Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – Napoli, 23 gennaio 1744) è stato un filosofo, storico e giurista italiano, noto per il suo concetto di verità come risultato del fare (verum ipsum factum). Il suo maggiore lavoro è la Scienza Nuova, (nel titolo originale Principi d’una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per i quali si ritruovano altri princìpi del diritto naturale delle genti) pubblicato una prima volta nel 1725 e poi ancora – dopo ampliamenti e riscritture – nel 1730 e nel 1744, anno della sua morte.
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Da tutto ciò consegue che, per Vico, suprema e unica scienza da perseguire è la storia, nella quale l’uomo conosce ciò che egli stesso ha fatto, ovvero la verità nel suo farsi, nel suo sviluppo ideale. In questa concezione per certi versi platonizzante di Vico, alcuni studiosi hanno visto il preannuncio con notevole anticipo del successivo sviluppo dell’idealismo tedesco. Essa tuttavia è per certi versi opposta allo storicismo di Hegel, il quale vedeva la storia come un continuo progresso della coscienza assoluta, a partire da gradi inferiori fino a quelli via via superiori. Secondo Vico, invece, la storia non è un progressivo perfezionamento dell’assoluto, poiché questo è tale sin dall’inizio del suo dispiegarsi. La sua concezione presenta maggiori somiglianze con quella di Fichte e Schelling, o ancor più con la visione circolare propria delle filosofie orientali secondo cui nella storia non si dà un autentico progresso, ma al contrario un eterno ritorno di cicli sempre uguali. Lo studio della storia è una scienza nuova, per Vico, la quale, mediante l’unione di filosofia e filologia, deve occuparsi di individuare e documentare gli eventi della storia, i fatti, ma soprattutto deve interpretarli ricercandone quelle ragioni ideali ed eterne, che sono destinate a presentarsi costantemente, in modo ripetitivo anche se in gradi diversi, all’interno di tutti i momenti della storia. La scienza di Vico si baserà perciò su un metodo storicistico, basando la sua analisi su alcune premesse ovvero principi ritenuti intuitivamente certi, che Vico denomina “degnità”. Secondo Vico la storia è dunque opera dell’uomo, cioè modificazione della mente dell’uomo, che lo porta a passare dal senso, alla fantasia, fino alla realizzazione della ragione; e Vico individua anche storicamente queste tre fasi. La prima, l’età in cui gli uomini “sentono senza avvertire”, corrisponde all’età ferina, in cui gli uomini non sono che bestie confuse e stupite; dall’abitudine di seppellire i morti, cioè di in-humare, nasce secondo Vico l’humanitas, cioè la caratteristica umanità dell’uomo, che nell’età della fantasia è in grado di “avvertire con animo perturbato e commosso” e di concepire le prime “favole” intorno agli dei. Ma è solo con il progresso della storia e col sorgere dei vari ordinamenti civili, che si sviluppa la ragione e quindi l’età della mente. La storia tuttavia alterna fasi di progresso a fasi di decadenza: Vico parla di “corsi e ricorsi storici”. Ciò non significa, come comunemente si interpreta, che la storia si ripeta. Significa, piuttosto, che l’uomo è sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. Così, ad esempio, ad epoche di civiltà possono seguire epoche di “ritornata barbarie”; ad epoche nelle quali più forte è il senso di una determinata categoria, altre nelle quali si sviluppa maggiormente un altro aspetto della vita. La storia, dunque, è sempre uguale e sempre nuova. In tal modo è possibile comprendere il passato, che altrimenti ci rimarrebbe oscuro, perché: “Historia se repetit”
a cura di Diego Fusaro in http://www.filosofico.net/vico.htm