Ma allora chi comanda il mondo?

Comanda la ‘mafia globale’6 come la chiamava il Generale-Maggiore dell’esercito sovietico Kostantin Pavlovich Petrov. Penso che questa definizione sia più precisa di altri tentativi come military-industrial complex o élites finanziarie7. La definizione del Generale Maggiore Petrov coglie qualcosa che sfugge alle altre più asettiche definizioni, è il carattere criminale di questi gruppi di potere. Penso si possa parlare di carattere criminale senza entrare nello specifico guardando al risultato del loro operato. La ricchezza continua a concentrarsi nelle mani di meno persone al punto che il rapporto di gennaio dell’Oxfam ci informa che ormai le 80 persone più ricche del mondo detengono la stessa ricchezza dei 3,5 miliardi di persone più povere e perché già nel 2016 l’1% dei più ricchi avranno più che il restante 99% della popolazione8. Questa concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi è stata studiata da James B. Glattfelder, che ha applicato metodi di analisi propri della fisica per studiare l’interconnessione di sistemi complessi dell’economia globale9 con risultati inquietanti. Il fatto che l’organizzazione di troppi settori della nostra società assomigli sempre più a un’azienda dovrebbe portarci a riflettere visto che le aziende non sono strutture democratiche bensì rigidamente gerarchiche.
Nella premessa del suo ultimo libro Noam Chomsky ci ricorda un episodio che ci racconta Sant’Agostino: è la storia di un pirata catturato da Alessandro Magno, il quale gli chiese come osasse creare scompiglio per mare; il pirata rispose:

«Poiché io lo faccio con una piccola nave, mi chiamano malfattore; mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore».

di Ludovico Nobile

estratto da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=117927&typeb=0

L'inglese di Matteo Renzi

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Parlare e vivere in un’altra lingua rispetto a quella che ti ha insegnato la mamma (e che ti è entrata nel cervelletto quando questo era ancora adattabile, prima di dover usare solo la corteccia) è difficile e faticoso. Lo so bene io, anche se ho cominciato a imparare l’inglese prima degli otto anni (il primo corsettino sperimentale per bambini risale appunto al 1972) e posso dire di non aver mai veramente smesso di studiarlo. Oggi scrivo in prevalenza in inglese, faccio lezione quasi solo in inglese e parlo inglese di continuo (in Italia tutto questo si capovolge, salvo i lunghi caffè o birrette con Tom Kirkpatrick). C’è chi ha detto che ormai la mia seconda lingua sta diventando l’italiano. That might well be (può darsi, visto che c’è chi vuole che traduca tutto).

Non credo che Matteo Renzi abbia avuto le opportunità che ho avuto io di studiare l’inglese e di praticarlo, anche solo perché ha circa dieci o undici anni meno di me. Sarebbe ridicolo e ingiusto che gli facessi le pulci. Però mi chiedo: non farebbe meglio a preparare due paginette, due, di discorso e a leggerle o recitarle? Imparare una lingua non è uno scherzo: c’è bisogno di tempo e di dedizione e parlare in pubblico non è facile. Massimo D’Alema conosceva bene russo e francese (veniva da buoni studi umanistici) e, quando si rese conto che era tempo di imparare l’inglese, ci si mise di buzzo buono, ma per qualche anno non pensò nemmeno di parlare in pubblico; poi, poco a poco, cominciò. Lo stesso fece Craxi, che tenne in italiano il suo primo discorso alle Nazioni Unite e passò all’inglese solo quando si sentì più sicuro.

La faciloneria di Renzi mi spaventa. Crede di poter far fronte a tutto solo con la faccia tosta e con la tracotanza (l’ho sentito più volte interrompere chi gli voleva porre domande scomode). Un tempo cercavo di spiegarmi come avesse sedotto il 40% degli italiani, ma penso d’aver trovato una spiegazione. Renzi è andato al governo non col voto degli italiani, ma con la promozione sul campo di Napolitano, che ha visto in lui l’unico capace di far digerire agli italiani la ricetta neo-liberista delle grandi banche (per cui l’Italia va spolpata fino all’osso) non da destra, ma da sinistra (cancellando quindi ogni altra possibilità di opposizione del PD; anche i comunisti storici, di fronte al Matteino, rispondono “Intanto abbiamo vinto…”). Gli italiani l’hanno votato DOPO: sapendo che aveva già vinto, si sono subito messi con lui, perché, com’è noto: “Gli italiani corrono in soccorso al vincitore.” (Ennio Flaiano)

Forse, però, Renzi fa comodo così anche al grande capitale. Se il loro agente italiano sapesse bene l’inglese, magari darebbe l’idea di avere qualche velleità di potere. No: anche il premier italiano dev’essere cialtrone come tutti i suoi sudditi, che passano il tempo a lustrare i musei e a preparare gli spaghetti ai turisti in un’economia opportunamente frenata perché non si sogni più di alzare la testa e di credersi una nazione industrializzata (basta mettersi d’accordo con la mafia e non ci sono pericoli). Go ahead, Matteo, but not in my name.
Andrea Malaguti