Basta tasse!

In realtà, la causa dell’elevato debito pubblico, attualmente di circa 2.100 miliardi, sta nel fatto che negli ultimi trenta anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di interessi.
La soluzione del problema è quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in Italia fino al 1981.

Il problema del debito pubblico non è, quindi, un problema di deficit eccessivi, ma di interessi eccessivi.

Dal 1992 lo Stato italiano ha applicato politiche di austerità, cioè di aumento delle tasse, aumentando le sue entrate in modo da avere sempre un avanzo di bilancio (differenza tra spese ed entrate prima degli interessi). Nonostante più di venti anni di politiche di austerità, cioè di imposizione fiscale crescente iniziate con i governi Ciampi e Dini nei primi anni ’90, lo Stato non è poi più riuscito a ridurre il debito pubblico a causa della “rincorsa” degli interessi che si cumulavano. La ragione di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto l’obbligo della Banca d’Italia di comprare debito pubblico calmierandone gli interessi (e dal 1989 si è vietato formalmente, nel Trattato di Maastricht ogni finanziamento dello Stato da parte della sua banca centrale).

Detto in parole semplici, lo Stato italiano è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di interessi dettati dalle banche estere (diciamo dal mercato finanziario estero), quando invece avrebbe potuto continuare a farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia.

Gli italiani devono rendersi conto che non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni europee.
In realtà, un governo italiano competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani invece che del “mercato finanziario” può muoversi anche all’interno dei trattati europei. Il nostro, oltre che un articolo, è anche un appello ai cittadini italiani che trovino convincenti i fatti che abbiamo esposto e diffondano, ovunque possano, questa soluzione pratica al problema del debito, allo scopo di mettere la parola fine alle politiche di austerità che stanno soffocando l’economia italiana.

Repetita iuvant

Il problema chiave del debito non è la spesa pubblica, ma il fatto che lo Stato è stato privato delle risorse finanziarie che derivano dall’emissione della moneta, nonché, in definitiva, della stessa moneta e degli strumenti legati alla gestione della stessa, come la svalutazione competitiva: l’unica possibilità che hanno di reperire le risorse che gli sono indispensabili è quella di rivolgersi alla tassazione o all’indebitamento sui mercati finanziari (con notevoli vantaggi per questi ultimi).

http://www.lolandesevolante.net/blog/2013/12/discorso-avv-paola-musu-conferenza-14-dicembre-2013/

Dall'Islanda all'Italia

[estratto]

Islanda Chiama Italia - Libro Osservavo dall’alto l’Islanda scomparire oltre l’orizzonte curvo, poi dopo qualche ora di mare apparire l’Inghilterra, infine il continente. Tornavo in Italia con la testa piena zeppa di ricordi, nozioni, date, impressioni, ma senza alcuna risposta concreta alle tante domande che sapevo mi sarebbero state fatte, alle mille obiezioni. «L’Islanda non è l’Italia!» «Come si può paragonare un Paese di 320mila abitanti a uno di 60 milioni?» «L’economia italiana è troppo devastata per riuscire a rialzarsi»

Già, l’Italia non è l’Islanda. Il debito pubblico italiano è pari a 2mila miliardi di euro, il debito Icesave che gli islandesi si sono rifiutati di pagare non superava i 5 milioni. E poi ci sono lo spread impazzito, che fa crescere gli interessi sul debito, e mille problemi immensamente più complessi di quelli che poteva affrontare una nazione come l’Islanda.

Ma dagli 8mila metri di altitudine in cui mi trovavo il mondo si vede in maniera più chiara e distaccata. Se ne percepisce la forma curva, quasi si intuisce la sua interezza sferica oltre l’orizzonte. E osservando il mondo da così in alto non ho visto altro che mare, rocce, montagne e vallate. Giuro. Nemmeno una traccia dello spread, né del debito, né degli otto mondi paralleli e virtuali che lo sovrasta Il mondo visto dall’alto sembra molto più semplice, lineare e fisico di quello osservato ad altezza del suolo. Vedevo fiumi e città, potevo immaginare il lavoro degli esseri umani nei campi, negli uffici, le chiacchiere nei bar. Ma i flussi di denaro, quelli proprio non riuscivo a vederli né a immaginarli. Giunsi a una conclusione che sul momento mi apparve evidente, e che condividerò a costo di sembrare un novello Don Ferrante: non esistono.

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Indice

  • Prefazione di Loretta Napoleoni
  • Introduzione
  • Capitolo 1 – L’ascesa e la caduta
  • Capitolo 2 – Ribellione
  • Capitolo 3 – Dall’Islanda all’Italia
  • Conclusioni
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Andrea Degl’Innocenti

Andrea Degl'Innocenti

Andrea Degl’Innocenti è un giornalista che si occupa ormai da anni di economia e politica internazionali. Dal 2010 collabora con la testata giornalistica “Il Cambiamento”, per la quale si è spesso occupato delle vicende islandesi. Nell’aprile-maggio 2012 è stato in Islanda per raccogliere materiale e intervistare i protagonisti delle rivolte.

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Per chi vuole approfondire il problema, consigliamo anche la lettura di

http://terzapaginainfo.wordpress.com/2014/01/25/quante-volte-dobbiamo-ripeterlo/

come di tutti gli altri articoli correlati del blog

Arcipelago SCEC

http://www.youtube-nocookie.com/v/0zOeYR8DbJE?version=3&hl=it_IT&rel=0
Lisa Bortolotti, moglie, madre di due figli, laureata all’Alma Mater Studiorum ( Bologna ) in economia aziendale; è impiegata pubblica ma dal gennaio 2012 ha fatto il suo downshifting con un part time al 60%, per dedicarsi maggiormente a ciò che ritiene importante: casa, famiglia, passioni, associazione.

Subito dopo la nascita della secondogenita, è socio fondatore di Arcipelago SCEC Emilia Romagna, nel 2009. Dalla primavera 2011 ne diventa presidente e coordina l’attività degli attivisti regionali ; si dedica alla divulgazione delle progettualità di Arcipelago, crea occasioni di approfondimento e formazione, collabora ad alcune attività del coordinamento nazionale ( sito e blog “La Nave dei Folli” ), si adopera per applicare una sperimentazione nel proprio territorio, Ferrara; è rappresentante regionale nel coordinamento nazionale.
Di Arcipelago SCEC, e dei suoi progetti, sostiene che è un percorso di vita, che richiede di incarnare totalmente, a partire da sé, il cambiamento che si vuole realizzare. Arcipelago non solo si fa, ma lo si è.

Araba Fenice ne è socia e l’ha invitata domenica 23 settembre 2012 alla manifestazione “Ricominciamo dal futuro”, presso la Società operaia di Mutuo soccorso,  alle 10.30 per illustrare le attività dell’associazione.

Il secchio senza fondo

http://www.lulu.com/shop/araba-fenice/quaderni-di-terzapaginainfo/paperback/product-20214310.html?showPreview=true

Ci permettiamo di aggiungere una piccola nota al falso problema di uscita o no dall’Euro: anche dentro hanno trovato il modo di tartassarci con l’invenzione dello spread;  finché non ci libereremo della finanza, ci giostreranno come vogliono e solo la politica (da non confondersi con i politici) può farlo.

Anatocismo

Con il termine anatocismo (dal greco anà – di nuovo, e tokòs – interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Rimandiamo direttamente alla voce su wikipedia per gli interessanti approfondimenti,  che sono stati resi attuali dalla sentenza del 5 aprile della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato l’illegalità.

Questo ha aperto la possibilità ai correntisti di richiedere il rimborso alle banche per gli interessi ingiustamente applicati: per le imprese segnaliamo il sito anatocismo.eu;  per i consumatori http://www.sosconsumatori.it/anatocismo_bancario.htm

A questo punto sorge spontanea una domanda: nella determinazione del debito pubblico si è praticato l’anatocismo?

Debtocracy

Giovedì 29 Marzo

Circolo Arci Bolognesi
Piazzetta San Nicolò, 6a Ferrara

ore 18.00 Proiezione film-documentario “Debtocracy

ore 19.30 Aperitivo cena con gli ospiti Bruno Amoroso e Giulietto Chiesa

ore 21.00 Incontro-discussione con

Giulietto Chiesa e Bruno Amoroso

Crisi del debito, crisi globale.
Quale futuro?

Debito ed interessi sul debito strangolano la società italiana.

Le arti, la cultura, i servizi sociali e sanitari, il lavoro e i diritti sono tagliati, compressi e progressivamente smantellati in nome della stabilità finanziaria, di rendite e profitti. La fine della sovranità nazionale non è sostituita da nuove forme di democrazia e rappresentanza europee ma da una tecnocrazia diretta emanazione dei poteri   bancario e finanziaro.

A Ferrara come altrove la crisi morde e produce disoccupazione, nuove povertà, crisi di settori centrali dell’economia locale, dall’agricoltura ormai in ginocchio, al commercio, all’industria chimica e meccanica, al turismo e alla produzione di conoscenza, formazione, ricerca, università, conservazione e fruizione dei beni culturali. Sul piano locale e su quello nazionale le risorse sono indirizzate a grandi opere inutili o di discutibile ulilità e sono alimento indispensabile di un sistema politico tangentizio aperto alle infiltrazioni della criminalità organizzata attivi nel gestire la privatizzazione e spoliazione dei beni comuni (acqua, trasporti, energia, patrimonio ambientale). Aumentano solo le spese milititari e il protagonismo armato del nostro paese che dopo le avventure irakena, afghana e libica è impegnato nel sostenere l’apertura di nuovi drammatici conflitti in Siria e Iran. Per queste ragioni pensiamo urgente moltiplicare gli spazi di discussione e di iniziativa pubblica per tentare di rispondere ad un quesito: quale futuro?

Proponiamo la visione del fim documentario “Debtocracy” di Katerina Kitidi e Aris Hatzistefanou, una produzione indipendente che indaga la crisi greca e propone possibili alternative alla morsa del debito sull’esempio di alcune democrazie latinoamericane come Argentina ed Ecuador. Nel corso del documentario intervengono economisti, scientziati e attivisti sociali come: Samir Amin, Alain Badiou, David Harvey, Manolis Gelzos (eroe della Resistenza greca al nazifascismo) il regista Fernando Solanas. Durata 74 minuti.

A seguire dopo l’aperitivocena , l’incontro con l’economista Bruno Amoroso (docente di economia internazionale all’Università di Roskilde in Danimarca, autore di “Euro in bilico”, Castelvecchi editore 2011) e Giulietto Chiesa giornalista e autore del film inchiesta sulla tragedia dell’11 Settembre 2001 “Zero”.

Giovedì 29 Marzo

Circolo Arci Bolognesi
Piazzetta San Nicolò, 6a Ferrara

ore 18.00 Proiezione “Debtocracy

ore 19.30 Aperitivo cena con gli ospiti Bruno Amoroso e Giulietto Chiesa

ore 21.00 Incontro-discussione con

Giulietto Chiesa e Bruno Amoroso

Crisi del debito, crisi globale.
Quale futuro?


Proiezione e incontro sono promossi dal laboratorio politico culturale Alternativa nato a Ferrara per favorire il confronto pubblico e l’iniziativa condivisa sui temi della crisi e della transizione.

Per info: Alessandro 340-6494998

La casa del vicino

La casa del vicino (in fallimento) è sempre più verde

Una stradina di periferia residenziale negli Stati Uniti. Una casa è stata pignorata dalla banca dopo la scadenza dei termini del riscatto ipotecario ed è vuota; la successiva, invece, è abitata da chi è riuscito a pagare i propri debiti fino all’ultimo, ma, grazie alle nostre predilette banche, è nei guai lo stesso.

Chi perde la casa finisce in miseria, si sa: ora deve pensare a mettersi un tetto sulla testa, ma al tetto di prima almeno deve pensare qualcun altro. Il qualcun altro dovrebbe essere la banca che ne ha acquisita la proprietà, se ne avesse voglia e tempo. Ma nell’economia di una grande impresa bancaria, una casa è un valore esiguo e non merita soldi di manutenzione; si provvederà alle riparazioni prima della vendita, con tanto di cartello “For Sale” davanti.

Il vicino di casa, però, ci perde. La casa abbandonata potrebbe essere facilmente presa d’assalto dalla piccola delinquenza e usata come covo notturno o altro, mettendo a repentaglio la reputazione del quartiere e quindi ribassando il valore delle case vicine. La lesione degli interessi è minima per la banca proprietaria è minima, ma massima per il vicino: la casa è molto probabilmente tutto quello che ha.

Il proprietario ha quindi interesse a interessarsi della manutenzione della casa vicina di proprietà della banca. Chiaro, può sempre tampinare le banca stessa, scrivere petizioni e farle firmare dai comitati di quartiere. Ma ne ha proprio il tempo? Ne ha la forza, dopo aver lavorato dieci ore per non perdere la propria reputazione di produttività? E poi, come risponderà la banca? Molto probabilmente, disinteressandosene del tutto: le case pignorate son tante, se ci si dovesse occupare di tutte…

Perciò ogni sabato il proprietario vicino tranquillo e adempiente presta l’estremo servigio alla banca che ha appena terminato di succhiargli tutti gli interessi possibili sul prestito immobiliare: si rimbocca le maniche, entra nella casa vicina, mette le tendine alle finestre, magari ri-tinteggia le pareti e rasa il prato di fronte per paura che la propria casa, a cui potrà usare le stesse attenzioni solo dopo, perda di valore. Un giorno la banca venderà la casa pignorata a un buon prezzo, dopo che il vicino l’avrà tenuta bene; ma al vicino non spetterà nulla: i servi non si ringraziano.

Corrispondenza di Andrea Malaguti

La fuga dei talenti

IL MANIFESTO:

1. Il fenomeno dell’espatrio dei giovani professionisti qualificati dall’Italia è un’emergenza nazionale. Si parte, ma non si torna (se non per assoluta necessità), né si attraggono giovani di talento da altri Paesi. In Italia non esiste “circolazione” dei talenti.

2. L’Italia non è un Paese per Giovani. È per questo che siamo dovuti andar via, o non possiamo a breve farvi ritorno. L’Italia è un Paese col freno a mano tirato, nella migliore delle ipotesi. Un Paese dove la classe dirigente -che si autoriproduce da decenni- ha fallito. All’estero i giovani hanno uguale diritto di cittadinanza delle generazioni che li hanno preceduti.

3. Il processo selettivo all’estero è di gran lunga più trasparente e meritocratico rispetto all’Italia. Anche la quantità di offerte lavorative è maggiore, di migliore qualità e meglio pubblicizzata.

4. Il percorso di carriera all’estero è chiaro, definito e prevede salari mediamente di gran lunga maggiori rispetto all’Italia, soprattutto per giovani neolaureati.

5. All’estero non conta l’anagrafe: puoi ottenere posizioni di responsabilità a qualsiasi età, se vali. Anche a 25 anni.

6. La “raccomandazione” all’estero è trasparente: chi segnala ci mette la faccia e si gioca la reputazione. In Italia è nascosta, premia i mediocri, i “figli-nipoti-cugini di” e i cooptati. Il nepotismo è una piaga nazionale, da debellare anche mediante l’introduzione di uno specifico reato penale.

7. All’estero si scommette sulle idee dei giovani. Le si finanzia e le si sostiene, nel nome dell’innovazione. In Italia -invece- i finanziamenti vanno prevalentemente a chi ha un nome o un’affiliazione.

8. All’estero esiste -in molti casi- un welfare state che sostiene i giovani, per esempio attraverso un reddito minimo di disoccupazione o sovvenzioni per il pagamento dell’affitto. In Italia il Welfare State è quasi interamente “regalato” agli anziani. I giovani sono abbandonati a se stessi, a carico delle famiglie. Il vero “ammortizzatore sociale” nel Belpaese sono le famiglie: lo Stato, la politica, hanno fallito.

9. All’estero esiste il ricambio generazionale: in politica, come in imprenditoria, come nell’accademia o negli altri settori della società civile, le generazioni si cedono il passo, per far progredire la società.

10. Noi giovani professionisti italiani espatriati intendiamo impegnarci, affinché l’Italia torni ad essere un “Paese per Giovani”, meritocratico, moderno, innovatore. Affinché esca dalla sua condizione terzomondista, conservatrice e ipocrita. E torni ad essere a pieno titolo un Paese europeo e occidentale. Ascoltate la nostra voce!

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Grandi manovre

GIA’ SIAMO IN CRISI, MA LE MANOVRE ECONOMICHE 1, 2 E LE ALTRE CHE VERRANNO L’AGGRAVERANNO.

Tutte queste manovre stanno gettando i presupposti per una ulteriore svendita dei beni italiani: la riserva d’oro italiana, la quarta per grandezza al mondo, grandi imprese pubbliche ancora in mano allo stato, alcune delle quali già privatizzate parzialmente, le imprese municipalizzate, quelle che danno sempre grandi profitti, come la raccolta dei rifiuti, o la distribuzione dell’acqua.

Stiamo attenti, che in certi paesi, per esempio in Bolivia la privatizzazione dell’acqua arrivò al punto che ai boliviani più poveri non solo venne negato l’allaccio all’acqua potabile ma vennero costretti a pagare, anzi prepagare per riempire alla fonte i secchi d’acqua.

Per poter prelevare l’acqua alla fonte, tramite un secchio, dovevano prima aver pagato la quota prevista.

A tutto questo vanno aggiunti i beni del demanio pubblico, che fanno gola a molti privati.

Qualcuno (povero illuso) dirà che sulla base delle attuali leggi non è possibile vendere i beni del demanio.

Tutti hanno parlato dei tagli e delle nuove tasse, ma nessuno ha messo in evidenza ciò che di losco, veramente losco si nasconde nella finanziaria.

Invito a leggere il comma 18 dell’articolo 10 della Legge 111 del 15/07/2011.

Il comma in questione recita esattamente: “I crediti, maturati nei confronti dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2010, possono essere estinti, a richiesta del creditore e su conforme parere dell’Agenzia del demanio, anche ai sensi dell’articolo 1197 del codice civile”.

Dalla lettura sembra intendersi che i debiti che ha lo stato (che al momento ammontano complessivamente a circa 1.900 miliardi di euro, possono essere estinti, quindi pagati su richiesta del creditore.

Qui sorge il primo problema: un creditore si presenta allo stato (al ministero) e chiede il saldo dei debiti.

Lo stato (il ministero), in base a questo comma li estingue.

Ma con quali soldi o come paga il creditore? Dato che il comma prosegue con la dicitura “su conforme parare dell’Agenzia del demanio” si intuisce che i debiti potranno essere estinti su richiesta del creditore cedendo beni del demanio; se non fossimo in presenza di beni del demanio non ci sarebbe stato bisogno del parere della sua Agenzia.

Il comma conclude rimandando all’articolo 1.197 del codice civile, che a sua volta recita: “Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta (1320). In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita (1483 e seguenti, 1490 e seguenti), salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno. In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi”.

Quest’articolo del codice civile è tirato in ballo per giustificare il fatto che il creditore che ha prestato soldi allo stato, invece di ricevere i soldi, possa ricevere una prestazione differente, ossia un bene del demanio.

Il codice civile dice che se una persona contrae un debito in denaro non può liberarsi del debito restituendo cose differenti dal denaro, anche se fossero cose di pari valore o di valore superiore, salvo che il creditore sia d’accordo.

Praticamente con questa finanziaria a parte i tagli e l’aumento delle tasse si stanno dettando i presupposti per poter pagare i creditori con un bene del demanio, una spiaggia ad esempio.

L’attuale governo, qualche tempo fa non aveva pensato ad esempio di fare cassa dando in concessione le spiagge? L’idea venne ritirata per la diffusa avversione dell’opinione pubblica.

Oggi tale possibilità è stata introdotta nel silenzio più assoluto dei media ufficiali.

La cosa si presenta in maniera ancora più losca perchè la norma in questione sembra aprire la strada ad una trattativa diretta tra debitore e Stato (ministero), eliminando anche la regola dell’offerta più vantaggiosa, essendo necessario il solo parere favorevole dell’agenzia del demanio.

Io credo che siamo di fronte alla privatizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico del Belpaese.

Il fine ultimo del debito pubblico è l’appropriarsi, da parte di ristretti e potenti gruppi economici, di imprese, beni e patrimoni dello stato.

Il privato, per quanto economicamente molto potente, mai sarebbe riuscito ad appropriarsi di determinati beni pubblici senza la scusa del debito pubblico.

Solo la scusa di un enorme e impagabile debito pubblico può portare perfino alla vendita ed alla svendita dei beni del demanio pubblico, perché l’opinione pubblica non si oppone, anzi finisce per favorire azioni del genere, pena la necessità di sborsare di tasca propria ulteriori tasse.

Inoltre, ci sono imprese in cui nessun privato, neppure il più potente potrebbe mai pensare di entrare.

E’ sufficiente pensare alla costruzione della capillare linea ferroviaria o la capillare linea telefonica.

In Italia, quando si iniziò a costruire la linea ferroviaria nessun privato avrebbe mai potuto pensare di costruirla.

Così come nessun privato sarebbe stato in grado di realizzare la Telecom.

Queste imprese colossali è in grado di realizzarle solo lo Stato, avendo la possibilità di trovare gli enormi finanziamenti necessari attraverso i crediti garantiti dallo Stato.

Come si arriva alla vendita o meglio alla svendita della Telecom? Una volta che lo stato ha terminato l’opera ed è un’opera che da frutti, grossi guadagni, il privato riesce ad entrarne in possesso grazie al problema del debito pubblico.

Quando il debito è enorme, impagabile, lo Stato deve vendere le proprie imprese e tutto quanto ha disponibile.

Il gruppo economico interessato all’acquisto, per poter entrare in possesso dell’impresa pubblica in questione, o meglio controllare totalmente l’impresa non deve neppure sborsare l’intera quota, essendo sufficiente, in una società per azioni, essere in possesso della quota di maggioranza.

Il problema dell’Italia è dunque grave, dato che ha debiti accumulati per 1.900 miliardi di Euro, che rappresentano il 120% del PIL, quota destinata a crescere.

Con le manovre in atto si finirà per: aumentare il fallimento delle imprese o accelerare la fuoriuscita delle imprese dall’Italia, verso quei territori che permettono maggiori guadagni; aumenterà la disoccupazione; diminuiranno gli introiti sia diretti che indiretti.

Conclusione: il PIL si contrae, il debito aumenta percentualmente sul PIL, ma continuerebbe ad aumentare anche se il bilancio fosse in pareggio per via dell’aumento degli interessi sul debito, che continuano a crescere.

L’alto debito pubblico è dunque la giustificazione per svendere quanto è rimasto da svendere e perfino, come visto, si cederanno i beni del demanio pubblico, fino alla cessione delle imprese municipalizzate, quindi alla privatizzazione dell’acqua e non ci sarà nessuna opinione pubblica contraria.

E’ già successo, anche in Italia, negli anni novanta e succederà ancora.. si stanno dando tutti i presupposti.

Tra l’altro la reazione degli italiani è ormai compromessa da decenni di instupidimento operato della televisione privata.

Ovviamente sto parlando di reazione immediata.

Successivamente, quando l’italiano si ritroverà non solo privato di una fonte di reddito, derivante dal lavoro, ma anche di quei meccanismi di protezione e di assistenza che allo stato attuale gli impediscono di rendersi conto del problema cui stanno andando incontro (pensione, sanità, educazione..), necessariamente spinto dai rimorsi della fame saranno costretti a ribellarsi.

Oggi l’italiano non protesta perchè comunque ha la pancia piena, grazie alla pensioni delle generazioni passate, ai risparmi del passato, all’assistenza sanitaria gratuita..; ma tutto questo sta per terminare.

Necessariamente si va incontro ad esplosioni sociali, come ci insegna la storia.

Naturalmente quando le esplosioni sociali saranno forti, il ricorso alla dittatura sarà inevitabile.

Solo un regime forte, dittatoriale, fascista può operare una dura repressione, non certo una democrazia, sia pure solo formale come quella italiana.

Ricordiamo un attimo il passato recente: l’Italia aveva un grande patrimonio costituito dalle imprese pubbliche ed aveva l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che gestiva le imprese pubbliche.. per anni una delle più grandi aziende del mondo, oggi diremmo multinazionale, superata solo da alcune multinazionali statunitensi.

Ancora nel 1992 era l’azienda con il maggior fatturato, equivalente a circa 40 miliardi di Euro e nel 1993 era ancora al settimo posto al mondo per fatturato.

Le aziende dello Stato, le aziende IRI, facevano profitto ed erano ovviamente molto appetibili dal grande capitale.

Le imprese pubbliche non solo producevano, vendevano e davano lavoro, ma erano anche fonte di introiti per lo stato.

Come si giustificò la sua vendita o meglio la svendita? Semplice: si disse che l’Italia aveva il grosso problema del debito pubblico e per ridurlo era necessario vendere qualcosa.

Ovviamente il privato non compra carrozzoni, imprese che danno perdite, ma solo imprese che fanno guadagnare, soprattutto se fanno guadagnare molto.

Per poterle vendere (o per meglio dire per poterle comprare con lo sconto, diciamo così, o al prezzo più basso possibile) era necessario farle apparire come imprese in crisi.

A capo della gestione delle imprese pubbliche italiane venivano posti gli amici o gli amici degli amici del grande capitale interessato ad acquistare; questi illustri gestori della cosa pubblica al fine di imporre la tesi che le imprese statali andavano vendute perchè allo stato non apportavano benefici, facevano di tutto per creare queste perdite.

Conclusione: grazie a queste manovre tese a svalorizzare le imprese pubbliche, il grande capitale potè acquistare le migliori imprese italiane a prezzi di svendita.

Dunque, l’Italia vendeva perchè aveva bisogno di ridurre il debito pubblico ed allo stesso tempo faceva dei grossi affari – ci dicevano – perchè si stavano vendendo dei carrozzoni che davano solo perdite e tutti erano felici e contenti.

Quando mai il capitale privato acquista carrozzoni? L’Italia vendette i suoi gioielli e momentaneamente, grazie ai quattro soldi di questa svendita, ridusse per quegli anni il debito pubblico.

Negli anni successivi, dato che la politica non è mai cambiata (ossia ha continuato a macinare deficit di bilanci) ed allo stesso tempo sono mancati gli introiti delle imprese pubbliche svendute, il debito è velocemente salito a circa il 120% del PIL ed il futuro è irrimediabilmente compromesso.

I politici di turno hanno continuato a gestire la cosa pubblica esattamente come prima, spendendo più di quanto avessero a disposizione, ossia creando annualmente dei deficit, coperti ovviamente con nuovi debiti (i Buoni del tesoro o Bond per la sua sigla in inglese).

Tra l’altro la recente nata Unione Europea, al servizio unicamente del grande capitale, imponeva che si continuasse a vivere facendo deficit; infatti, con la regola che il deficit non potesse superare il 3%, stava dicendo che gli stati potevano e dovevano spendere più di quanto avessero a disposizione, altrimenti se avesse voluto bilanci senza deficit, avrebbe imposto la regola del pareggio di bilancio.

Lasciando liberi gli stati di accumulare annualmente un 3% di debiti, la UE e chi stava dietro sapeva benissimo che in dieci anni gli stati si sarebbero ritrovati con deficit minimi del 30%, da aggiungere a quelli pregressi.

A questo si aggiunge il fatto che praticamente nessuno stato rispettava tale regola, ossia tutti sforavano tranquillamente il tetto del 3%, presentando alla UE bilanci truccati, che tutti sapevano essere truccati.

In questo modo si è favorito il debito pubblico, che non è un problema di alcuni stati, come vogliono farci credere i giornali di regime, ma di tutti gli stati della UE.

Anche stati considerati solidi (sic!), come la Germania o Francia, che 10 anni fa presentavano debiti inferiori al 50%, con la regola imposta dalla UE hanno finito per ritrovarsi con debiti dell’80% o più.

Continuano a dirci che l’Europa si divide in due: l’Europa degli stati del nord, opulenti, con politici capaci e probi e quindi meritevoli di restare nell’area Euro; l’Europa dei, PIGS (dei maiali), degli stati del sud, con deficit spaventosi, politici corrotti, che non meriterebbero di restare nell’area Euro.

E’ assolutamente vero quello che si dice dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna; ovviamente la I ben potrebbe identificarsi con l’Irlanda, stato del nord, fino a pochi anni fa esaltato come modello di stato capitalista), ma è altrettanto vero che gli stati del nord sono ugualmente nei guai (ad essere sinceri sarebbe più opportuno utilizzare una ben nota parola di cinque lettere che a qualcuno apparirebbe una volgarità).

La verità, dunque, è che tutti gli stati sono in fallimento, compresi quelli del nord: il fatto di avere debiti inferiori agli stati del sud, significa solo che stanno meglio degli stati del sud, ma ugualmente sono sulla soglia del fallimento.

Ovviamente l’Italia è tra i paesi con i problemi più gravi e difficilmente risolvibili, a meno che non si adottino determinate politiche già sperimentate in altre latitudini, in America Latina.

Tutto sembra indicare che l’Italia non ha un futuro molto roseo davanti e se crolla l’Italia, ossia fallisce, ossia arriva il giorno in cui il Ministro delle Finanze di turno deve dire al mondo “Signori non possiamo pagare i nostri debiti”, crolla inevitabilmente tutta l’Europa.

Tutti abbiamo assistito alla farsa (destinata a sfociare in tragedia) del salvataggio greco, di un piccolo paese; se il problema dovesse toccare un grande paese come l’Italia, la fine dell’Europa sarebbe inevitabile.

E non dimentichiamo l’altra grande farsa che si è consumata dall’altra parte dell’Atlantico.

Che l’accordo sia stato solo una farsa si intuisce analizzando le cifre.

Molti non hanno capito che non si tratta di una crisi congiunturale, ma strutturale ed alla fine tutto l’occidente (Stati Uniti ed Europa) ne uscirà fortemente ridimensionato, con la possibilità che l’area Euro vada incontro ad una disgregazione, cosi come gli USA potrebbero cessare di esistere come stato unitario; come previsto da Igor Panarin nel 1998.

Ovviamente dire tracollo dell’occidente non significa la fine del sistema capitalistico, che ha ancora ampi margini di crescita e di fatto sta crescendo in zone del mondo, dove fino a qualche anno fa sembrava di essere in pieno medio evo. Il tracollo, ovvero il forte ridimensionamento riguarderà l’Europa occidentale, gli USA ed ovviamente Israele, stato che esiste ed esisterà solo fino al giorno in cui esisterà la protezione degli Stati Uniti. http://attiliofolliero.blogspot.com

NOTA: Il blog è stato rimosso; trovate notizie dell’autore sul suo sito http://www.folliero.it/01_attilio_folliero/attilio_folliero.htm