«Poiché io lo faccio con una piccola nave, mi chiamano malfattore; mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore».
di Ludovico Nobile
estratto da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=117927&typeb=0
«Poiché io lo faccio con una piccola nave, mi chiamano malfattore; mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore».
di Ludovico Nobile
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Parlare e vivere in un’altra lingua rispetto a quella che ti ha insegnato la mamma (e che ti è entrata nel cervelletto quando questo era ancora adattabile, prima di dover usare solo la corteccia) è difficile e faticoso. Lo so bene io, anche se ho cominciato a imparare l’inglese prima degli otto anni (il primo corsettino sperimentale per bambini risale appunto al 1972) e posso dire di non aver mai veramente smesso di studiarlo. Oggi scrivo in prevalenza in inglese, faccio lezione quasi solo in inglese e parlo inglese di continuo (in Italia tutto questo si capovolge, salvo i lunghi caffè o birrette con Tom Kirkpatrick). C’è chi ha detto che ormai la mia seconda lingua sta diventando l’italiano. That might well be (può darsi, visto che c’è chi vuole che traduca tutto).
Non credo che Matteo Renzi abbia avuto le opportunità che ho avuto io di studiare l’inglese e di praticarlo, anche solo perché ha circa dieci o undici anni meno di me. Sarebbe ridicolo e ingiusto che gli facessi le pulci. Però mi chiedo: non farebbe meglio a preparare due paginette, due, di discorso e a leggerle o recitarle? Imparare una lingua non è uno scherzo: c’è bisogno di tempo e di dedizione e parlare in pubblico non è facile. Massimo D’Alema conosceva bene russo e francese (veniva da buoni studi umanistici) e, quando si rese conto che era tempo di imparare l’inglese, ci si mise di buzzo buono, ma per qualche anno non pensò nemmeno di parlare in pubblico; poi, poco a poco, cominciò. Lo stesso fece Craxi, che tenne in italiano il suo primo discorso alle Nazioni Unite e passò all’inglese solo quando si sentì più sicuro.
La faciloneria di Renzi mi spaventa. Crede di poter far fronte a tutto solo con la faccia tosta e con la tracotanza (l’ho sentito più volte interrompere chi gli voleva porre domande scomode). Un tempo cercavo di spiegarmi come avesse sedotto il 40% degli italiani, ma penso d’aver trovato una spiegazione. Renzi è andato al governo non col voto degli italiani, ma con la promozione sul campo di Napolitano, che ha visto in lui l’unico capace di far digerire agli italiani la ricetta neo-liberista delle grandi banche (per cui l’Italia va spolpata fino all’osso) non da destra, ma da sinistra (cancellando quindi ogni altra possibilità di opposizione del PD; anche i comunisti storici, di fronte al Matteino, rispondono “Intanto abbiamo vinto…”). Gli italiani l’hanno votato DOPO: sapendo che aveva già vinto, si sono subito messi con lui, perché, com’è noto: “Gli italiani corrono in soccorso al vincitore.” (Ennio Flaiano)
Forse, però, Renzi fa comodo così anche al grande capitale. Se il loro agente italiano sapesse bene l’inglese, magari darebbe l’idea di avere qualche velleità di potere. No: anche il premier italiano dev’essere cialtrone come tutti i suoi sudditi, che passano il tempo a lustrare i musei e a preparare gli spaghetti ai turisti in un’economia opportunamente frenata perché non si sogni più di alzare la testa e di credersi una nazione industrializzata (basta mettersi d’accordo con la mafia e non ci sono pericoli). Go ahead, Matteo, but not in my name.
Andrea Malaguti
testata giornalistica registrata
Benvenuti nel blog del Centro Culturale Italicum
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