In questo articolo riprendiamo alcune considerazioni di Todd (Il declino dell’impero americano), stavolta centrate sull’aspetto economico. La tesi di Todd è che si è passati da una ideologia sostanzialmente egualitaria,affermatasi negli anni ’60, ad una profondamente disugualitaria e questo deriva dall’imporsi della teoria del libero scambio.
“Come si è visto, le conseguenze disugualitarie del libero scambio sono immediate, evidenti, facili da prevedere. Volere o accettare il libero scambio equivale a volere o accettare la disuguaglianza. È la conversione della società americana all’ideologia antiugualitaria, derivante dalla sua nuova stratificazione culturale, che ha determinato la scelta e la persistenza dell’apertura commerciale. Il liberoscambismo, con la sua passione per i redditi elevati e la riduzione della progressività della tassazione, non è che uno dei mezzi con i quali la società americana realizza il suo nuovo ideale di disuguaglianza. È per questo che l’ideologia antiugualitaria non si esprime soltanto nel libero scambio, né in semplici fenomeni economici: gli anni 1963-1970 costituiscono una svolta nella storia ideologica della società americana. È in quegli anni che si sgretola l’ideale di assimilazione ugualitaria e ha inizio la rivendicazione multi-culturalista, che insiste sulla natura insormontabile delle differenze etniche. Beyond thè Melting Pot di Nathan Glazer e Patrick Moynihan, che lancia questo tema confrontando gli irlandesi, gli ebrei, gli italiani, i neri e i portoricani di New York, risale al 1963. L’offensiva culturale contro l’ideale di uguaglianza precede l’affermazione del libero scambio assoluto. La disuguaglianza economica non è che una manifestazione fra le altre, la più cosciente, quella meglio misurabile, dell’ascesa del nuovo subconscio disugualitario.” E.Todd, L’illusione economica, p.179
Inutile dire che questo discorso, col consueto scarto temporale, vale anche per L’Italia e naturalmente quello che rende sopportabile questa idea è “l’illusione” di essere tra i privilegiati o di potervi rientrare, anche se i dati oggettivi testimoniano chiaramente di uno slittamento verso il basso dei redditi delle classi medie. Senza contare che l’affermarsi della teoria della disuguaglianza porta a una lotta di tutti contro tutti che isola l’individuo rendendolo insicuro e la mancanza di valori collettivi condivisi sgretola qualsiasi istituzione: lo stato, la scuola, la famiglia…. Quello che meraviglia Todd, a questo punto, è la cecità degli individui (pur sviati dei media) di fronte ad uno stato di cose sicuramente deleterio per loro e ne individua la causa nel subconscio umano.
“L’uomo è dunque l’animale che vuole sapere. Ma è anche, per una fondamentale, inestricabile ambivalenza, l’animale che non vuole sapere, che per vivere tranquillamente l’esistenza terrena deve dimenticare l’essenziale: l’ineluttabilità della sua stessa morte. L’uomo è capace di negare in qualsiasi momento la realtà, di mentire a se stesso, per “funzionare” in modo soddisfacente. È per questo che l’inconscio, come ha sottolineato Freud, ignora la propria morte. Un uomo efficiente è fatto, psicologicamente e biologicamente, in modo da non pensare quasi mai all’essenziale, la propria scomparsa. Sarebbe dunque del tutto assurdo considerare straordinario, inverosimile, stupefacente il fenomeno della cecità. Si deve al contrario ammettere l’esistenza, nell’intimo dell’essere umano, di una sorta di predisposizione genetica alla negazione della realtà, capace di generare l’illusione necessaria alla vita. Distolta dal suo fine principale, questa predisposizione così utile autorizza altre negazioni della realtà. Ogni situazione percepita come troppo complessa, troppo penosa, troppo minacciosa, viene aggirata, vanificata, negata. La crisi di civiltà che viviamo è una situazione di questo tipo, che attiva potentemente, in seno all’elite occidentale, la predisposizione biologica e intellettuale a negare la realtà. Il declino delle credenze collettive, in quanto l’isola l’individuo nella sua paura, rivela questa sostanziale fragilità. Si può perfino dire che l’accresce. Ogni credenza collettiva è una struttura di eternità che definisce un gruppo capace di perpetuarsi al di là della vita individuale. Una delle sue funzioni essenziali è il superamento del senso di finitezza dell’individuo. Se il gruppo viene eliminato, l’individuo ricade in preda dell’intollerabile consapevolezza della propria fine ineluttabile, e deve entrare in azione la predisposizione umana a fuggire dalla realtà. Al di fuori delle credenze collettive, il lungo termine non ha più senso. Può prevalere la preferenza degli uomini, delle società e delle economie per il breve termine. Nel cuore della crisi dobbiamo dunque individuare l’affossamento delle credenze collettive e, in particolare, dell’idea di nazione. Possiamo constatare nella realtà che il tracollo dell’inquadramento sociale e psicologico non ha condotto gli individui alla liberazione e allo sviluppo ma, al contrario, a una condizione in cui sono schiacciati da un senso di impotenza”.