Lo scandalo della Costituzione

Fonte: Sfero


L’articolo 21 della Costituzione italiana recita:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
Da ieri la vicequestore di Roma è sotto procedimento disciplinare, su sollecitazione diretta della ministra protempore degli Interni per aver mosso obiezioni ad una recente legge dello stato, durante una manifestazione pubblica.
NB: Da parte della vicequestore non c’è stato alcun atto contrario ai propri doveri d’ufficio. Era fuori servizio, presente ad una manifestazione come cittadina italiana, ed ha espresso una motivata contestazione ad una legge recentemente approvata. A ciò la ministra ha replicato che si trattava di “affermazioni gravissime” mentre i giornali hanno tempestivamente informato la vicequestore di essere oggetto di una procedura sanzionatoria.
Da mesi decine di medici che hanno contestato le linee guida nazionali di cura sul Covid e che hanno promosso (con successo) in scienza e coscienza alternative scientificamente corroborate vengono sottoposti a sanzioni disciplinari, sospensioni dall’esercizio della professione, minacce di radiazione dall’albo.
NB: Ciò non avviene sulla base di denunce o lamentele da parte dei pazienti curati. No, il punto è che invece di tutelare i propri membri da aggressioni e discredito, l’Ordine dei Medici ha promosso motu proprio una reprimenda ed un’operazione di discredito verso quei medici, motivata da un disaccordo di merito su un oggetto (le cure Covid) su cui non esistono conoscenze consolidate.
Recentemente intellettuali stimati e di peso, da Alessandro Barbero a Massimo Cacciari, da Franco Cardini a Luciano Canfora passando per Giorgio Agamben, nell’istante in cui hanno osato prendere posizione contro la strategia governativa del Green Pass sono stati bullizzati dai quotidiani nazionali e trattati come pupazzi e minus habens da una pletora di quaquaraquà da prima serata.
Nel frattempo, e da tempo, gli unici spazi di dibattito pubblico rimasti sono assegnati a piazze virtuali governate da gruppi privati, che esercitano le proprie censure in forme inappellabili, opache e al di fuori di ogni controllo. I motori di ricerca reindirizzano ricerche su temi relati alla pandemia, rinviando alle fonti ufficiali, perché non avrai altra verità al di fuori di me.

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Chi non vuole sentire

Che vi è dunque di strano e di controcorrente nelle parole del giornalista Sorgi? Egli semplicemente e conseguentemente sviluppa fino in fondo il discorso, con lucido rigore e con disincantato realismo: ci troviamo ormai dinanzi a una svolta autoritaria che, fondata sullo stato d’emergenza epidemico, utilizza la categoria di vita da proteggere come fondamento di una nuova razionalità politica, di un nuovo paradigma di governo delle cose e delle persone. Siamo rapidamente passati dal totalitarismo permissivo del mercato, come lo appellava Augusto Del Noce, al nuovo totalitarismo non più permissivo del Leviatano tecnosanitario, fase suprema di un capitalismo che deve darsi una riorganizzazione autoritaria per mettere in quarantena i popoli potenzialmente ostili alla globalizzazione mercatista e per neutralizzare con l’ausilio del discorso medico-scientifico ogni possibile contestazione del sempre più asimmetrico e disordinato ordine del fanatismo economico senza frontiere. Insomma, lo dico al di là di ogni possibile retorica: le parole di Sorgi vanno apprezzate per onestà e realismo, dacché non fanno altro che dire apertamente ciò che finora nessuno aveva avuto il coraggio di esprimere in modo tanto palese: siamo ormai in una situazione di evidente deriva autoritaria e postdemocratica, giustificata in nome di un’emergenza pensata ad hoc per essere infinita. Se l’emergenza permette di sospendere le libertà e la democrazia, non è ormai fuori luogo immaginare che essa venga appositamente evocata, narrata e magari anche all’occorrenza in futuro creata con questo scopo preciso: quello di scassinare la democrazia fingendo di rispettarne le forme, dicendo che Costituzione, libertà e diritti sono sospesi ma solo in relazione alla durata della emergenza; emergenza che poi però con tutta evidenza persiste e si cristallizza in una nuova normalità, con la conseguenza che nuova normalità di viene anche la sospensione dei diritti, delle libertà e della Costituzione. Attendiamo dunque che l’onesta e sobria profezia di Marcello Sorgi si realizzi, aspettiamo che arrivi un governo militare: del resto, ce lo ripetono fin dall’inizio, siamo in guerra; e se siamo in guerra occorre affidarsi ai militari, perché nel tempo dell’emergenza e del conflitto la democrazia e le lungaggini parlamentari sono nefaste. Ci vuole la scelta autoritaria immediata nell’hic et nunc. Anche in ciò sta l’essenza della crisi come metodo di governo, secondo quanto intuito perfettamente da Foucault. Ma i più non vogliono capire, e si ostinano a rimanere sulla superficie del discorso medicoscientifico, senza voler prendere coscienza del fatto che la questione è anzitutto politica, sociale ed economica.

Diego Fusaro

Dittatura sanitaria

di

Michele Sanfilippo29 gennaio 2021“Dittatura sanitaria”? Un concetto utile per decidere

Dittatura sanitaria”, locuzione di cui non ne conosco propriamente la genesi ed ho il timore di esserne, in qualche modo, l’ispiratore, allorquando, in tempi non sospetti, nel 2018, pubblicai il mio corso di Diritto sanitario nel quale, contestualizzando storicamente il diritto alla salute, in relazione ai vari diritti costituzionali, facevo presente che alla base del nazismo vi era una “medicalizzazione della società” e, per l’effetto, lanciavo un monito per il futuro. La “dittatura sanitaria” non è altro che un contesto dove viene utilizzato l’espediente di una emergenza, per instaurare un regime lesivo delle libertà fondamentali.

La forzatura interpretativa dei poteri previsti dal cosiddetto codice della Protezione civile, che consente l’emanazione dei famigerati Dpcm, è, per me, palesemente incostituzionale nella applicazione generalizzata all’intero Paese. A maggior ragione, perché esclude il Parlamento dalle funzioni proprie. Non sto a dilungarmi su eventuali altre soluzioni alternative, che probabilmente avrebbero comportato minori gravami per le persone e le aziende, ma vado direttamente ad analizzare lo sconquasso che il governo giallorosso ha provocato. Perché è utile parlarne ora, ora che vi sono “i volenterosi”, “i responsabili”, “i pronti all’uso” ed “i sempre pronti”, tipici personaggi del sistema parlamentare, da non demonizzare. Anche se a certi fondamentalisti della rappresentatività diretta, non avvezzi ai sistemi costituzionali, può sembrare uno scenario ancillare (ossia un mercimonio); fa parte del gioco che rende le crisi meramente politiche e non di sistema?

É doveroso parlarne ora, perché, proprio in un contesto di incertezza, si possono e devono mettere i paletti per l’azione del prossimo esecutivo, qualsiasi specie o faccia abbia. La prima verifica che deve essere fatta è se l’esecutivo passato abbia in qualche modo speculato su questa emergenza, casomai avvantaggiandosene per rimanere al potere o per far passare qualcosa di indigesto alla collettività. A seguito di questa analisi, dovrà pesarsi il comportamento, ovvero verificarne l’ampiezza: se sporadico o sistemico. Nel primo caso vi è, certamente, un comportamento censurabile, nel secondo siamo di fronte ad un tentativo di instaurazione di una “Dittatura sanitaria” che pretende e necessita una vigorosa reazione. In ogni caso dobbiamo vigilare.

Sotto il profilo tecnico-giuridico, dopo a livello di fonte primaria, ben 24 decreti legge (di cui 14 non ancora espressamente abrogati o decaduti), il decreto “Milleproroghe” e la legge di bilancio (composta da venti articoli, di cui uno di 450 pagine e 1150 commi) e 25 Dpcm (a livello di fonte secondaria-amministrativa) di cui quattro attualmente ancora vigenti, è avvenuto un potenziale sovvertimento delle fonti normative, che rendono assolutamente non trasparente il sistema normativo. Oltre a ciò, non si capisce chi decideva, se sedicenti tecnici e membri della pletora di commissioni composte da variegate congerie di categorie (esemplificativamente, nella commissione della ministero della Salute sulle Rsa, oltre all’alto prelato quale presidente, si trovano poetesse, giornalisti, registi) o il soggetto preposto dalla Costituzione, il quale è lì perché deve fare una sintesi di tipo politico e non delegare ai tecnici, instaurando un regime tecnocratico.

L’insidia maggiore, però, presente nella locuzione “dittatura sanitaria”, sta nella “medicalizzazione della società”, perché nell’incentrare tutta la nostra vita sul profilo della salute si innescano dei meccanismi psicologici di paura, irrazionalità, di classificazione per categorie che sono foriere della violazione della libertà personale e di quella collettiva. Ho trovato gravissima l’affermazione, che in realtà è un dato applicativo ed un dovere giuridico, che si deve usare il triage in questa pandemia, perché certe cose non si scrivono. Perché, scrivendole, si attribuisce un grado di sistematicità che non è consono, giacché dette drammatiche scelte dipendono dallo specifico caso concreto. Una siffatta opzione ci riporta a lugubri epoche, che speravamo superate dal principio di eguaglianza, ispirato dal caposaldo della “Dignità umana”.

Non so e, più che altro, non voglio esprimermi, sul fatto se si sia instaurato un regime di “dittatura sanitaria” o meno. Certamente, dico con forza che dobbiamo vigilare, perché gravi tensioni si sono verificate. E con questo porgo l’invito ai “pronti a tutto” a valutare per bene, mettendo al primo posto il rispetto dei principi e valori più profondi della nostra Costituzione, da usare quale bussola in questo tempestoso contesto.

http://www.opinione.it/societa/2021/01/29/michele-sanfilippo_dittatura-sanitaria-protezione-civile-dpcm-esecutivo-costituzione-emergenza-soluzoni-alternative/

Il totalitarismo democratico non è democrazia

Giovedì scorso, per presentare il mio libro Storia reazionaria del calcio. I cambiamenti della società vissuti attraverso il mondo del pallone, ho partecipato alla Festa nazionale di CasaPound che si teneva in un bel agriturismo (il meglio della dolcezza delle colline venete) ma parecchio fuori mano e lontano da Verona dove i militanti di questo gruppo hanno una certa consistenza. Evidentemente si era ritenuto opportuno tenerli il più possibile alla larga. C’era moltissima pula. L’ambiente era misto, insieme a giovani che si tatuano da capo a piedi c’erano famigliole con bambini. Il mio intervento si è svolto nella massima tranquillità e alla fine mi sono salutato molto cordialmente col presidente di CasaPound Gianluca Iannone. Non è la prima volta che accetto gli inviti di CasaPound, sono stato tre volte a Roma dove hanno la sede nazionale e ho potuto notare che fanno un buon lavoro sociale in aiuto alle famiglie disagiate. Naturalmente le teste di cazzo non mancano nemmeno qui, ma quando esorbitano dalla loro ideologia e compiono atti violenti vengono giustamente messi al gabbio come ha deciso anche di recente una sentenza della Cassazione. Ma questo non vale solo per Casapound ma per chiunque compia atti di violenza.

La targa della mia automobile è stata fotografata da agenti in borghese. Ora la mia domanda è questa. Se decidessi di aprire un profilo Facebook per i fatti miei –non ci penso neanche- incorrerei nelle sanzioni che la società di Zuckerberg ha comminato a CasaPound e Forza Nuova? Facebook –che se vogliamo metterci nella sua ottica, che non è la nostra, è uno dei peggiori seminatori di odio e di istigazione alla violenza come la cronaca ha ampiamente dimostrato- è una società privata che può darsi i regolamenti che vuole. Lo Stato italiano no, deve sottostare alla Costituzione che all’articolo 21 garantisce la libertà di opinione e di espressione. E non per nulla sia CasaPound e Forza Nuova, i due gruppi messi fuorilegge da Facebook, si sono regolarmente presentati alle elezioni sia pur prendendo percentuali bassissime.

Per legittimare l’intervento censorio di Facebook nei confronti di CasaPound e Forza Nuova ci si è richiamati alla legge Scelba del 1952 che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” e che dà attuazione all’articolo XII delle “Disposizioni transitorie e finali” posposte alla Costituzione. Sia la legge Scelba che la disposizione a cui questa legge dà attuazione avevano un senso al momento in cui furono emanate. Uscivamo da una gravissima sconfitta militare e da una sanguinosa guerra civile fra chi al fascismo si opponeva e chi il fascismo ancora difendeva. C’erano quindi ancora ferite aperte. Ma sono passati tre quarti di secolo da allora e proprio per questo i nostri padri costituenti definirono “transitorie” quelle disposizioni e sta ‘in re ipsa’ che una disposizione transitoria non può andare avanti all’infinito (altrimenti si chiamerebbe in altro modo) e prima o poi deve decadere.

Insomma queste leggi liberticide avevano un senso 75 anni fa, oggi lo hanno perso. Io voglio potermi dire fascista, anche se non credo di esserlo, è un mio diritto di libertà come è un mio diritto di libertà riconoscere le cose buone che il Fascismo pur fece (“Gli anni del consenso”, De Felice) come è un altrettale diritto di libertà vederne solo il peggio. Queste sono le regole della democrazia, di ogni democrazia, dove la libertà di esprimere le proprie idee e opinioni, per quanto possano essere ritenute aberranti dalla maggioranza, è sacra. Altrimenti non di democrazia si tratta ma di un totalitarismo democratico. Che non è meno totalitario di ogni altro totalitarismo.

Massimo Fini

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-totalitarismo-democratico-non-e-democrazia

Domanda ai costituzionalisti

Se la mozione di sfiducia al governo non è stata votata perché non è stata mai calendarizzata, e se in cambio il 20 agosto il premier Conte ha annunciato le sue dimissioni e Salvini nel frattempo ha ritirato la mozione – che non penso che qualcuno abbia letto –  con quale diritto, alla luce dell’art. 94 della Costituzione, si sta facendo un “Conte bis” – se costui si era dimesso – e senza Salvini?

Un rimpasto con il premier dimissionario e senza il primo partito alle ultime europee…

Per costoro che dicono di avere tanto a cuore il parlamento, o di voler “parlamentarizzare” la crisi (cfr Conte), come mai non è stata votata in parlamento alcuna mozione di sfiducia al governo, ma si procede lo stesso al rimpasto escludendo Salvini che ha avuto il maggiore numero di voti alle europee?Résultat de recherche d'images pour "costituzione italiana"

In barba al diritto costituzionale, con quale legittimità si sta procedendo a un governo alle spalle e sulle spalle degli italiani?

Non mi sembra che ci sia alcun fondamento costituzionale e stiamo assistendo al solito golpetto tecnico per rifilarci sempre più tasse, e sempre più portiaperti.

Tutto questo per vietare al popolo italiano, per l’ennesima volta, di esprimere ed esercitare il suo diritto di essere rappresentato nelle istanze del governo, del parlamento e dello Stato.

A prescindere dal giudizio che uno può avere del tentato e apparentemente goffo gesto di Salvini, o della simpatia politica o meno per la Lega, questo è a tutti gli effetti l’ennesimo golpetto in piena regola – vedi golpe a suo tempo a Berlusconi – probabilmente come frutto di un accordo tra il M5S e gli ambienti europeisti della Von der Leyen, per arrivare a una soluzione “tecnica”, sicuramente non a quella voluta da Salvini: meno tasse, e porti chiusi.

Lacrime e sangue, la Grecia è vicina

Nforcheri  27/8/2019

Art 94

Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.(…)
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione (1).

(Inoltre, la mozione di fiducia dev’essere presentata nei confronti del governo intero e non nei confronti di un singolo ministro.)

 

Riscatto o ricatto?

Il principio che regge l’assegnazione delle pensioni deve ridiventare parzialmente retributivo con l’aggiunta di una bella fetta di redistributivo/sociale, mentre il contributivo deve ritornare da dove viene: il settore privato bancario assicurativo. In tale sistema, il contributivo servirà unicamente ad alimentare un fondo pensioni PRIVATO per chi volesse, o potesse, farsi la pensione complementare.

Soprattutto perché, trasferendo il principio contributivo al settore previdenziale, abbiamo trasferito principi di diritto privato e bancario a un diritto che dovrebbe essere sociale e pubblico, in ossequio alla Costituzione: diritto al reddito minimo e diritto a una congrua pensione. Il risultato? Abbiamo distrutto il previdenziale: un servizio pubblico ispirato ai principi di solidarietà economica e sociale, dell’articolo 2 della Costituzione,

Come se non fosse bastata questa ignominia, ce n’è stata un’altra: il passaggio al contributivo secco, come è stato operato dai traditori del popolo italiano, mieterà ancora tanta macelleria sociale ed è consistito in una spoliazione pura e semplice dei nostri diritti, in un contesto recessivo che dura da decenni, di disoccupazione galoppante e di suboccupazione, occupazione precaria e contrattini stagionali, temporanei, a cottimo e quant’altro, che non assicurano la continuità dei contributi tale da raggiungere, in moltissimi casi, pensioni decenti o pensioni tout court.

In tutti i paesi europei, laddove esiste prevalentemente il contributivo, non solo esiste il sussidio alla disoccupazione, ma esiste, inclusa in esso, la continuità contributiva alla pensione.

Ora noi in Italia ci troviamo nella peculiare situazione in cui, non solo NON esiste il sussidio generale alla disoccupazione e suboccupazione (che i 5S vogliono realizzare con il “reddito di cittadinanza” sebbene da come lo descrivono mi sembra poco universale), ma siamo passati al contributivo secco che sta penalizzando e penalizzerà almeno due se non tre generazioni di italiani: dai cinquantenni in giù. Siamo passati a un contributivo secco senza alcun ammortizzatore sociale, senza alcuna garanzia simile a quelle che esistono negli altri paesi europei. Una riforma pensionistica sporca, brutta e cattiva, attorno alla quale non si è riflettuto abbastanza sui principi che la reggono, e sulla loro conformità alla Costituzione.

Anzi, passare al contributivo secco in realtà, è assolutamente incostituzionale, in quanto non assicura e non assicurerà quelle pensioni decenti per la dignità del cittadino, in un frangente di disoccupazione, licenziamenti, recessione e deflazione, oltre che di fuga di materia grigia all’estero. Il contributivo è contrario alla solidarietà economica e sociale.

Siamo l’unico paese inoltre in cui l’istituto previdenziale nazionale richiede un riscatto ai suoi cittadini scappati all’estero a studiare e/o a lavorare e ritornati in patria in un’età non ancora pensionabile. “Riscatto”, una parola che quando mi è stata proposta, non conoscevo in tal veste. Riscatto de che? Sicuri che non sia piuttosto un “ricatto”? O paghi, e SALATO, o sei FUORI!!

Tutto questo perché, in questa Europa fandonia, dove sono riusciti a imporci una NON moneta NON unica, non sono neanche riusciti a trovare un accordo tra Stati membri per una continuità pensionistica dei cittadini che si spostano, una uniformità di principi, al fine di tutelare la tanto vantata libera circolazione dei lavoratori.

Sarebbe quindi il caso di riflettere a quale tipo di società desideriamo anche per i nostri anziani, e per noi quando saremo anziani, a quale principio vogliamo che si ispiri la redistribuzione pensionistica e, last but not least, quali debbano essere gli strumenti per tale redistribuzione.

Inutile dirvi che la mia risposta è sempre quella. Con la sovranità monetarie noi avremmo il potere di creare potere di acquisto da redistribuire ai nostri anziani, non solo, ma alla sanità, alla ricerca, alla scuola, alle opere pubbliche ecc ecc ecc

Per arrivarci dobbiamo sicuramente riprendere la crescita, con un sistema di aiuti di stato come hanno paesi come Francia e Germania in barba alle regole Antitrust UE, ricreare l’IRI (come la Francia) e rinforzare il comparto pubblico industriale e DEL TURISMO. Dobbiamo anche e soprattutto liberarci della mafia degli idrocarburi, che poi è quella della moneta, che ci sta imponendo la globalizzazione che conosciamo, con immissione di merci e forza lavoro in dumping.  Sembra impossibile, ma con la nostra consapevolezze ci arriveremo.

Dobbiamo infine liberarci soprattutto dei nostri steccati mentali e, a giudicare da quanto questa tematica sia così lontana dalla mente di tutti, mi sembra la cosa più difficile di tutte: dal retributivo ne siamo appena usciti dopo decenni in cui ce l’hanno dipinto come pessimo. La propaganda è riuscita, inutile dirvi che è quella strumentale ad accettare l’euro e la progressiva cessione di qualsiasi sovranità. La quale fa il paio con la progressiva spoliazione di qualsiasi diritto sociale ed economico, della persona.

Se vogliamo ricuperarli, dobbiamo rimettere in discussione tutti i frame errati che ci hanno inculcato. Uno di questi è senza dubbi, il contributivo, assolutamente.

Nicoletta Forcheri

https://nicolettaforcheri.wordpress.com/2018/07/14/il-contributivo-e-incostituzionale/

Referendum confermativo: una consultazione senza quorum

Il concetto moderno di referendum è, secondo il vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli, quello di un appello, autorizzato e regolato dalla legge, al corpo elettorale perché si pronunci su singole questioni o più particolarmente, sulla struttura essenziale dello Stato o del governo, in quest’ultimo caso con significato riconducibile a plebiscito.
Il termine deriva dal latino, nello specifico dal gerundio del verbo refero (refers, retuli, relatum, referre) che tra i suoi numerosi significati annovera anche quelli di riferire, riportare, rispondere.
Il termine quorum, anch’esso di chiara provenienza latina, deriva dalla frase “quorum maxima pars” e sta a significare il numero legale, la maggioranza, istituti ancora oggi fondamentali negli organi e nelle decisioni collegiali.
Nel referendum confermativo, detto anche costituzionale o sospensivo, si prescinde dal quorum, ossia si procede al conteggio dei voti validamente espressi indipendentemente se abbia partecipato o meno alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, a differenza pertanto da quanto avviene nel referendum abrogativo.
Attraverso il referendum abrogativo si decide se abrogare o meno una legge mentre con il referendum confermativo il popolo decide se confermare o meno una legge di riforma costituzionale già approvata dal Parlamento, ma senza la maggioranza qualificata dei due terzi.
Si procede ad un referendum confermativo di una legge costituzionale nel caso in cui entro tre  mesi dalla pubblicazione della legge stessa, ne facciano richiesta un quinto dei membri di una camera, oppure 500.000 elettori oppure cinque consigli regionali. La votazione ha luogo in una domenica compresa fra il 50° e il 70° giorno successivo all’indizione del referendum stesso.

Così dice il sito del ministero dell’interno: http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/elezioni/app_notizia_22182.html

Si vota domenica 4 dicembre e Chi andrà a votare dovrà esprimere il suo voto sbarrando il (se è favorevole alla riforma costituzionale), o No (se intende bocciare il ddl Boschi).

Centralità del popolo

Deve iniziare un nuovo approccio basato sull’idea che la responsabilità fondamentale di un governo è quella di massimizzare il benessere dei propri cittadini, non quella di perseguire una qualche idea astratta del bene globale. Le persone vogliono sentire che hanno la possibilità di stabilire il tipo di società in cui vivono. Può essere inevitabile che le forze impersonali della tecnologia o le mutate circostanze economiche globali abbiano un effetto profondo, ma quando i governi stringono degli accordi che cedono il controllo ai tribunali internazionali, non fanno altro che aggiungere al danno la beffa. Questo è specialmente vero quando, per questioni legali o per circostanze contingenti, le multinazionali si trovano ad avere un’influenza spropositata nel determinare gli accordi globali.

Se il sistema bancario italiano è gravemente sottocapitalizzato e il governo democraticamente eletto dal paese vuole utilizzare il denaro pubblico per ricapitalizzarlo, perché mai degli accordi internazionali dovrebbero intervenire a impedirlo? Perché mai dei paesi che ritengono che i prodotti geneticamente modificati siano dannosi per la salute non dovrebbero mettere, di conseguenza, al riparo i propri cittadini? Perché mai la comunità internazionale dovrebbe cercare di impedire a dei paesi di porre un limite all’afflusso di capitali esteri, se questi lo vogliono? In tutti questi casi il punto fondamentale non è nel merito, ma nel principio. Il principio è che le intrusioni nella sovranità dei popoli hanno un costo elevato.

Ciò di cui c’è bisogno è un nazionalismo responsabile — un approccio secondo il quale il primo obiettivo di un paese è quello di perseguire il benessere economico dei propri cittadini, fermo restando che venga circoscritta e limitata la sua possibilità di danneggiare gli interessi dei cittadini di altri paesi. Gli accordi internazionali non devono essere valutati in base a quante barriere abbattono, ma a quanto potere danno ai cittadini.

Questo non deve significare la riduzione della cooperazione internazionale. Può anzi significare maggiore cooperazione. Per esempio, l’attuale peso della tassazione sui lavoratori di tutto il mondo è di migliaia di miliardi di dollari maggiore che se si introducesse un opportuno sistema internazionale di coordinazione, in cui vengano identificati i redditi da capitale e si impedisca una corsa al ribasso sulla tassazione di questi ultimi. Ma la tassazione è solo l’esempio più ovvio di un ambito nel quale la corsa al ribasso interferisce con il raggiungimento di obiettivi nazionali. Altri ambiti potrebbero riguardare la regolamentazione del lavoro o della finanza e gli standard ambientali.

estratto da http://vocidallestero.it/2016/07/11/summers-sul-financial-times-gli-elettori-meritano-un-responsabile-nazionalismo-non-un-globalismo-di-riflesso/

Facili profezie

Circa due anni fa, PRIMA del voto alle politiche che videro l’affermazione del Movimento 5 stelle, scrivevamo (potete controllarlo qui):

“Sembra che la novità di queste ultime ore, a detta dei commentatori, sia la ascesa, nei sondaggi, del movimento 5 stelle, per il quale alcuni citano la Jacquerie.

A dire il vero il paragone più affine mi sembra quello col poujadismo, ma, a giudicare da quello che è successo ad entrambi, pur vittoriosi al momento, non credo che i partiti tradizionali debbano preoccuparsi.
Anzitutto l’elettorato non sa nulla di chi non è passato per la TV, poi la debolezza dei movimenti (si pensi solo alla Lega dell’inizio della seconda repubblica): si sono rivelati sempre incapaci di gestire la politica, in quanto privi del tradizionale apparato e in tutto dipendenti dal capo carismatico, che non può essere dappertutto a gestire situazioni che il semplice militante non è assolutamente in grado di fronteggiare”.

A distanza di due anni abbiamo visto sciogliersi nell’inazione il movimento che non ha saputo (o voluto) radicarsi nel territorio e costituire una valida alternativa ai partiti che si proponeva di sostituire.

Chi credeva nel movimento e ha tentato di sganciarsi dal suo leader è stato completamente ignorato dall’elettorato e penalizzato da una legge definita incostituzionale alla quale il parlamento sta rimediando eliminando(pardon riformando)  la costituzione.

Venerdì notte, la Camera dei Depu­tati — senza le oppo­si­zioni che ave­vano abban­do­nato l’aula — ha modi­fi­cato, nell’ambito della riforma della seconda parte della Costi­tu­zione, anche l’ex arti­colo 78, quello che norma le moda­lità della dichia­ra­zione dello «stato di guerra».

Ora basterà, con la modi­fica appro­vata, un voto della Camera dei Depu­tati (e non più, anche del Senato), con la mag­gio­ranza asso­luta dei com­po­nenti. Addi­rit­tura in una prima ver­sione, il governo aveva pre­vi­sto la mag­gio­ranza sem­plice, cioè dei pre­senti.(1)
Come previsto, tra un po’ avremo ben altro di cui preoccuparci!

Tengo famiglia

La situazione è gravissima e compromessa al punto che occorrerebbe un fronte comune di tutti gli Italiani. Purtroppo, nel nostro Paese esiste un limite culturale enorme: l’assenza del concetto di bene comune. “Extra ecclesia nulla salus”, diceva S. Agostino. E l’Italiano vive all’interno della sua ecclesia, famiglia o conventicola, dove entra o per diritto di nascita o per cooptazione, e poco gli cale che il suo orticello, il suo “particulare”, si trovi nel Lazio, in Italia, in Europa, o nel mondo. Ecco perché la colonizzazione ha sempre avuto buon gioco nel nostro sventurato Paese, ecco perché l’Italiano non ha mai fatto una rivoluzione, ed ecco perché l’Italia non offre – ne offrirà mai – alcuna resistenza al progetto del mondialismo, che vedrà presto la creazione di un’area di libero scambio tra Ue e Usa. L’impossibilità di salvare l’Italia è una impossibilità antropologica. Sulla bandiera dell’Italia, come chiosava Longanesi, dovrebbe esserci scritto: “Tengo famiglia”.

estratto da: http://tempesta-perfetta.blogspot.it/2013/05/storia-di-un-romanzo-criminale-la.html