gli USA sono sul bordo del tracollo, più o meno imminente, che condurrà alla fine dell’Unione. Fino a quando, ad esempio, il governo USA potrà sostenere un deficit giornaliero di oltre 4 miliardi di dollari? La Federal reserve, il banco centrale USA, recentemente ha deciso di comprare al Tesoro titoli di stato per 40 miliadi di dollari al mese, ossia stamperà ogni mese 40 miliardi di dollari! Senza questa misura, il ministro delle finanze Usa avrebbe dovuto annunciare al mondo che gli USA non possono pagare i debiti! Ma per quanto tempo potranno andare avanti stampando dollari? Che succederà al dollaro ed agli USA il giorno, ormai non tanto lontano, in cui il Ministro delle Finanze USA sarà costretto ad annunciare che non può pagare il debito? Queste sono le domande a cui dovrebbero rispondere i politici nostrani che guardano al mito americano!

Questi stessi politici, che litigano tra di loro sul sesso degli angeli, tutti, indifferentemente, guardano alla Unione Europea e pensano che la Germania, la Francia, le loro banche, il loro modello sia il “non plus ultra” ed ignorano totalmente che il debito del Deutsche Bank, ad esempio, secondo i dati dell’ultimo bilancio trimestrale pubblicato (30/06/2012) è 1.579 miliardi di Euro e quello del BNP Paribas è 1.344 miliardi, praticamente il debito di cadauna delle principali banche di Germania e Francia equivale al PIL italiano! Queste sarebbero le locomotive della Unione Europea a cui tendono lo sguardo i politici italiani.

Continua a leggere:

http://www.cronachelodigiane.net/article-l-italia-del-governo-tecnico-di-mr-monti-e-fine-della-nostra-sovranita-nazionale-di-attilio-folli-112285949.html

L'Italia non spende

http://www.youtube-nocookie.com/v/A6lbIIQjIsU?version=3&hl=en_US&rel=0
Così titolano i giornali.

Bella scoperta, diranno quelli che “non tirano quattro paghe per il lesso”!

Intanto c’è da dire che sono anni che l’industria italiana (anche quella culturale) non produce beni durevoli ma solo oggetti  usa e getta,  salvo poi lamentarsi della concorrenza dei cinesi.

E poi sarebbe forse il caso di spendere qualche parola sui Chicago boys:

I “Chicago Boys” furono un gruppo di giovani economisti cileni formatisi presso l’Università di Chicago, nel 1970 circa, sotto l’egida di Milton Friedman e Arnold Harberger.

Successivamente furono assunti a metà degli anni ’70 nell’amministrazione del ministero dell’economia del Cile, presieduto dal tecnico José Piñera, durante il regime di Augusto Pinochet.

Le politiche del ministero di Piñera si caratterizzarono per il processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia del paese, dopo le riforme collettiviste del governo socialista di Salvador Allende, che portarono a un forte sviluppo economico.

Fu varata inoltre un’importante riforma del sistema pensionistico, basata sulla liberalizzazione e privatizzazione del monopolio pubblico della previdenza pensionistica. Tale sistema pensionistico è stato recentemente recepito da altri paesi, anche europei. La teoria dei Chicago Boys è stata applicata per anni in tutto il mondo, soprattutto in quei paesi che chiedevano prestiti al Fondo Monetario Internazionale, in quanto lo stesso FMI poneva come condizione per l’ottenimento dei prestiti l’applicazione di politiche economiche neo-liberiste, anche contro l’orientamento dei governi a cui si rivolgeva.

La crisi avviata negli ultimi giorni di settembre 2008, con gran parte delle Banche del mondo in procinto di fallire in mancanza di intervento dello Stato e con le borse di tutto il globo in caduta libera (Orso), che riducevano drasticamente il valore delle azioni e delle pensioni legate ai fondi di investimento, secondo alcuni critici dimostrerebbe la fragilità della teoria della scuola di Chicago. A tali critiche è stato ribattuto che gli interventi distorsivi dello Stato hanno creato le condizioni per l’esplosione della bolla immobiliare e che la teoria dei mercati efficienti si limitava a parlare delle informazioni “disponibili” sul mercato.

Questa dottrina, fatta propria dal Fondo Monetario Internazionale, ha comportato per molti anni che ai paesi poveri fosse imposti tagli alle spese sociali, risanamento dei conti pubblici, apertura al commercio estero e agli investimenti stranieri.

Nel 2008 ha iniziato a manifestarsi la crisi mondiale, partita proprio dagli Stati Uniti: il forte calo delle vendite nelle industrie statunitensi dell’automobile ha costretto (per mancanza di liquidità, dovuta al forte indebitamento delle banche e dei cittadini americani e alla loro impossibilità a spendere), a chiedere e ottenere, dal governo Bush, nel dicembre 2008, per evitare il fallimento, prestiti per 17 miliardi di dollari.

Il F.M.I, andando evidentemente contro alle teorie applicate per anni, il 21 dicembre 2008, per bocca del suo presidente, il francese Dominique Strauss-Kahn, ha chiesto agli Stati di spendere, per stimolare l’economia, qualcosa come il 2% del PIL mondiale.”

Ovviamente questa voce tratta da wikipedia, è definita inaffidabile; però, guarda caso,  Dominique Strauss- Kahn il 14 maggio 2011 viene arrestato a New York con l’accusa di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera di un albergo presso cui alloggiava a New York[1] e quattro giorni dopo rassegna le sue dimissioni dalla carica di Direttore del FMI.[2] Le accuse si sono però poi rivelate insussistenti e la procura ne ha chiesto l’archiviazione il 23 agosto 2011.

Buon ferragosto

Riportiamo le misure “greche” in previsione di repliche “italiane”

Ecco le dieci più onerose:

  1. le tasse aumenteranno di 2,32 miliardi di euro quest’anno e di 3,38 miliardi, 152 milioni e 699 milioni nei tre anni successivi. Ci saranno imposte più alte sulle proprietà e un incremento dell’IVA dal 19 al 23 per cento;
  2. verranno introdotte imposte sui beni di lusso quali yacht, piscine e auto e anche tributi speciali su attività con elevati margini di profitto, sulle proprietà di alto valore e sulle persone che hanno alti introiti;
  3. le accise su benzina, sigarette e alcool verranno aumentate di un terzo;
  4. gli stipendi del settore pubblico verranno decurtati del 15 per cento:
  5. le spese per la difesa verranno tagliate di 200 milioni di euro nel 2012 e di 333 per ciascun anno dal 2013 al 2015;
  6. le spese per l’educazione verranno ridotte chiudendo o riunificando 1.976 scuole;
  7. la sicurezza sociale verrà privata di 1,09 miliardi di euro quest’anno, 1,28 nel 2012, 1,03 miliardi nel 2013, 1,01 nel 2014 e di 700 milioni di euro nel 2015. Verranno inoltre fatte indagini sul patrimonio e l’età per entrare in pensione sarà alzata da 61 a 65 anni;
  8. il governo privatizzerà un numero di imprese, tra cui il monopolio delle scommesse OPAP, la Banca Postale Ellenica, alcuni attività portuali, l’Organizzazione di Telecomunicazioni Ellenica e venderà le sue partecipazioni in Acque di Atene, in Hellenic Petroleum, nell’utility dell’energia PPC e in ATEbank, così come i suoi porti, aeroporti, concessioni per le autostrade, demanio statale e diritti di scavo e perforazione;
  9. solo uno su dieci dei dipendenti pubblici che andrà in pensione quest’anno verrà rimpiazzato e solo uno su cinque nei prossimi anni;
  10. la spesa sanitaria verrà tagliata di 310 milioni di euro quest’anno e di 1,81 miliardi di euro dal 2012 al 2015.

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Fonte: http://www.cnbc.com/id/43577308