Sedotti e abbandonati

C’è stato nei giorni scorsi un timido tentativo di ribellione alla segregazione e alle ridicole misure della cosiddetta fase due da parte  dei commercianti e dei lavoratori autonomi messi in condizione di non poter più lavorare e di dover chiudere letteralmente bottega. Tentativo timido, presto risoltosi con le solite multe,  perché effettuato da persone allergiche alla piazza e anzi solida base delle maggioranze silenziose, ma soprattutto perché portato avanti da gente frastornata e incredula, convinta che sarebbe stata appoggiata e supportata dalle opposizioni nel triste percorso di un’epidemia puramente narrativa, mentre si è accorta che ormai piccolo è brutto, che le misure andavano a favorire senza alcuna ragione sostanziale, le grandi organizzazioni di distribuzione, sia fisica che di rete, le grandi aziende e persino il latifondo con i suoi schiavi immigrati la cui ressa contraddice in assoluto le stesse premesse della segregazione; che insomma loro erano ormai fuori dal trionfante cammino del neoliberismo che avevano appoggiato con entusiasmo illudendosi di esserne i protagonisti.

In Italia si arriverà tranquillamente  fino al 2023, determinando la moria di almeno i tre quarti delle piccole e microaziende italiane pur di evitare le elezioni e far arrivare i parlamentari a fine legislatura. Con Conte o con qualcun altro, ha poca importanza. Nessuno che sia al potere rinuncerà alla dittatura della precauzione anche se essa è puramente narrativa, a meno che non vi sia una vera rivolta popolare di cui tuttavia non si scorge nemmeno un indizio.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2020/05/14/sedotti-e-abbandonati/

Per i vostri figli

So bene che, ogni volta che qui si affronta un tema economico, non ha lettori; però, visto che da gennaio il crack delle banche lo dovremo pagare noi (bail-in), sarebbe meglio che cominciaste ad occuparvene.

«Essenzialmente, bisogna creare in qualche modo denaro libero da debito, e libero da interessi, da iniettare direttamente nelle tasche dei consumatori, in modo da permettere loro di pagare gli interessi sul debito contratto. Questo è il rimedio “alla Keynes”, che non intacca la creazione di denaro bancario per indebitamento, ma anzi lo rimette in piedi. Persino l’ultra-liberista Milton Friedman suggerì di lanciare dollari dall’elicottero, anzi fu lui l’inventore dell’idea della Helicopter Money.

….

Tutti i metodi però coinvolgono quel che il Nobel francese Maurice Allais formulava così: “Restituire allo Stato, e allo Stato soltanto, il potere di creare moneta”. Moneta senza interessi con cui rimettere in moto l’economia pagando salari. E’ quel che un altro grande economista per nulla statalista, Irving Fisher (il rivale di Keynes) propose con il nome di 100% Money: ossia le banche abbiano una riserva obbligatoria del 100 per cento, non del 5 o 2 per cento come oggi. In altre parole, possano prestare solo l’ammontare dei depositi che hanno in cassa e non di più.

Naturalmente, l’orripilata reazione dei teorici del capitalismo è prevedibile: “Volete restituire ai governi, ossia ai politici, il potere di creare moneta?! Ma avete presente come sono corrotti? Proprio per sottrarre alla corruzione politica abbiamo separato il Tesoro dalla Banca centrale, lasciando che siano le banche   private a prestare, creando denaro sul mercato del debito!”.   La risposta dovrebbe essere semplice, se siete in buona fede: “Perché, i banchieri si sono mostrati meno corrotti? Hanno abusato meno del potere di creare moneta? Ne hanno abusato di più, ancor più irresponsabilmente, provocando crack, bolle, una mostruosa nuvola di derivati, sprechi, soldi agli amici e niente ai nemici. Prestiti andati a male, ossia investimenti da incapaci o da delinquenti; che si son fatti pagare dai contribuenti (bail-out), col ricatto che le banche non possono fallire, altrimenti si trascinano via i vostri risparmi. Difficilmente dei politici avrebbero potuto fare peggiori disastri”.

E’ un rischio inerente al potere di creare moneta. Motivo per cui occorre controllare da vicino chi lo ha. I politici li controlliamo meglio del “sistema bancario globale”, o no?

Cosa fare? Come in tutti i tempi di crisi, sorgono dal basso delle idee non convenzionali.

Gli svizzeri decideranno per referendum se   togliere alle banche il potere di creare denaro indebitando: sono state raccolte le firme per il referendum, ai cittadini la parola.

http://www.zerohedge.com/news/2015-12-24/switzerland-vote-ending-fractional-reserve-banking

Il governo dell’Islanda ha preso in considerazione la stessa proposta: ritirare, per legge, il diritto alle banche private di creare moneta, per mettere fine al ciclo di boom e crack ineluttabile quando la moneta diventa una merce .

http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11507810/Iceland-looks-at-ending-boom-and-bust-with-radical-money-plan.html

Aggravata dalle sanzioni globaliste e dal calo del greggio (manipolato dai suoi nemici) la Russia di Putin ha sul tavolo le proposte del suo consigliere Sergey Glaziev: prestiti mirati a industrie e imprese capaci di produrre beni di sostituzione a quelli importati, a tassi d’interesse bassi (1-4%), finanziati dalla banca centrale con la creazione di moneta.

http://sputniknews.com/business/20150915/1026993814/russia-economics-reform.html

Più importante   se non foss’altro, perché viene da Londra, la capitale del dogma –   la proposta del candidato laburista Jeremy Corbyn, “quantitative easing per il popolo”. La Banca centrale, invece di creare moneta dal nulla per le banche, dovrebbe crearla per darla ad autorità locali, casse create per specifici propositi,   trust sanitari, insomma banche popolari vere che nascono apposta per finanziare investimenti, infrastrutture e risanamenti che i “mercati finanziari” mancano completamente di considerare, e per dare salari per lavori utili che adesso mancano.

E’ un ordine di idee accettato persino da Bernanke e da Friedman, almeno nella situazione d’emergenza è che è la deflazione pienamente consolidata. Allora da dove vengono gli ostacoli? Dalle normative UE dettate dai tedeschi e da tutti noi accettate.

“La proposta di Corbyn – ha scritto il Telegraph – si scontra con l’art.123 del Trattato di Lisbona, che proibisce alle banche centrali di finanziare la spesa pubblica”. Se il Labour di Corbyn andasse al governo, dovrebbe lottare per tre anni di lotta legale con la Corte di Giustizia Europea”.

Sui media inglesi, Corbyn è demonizzato e mostrificato più ancora d Putin. Buon segno. Vuol dire che fa paura ai padroni del sistema. Se avrà successo, ci toccherà ancora una volta ringraziare gli inglesi di averci “liberato” dai tedeschi?»

Fonte: L’articolo Per i nostri figli, dobbiamo uscirne è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

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10 Responses to “Per i vostri figli”

  1. Bisogna studiare, bisogna indagare, bisogna fare domande, bisogna spegnere il televisore, bisogna smetterla di vedere più di una partita di calcio a settimana, bisogna smetterla di frequentare bar che vendono solo birre artigianali, bisogna smetterla di andare in palestra e anche soltanto di desiderare di andare in palestra (dopo il lavoro lo sfruttato va a fare l’orto e dopo ancora si reca al chioschetto a prendere la 0,66 a tre euro senza servizio al tavolo – lo sfruttato è idiota se paga il servizio), bisogna crescere, bisogna organizzarsi, bisogna militare, bisogna volere, bisogna maturare, bisogna essere disposti a costituire con altri un blocco sociale, bisogna agire un po’ per sé nell’immediato e un po’ per il sistema e dunque per i figli. Solo chi adempie questi doveri, solo chi assolve questi oneri, forse, potrà un giorno migliorare la propria condizione e quella dei suoi figli.
    http://www.appelloalpopolo.it/?p=14999

    #1411
  2. Mentre il nuovo governo polacco di Beata Szydlo si accinge a deliberare il reddito di cittadinanza per tutte le famiglie che hanno più di un figlio e mette in cantiere la rinazionalizzazione del settore bancario, i rappresentanti dei partiti di centrosinistra sconfitti nelle elezioni di ottobre scendono in piazza ad urlare la loro rabbia contro il partito di maggioranza “Diritto e Giustizia” di Jaroslaw Kaczynski, “colpevole” di voler riformare a tempo di record la Polonia.
    http://www.controinformazione.info/polonia-governo-nazionalizza-banche-e-da-bonus-alle-famiglie-sinistra-euroserva-e-banchieri-insorgono/

    #1412
  3. Dobbiamo rivolgerci alla troika per evitare il contagio che ci sarà, però non possiamo salvare le banche per evitare il contagio (come hanno fatto i tedeschi) perché forse non ci sarà.(!)

    Significa una cosa molto semplice: io i soldi te li do se fai quello che dico io. Significa, cioè, che i risparmiatori vengono prima espropriati dei soldi, e poi della loro sovranità, cioè dei loro diritti politici (come la Grecia ha dimostrato). Tutto questo, si badi bene, per prendere misure che hanno fallito ovunque (se della Grecia non si parla un perché c’è, ed è che i problemi sono tutt’altro che risolti), misure la cui logica economica è ormai sconfessata perfino dai cialtroni che nella mia professione l’avevano rivendicata come l’unica possibile, misure che sono giustificate unicamente da una logica di carattere predatorio.
    http://goofynomics.blogspot.it/2015/12/ci-siamo-feld-sullesproprio-con.html

    #1413
  4. Il povero, come spiegato anche da Max Weber nella sua magistrale ed eterna opera prima, nel mondo protestante è colpevole intrinsecamente perché privo della grazia di Dio. La povertà, elemento fondante del cattolicesimo in epoca medioevale come viatico verso le sfere celesti nella vita ultraterrena, è per il protestante sintomo di un peccato da espiare. Allo stesso modo si inverte il primato assegnato dal cattolicesimo alla vita contemplativa che, in ambito protestante, è sottoposta invece alla vita attiva, vera testimonianza della grazia celeste.
    http://www.appelloalpopolo.it/?p=14965

    #1414
  5. “La Svizzera terrà un referendum per decidere se vietare alle banche commerciali di creare denaro. Il governo federale svizzero ha confermato giovedi [24 dicembre u.s. – ndr] che sarà svolto un plebiscito, dopo che più di 110.000 persone hanno firmato una petizione che chiede di dare competenza esclusiva per creare denaro nel sistema finanziario alla banca centrale. La campagna – guidata dal movimento Moneta Sovrana Svizzera e conosciuta come l’iniziativa Vollgeld – è destinata a limitare la speculazione finanziaria richiedendo alle banche private di detenere riserve pari al 100% dei loro depositi”.
    http://www.controinformazione.info/svizzera-pronta-per-una-rivoluzione/

    #1415
  6. La condotta criminale dei direttori del FMI non è una anomalia o un ostacolo per la loro selezione. Al contrario. essi furono selezionati perchè riflettevano i valori, gli interessi ed il comportamento della elite finanziaria mondiale: truffe, evasioni delle imposte, corruzione e trasfrimento massiccio di ricchezza pubblica su conti privati sono la norma per l’establishment finanziario. Queste qualità si adattano perfettamente alle necessità dei banchieri che hanno fiducia nell’accordo con i loro omologhi nel FMI. L’elite finanziaria internazionale ha necessità che i dirigenti del FMI non abbiano scrupoli nell’utilizzare un doppio standard e nell’infrangere le procedure standard. Ad esempio, l’attuale direttrice esecutiva, Christine Lagarde, ha prestato 30 miliardi al regime fantoccio in Ucraina, nonostante che la stampa finanziaria specializzata avesse descrittto con grandi dettagli come gli oligarchi corrotti abbiano rubato migliaia di milioni con la complicità della classe politica (Financial Times, 12/21/14, pag.7). La stessa Lagarde cambia le regole sul pagamento dei debiti che permette all’Ucraina di realizzare il suo pagamento dei suoi debiti sovrani alla Russia. La stessa Lagarde insiste che il governo greco di centro destra possa ridurre ancora di più le pensioni in Grecia al di sotto del livello di povertà (Financial Times, 12/21/15, pag. 1). Sembra evidente che il taglio selvaggio del livello di vita, che decretano i dirigenti del FMI da tutte le parti, non è estraneo alla loro storia personale criminale. Stupratori, truffatori, militaristi, sono soltanto le persone adeguate per dirigere una istituzione, visto che questa fa impoverire il 99% delle popolazioni ed fa arricchire l’1% dei super-ricchi. Fonte: Global Research Traduzione: Manuel de Silva
    http://www.controinformazione.info/il-lavoro-sporco-del-fondo-monmetario-internazionale/

    #1416
  7. Chissà se anche l’Europa
    che sembra così seria
    è fatta per contare, per farci comandare
    o metterci in miseria.
    https://youtu.be/tp8DkWvJSY8

    #1417
  8. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse.
    http://www.controinformazione.info/frode-e-usura-normalita-bancaria/

    #1419
  9. http://www.bondeno.com/2011/12/23/la-legge-bancaria-del-1936/
    Le piccole banche fanno gola perché sono dei “piccoli giganti” (come diceva Padoa Schioppa), ma vanno difese da quell’alta finanza, dedita solo alla raccolta e al finanziamento discriminatore ma di cui molti commentatori si fanno portavoce sulla stampa italiana, che mira ad impossessarsene per pervenire poi a situazioni monopolistiche, incurante dei disastri che provoca così come è riuscita a fare nel settore immobiliare, di cui si è perseguita la finanziarizzazione a mezzo di una smodata tassazione.

    #1420
  10. Il nostro compito – almeno, mi piacerebbe che ci fosse dibattito sull’argomento – mi sembra che dovrebbe essere “far notare” alla gente (a quelli ancora preda dell’idiozia) le incongruenze e le mille infelicità che questo sistema economico porta con sé, non dire loro che incrementando temporalmente il rateo dello spread il millibar della guerra climatica diacronica decresce: secondo voi, ci capiscono qualcosa? Ma, qualcuno di noi cosiddetti scrittori o blogger – ma anche i lettori, prima di commentare – va, ogni tanto, in un mercato rionale e si confronta con le persone vere? In carne ed ossa?
    http://carlobertani.blogspot.com/2016/01/su-e-giu-lungo-le-scale-della-storia.html
    A Bondeno il problema è opposto: tanti vanno al mercato del martedì, ma poi non leggono nulla!

Servizi pubblici quotati in borsa

di Marco Bersani

Renzi peggio di Berlusconi. Se quest’ultimo, non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo l’obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata l’anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il “pacchetto 12” contenuto nello “Sblocca Italia” fa molto di più.

Questa volta non si parla “solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa: entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%.

Leggi tutto su http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=108673&typeb=0

Probabilmente gli enti locali saranno contenti per l’afflusso di denaro fresco, i privati perché entreranno nel mercato dei servizi essenziali (di quelli che ancora non hanno) e i cittadini dovranno accontentarsi per forza.

Contro riforme

Nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Il discorso riformista è nella realtà un gigantesco quanto  complesso dispositivo volto  alla massima estensione e concentrazione della proprietà privata, producendo involuzione politica, sociale e culturale. Questo scritto vuole essere un grido d’allarme per impedire l’uso indiscriminato di una formulazione che, nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, ha cambiato interamente  senso. Dietro  l’uso della retorica delle riforme si cela una strategia  che utilizza la sovversione di significato di questo termine per produrre risultati sociali sempre piu irreversibili. La strategia riformista, che questo volume vuole portare allo scoperto sperando in un effetto  Dracula, per cui essa potrebbe morire se portata  alla luce del sole, conduce alla sistematica distruzione di ogni istituzione sociale che non sia perfettamente coerente con la massima estensione della proprietà privata e dell’attività di consumo, il brodo di coltura in cui essa prospera fin dalle sue origini nella rivoluzione borghese. L’individualizzazione  sociale e la riduzione di ogni rapporto umano allo scambio di mercato, scopo ultimo della logica capitalistica dell’accumulo e dello sfruttamento senza fine, sono progressivamente strutturati tramite un insieme di trasformazioni istituzionali, le riforme appunto, che sortiscono il loro effetto socialmente nefasto tanto nel caso in cui siano effettivamente realizzate quanto nell’ipotesi che non lo siano.nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Dalla introduzione del libro “Contro riforme” di Ugo Mattei, disponibile anche in e-book 116pp. Einaudi 2013

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