Per spiegare il titolo dobbiamo tornare al tempo in cui è stato scritto l’articolo (vedi sotto):
Nel silenzio e nel disinteresse più assoluti da parte dell’opinione pubblica, il Titolo V della Costituzione ha già subìto modifiche recenti – in senso neo-centralista – proprio da parte del governo dei “tecnici” del 2012; oltre alla nota modifica dell’Articolo 81 della Costituzione relativa al pareggio di bilancio, il Governo Monti ha infatti realizzato due ulteriori e complementari modifiche.
- Grazie alla riforma dell’Articolo 117, è stata attribuita allo Stato la prerogativa di “armonizzazione dei bilanci pubblici”, vale a dire la possibilità d’intervenire sulla facoltà di spesa delle amministrazioni locali.
- Grazie alla riforma dell’Articolo 119, si è imposto a Comuni, Province e Regioni “l‘osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.
Per farla breve, l’attuazione delle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea ha necessitato di sottrarre il potere di spesa agli enti locali. Nel periodo in cui queste riforme venivano attuate, Monti trovò dura opposizione da parte di tutti i Presidenti di Regione. Per l’ex-advisor di Goldman Sachs fu allora un vero e proprio colpo di fortuna che, poco prima dell’attuazione dei tagli previsti dalla spending review, la magistratura mettesse sotto inchiesta dieci amministrazioni regionali su venti. E così, negli stessi giorni in cui l’opinione pubblica volgeva la propria beata e ignorante attenzione verso le feste in maschera di Franco Fiorito, in maniera completamente indisturbata Mario Monti procedeva con un taglio di 12 miliardi alla Sanità realizzato in larga parte sottraendo risorse alle Regioni.
Come a questo punto dovrebbe risultare chiaro, l’azzeramento delle autonomie locali risponde allo stesso disegno strategico che muove le politiche economiche a livello nazionale: incrementare l’austerità, realizzare quanto annunciato senza giri di parole da Mario Draghi con l’affermazione “il modello sociale europeo è morto”. In breve: abbattere il welfare state.
Nel caso italiano, a partire dalla Riforma Bassanini, non è però possibile demolire il welfare senza sottrarre preliminarmente potere agli enti locali. Che si tratti della competenza delle Regioni sulla Sanità, di quella delle Province sull’istruzione oppure del ruolo dei Comuni rispetto ad asili e assistenza ai senza fissa dimora, poco importa. Il fiscal compact imporrà manovre da 50 miliardi di euro all’anno per vent’anni e il reperimento di tali risorse renderà inevitabili tagli progressivi alla spesa pubblica. Questi tagli, naturalmente, verranno ogni volta presentati come “riduzione degli sprechi”, come “razionalizzazione delle risorse” e con tutte le altre mendaci formule di cui dispone la propaganda ideologica della classe dominante. Eppure, basterebbe osservare il processo dell’ultimo decennio per comprendere come non sia possibile venire a patti con l’ideologia dei tagli alla spesa, come sia necessario smascherare la funzione ideologica degli enunciati contenenti la parola “sprechi”, come sia prioritario contrastare integralmente questa tendenza.
Esattamente da dieci anni, lo Stato non ha fatto altro che operare tagli progressivi dei trasferimenti dal governo nazionale agli enti locali: prima col governo Berlusconi (2004), poi col governo Prodi (2006), poi ancora col governo Berlusconi (2011), poi col governo Monti (2012) e infine col governo Letta (2013). Tutto questo ha provocato un ridimensionamento di proporzioni immense per tutto ciò che concerne i servizi sociali amministrati dai territori e, in generale, per tutto l’esiguo e traballante impianto del welfare italiano. Non è possibile, in questa sede, elencare tutte le conseguenze che hanno colpito la vita concreta e quotidiana di milioni di persone. Basti citare, tanto per fare un esempio, come la spesa per la sanità sia stata tagliata di 25 miliardi nei soli ultimi tre anni, con conseguente aumento generalizzato dei ticket sanitari e con la riduzione di decine di migliaia di posti letto negli ospedali italiani. Si potrebbe poi continuare parlando dei tagli di 23 miliardi alla scuola pubblica previsti per il triennio 2015-2017 – ambito amministrato finora dai vari enti locali – ma direi che, a questo punto, il concetto che sto cercando di esprimere dovrebbe risultare chiaro.
estratto da http://appelloalpopolo.it/?p=10292 del 6 gennaio 2014
