Il lavoro non conviene

Ciò che la tabella dei salari mostra è la tragica deflazione salariale, durata trent’anni, e negli ultimi 20 nell’area euro con le regole austeritarie dettate da Berlino e a cui abbiamo obbedito ciecamente. Il tutto confermando il quadro patologico proprio del capitalismo terminale:  che quello dove il Capitale aumenta i suoi profitti –  in modo titanico,  come vedremo –  brutalmente e direttamente  derubando il Lavoro.

Con delocalizzazioni feroci di fabbriche e competenze nei paesi dei bassi salari,  fino la sostituzione – nei loro sogni – del lavoratore umano con robot (che non hanno bisogno di essere stipendiati),  con le precarizzazione  totale , con  le “riforme” dettate dalla BCE, da Bruxelles e dalal Germania : tagliare  il debito pubblico! Portarlo al 60%! Deficit non superiore a 3%!  – dimenticando opportunamente che èiù debito pubblico significa più risparmio privato – insomma con le austerità e i meccanismi deflazionisti messi in atto …  E’ ormai “naturale” che il Capitale terminale  teorizzi (a Davos) che non solo il Lavoro, ma l’Uomo in sé sia un “costo” – non una risorsa –  e  per di più un inquinante, con bisogni immondi come il mangiare carne da abolire; verranno sostituiti dai robot che non hanno mica bisogno di mangiare.  Né diu stipendio.

La frase di Cingolani, “l’uomo è un parassita perché consuma e non produce niente”   illustra perfettamente l’ideologia vigente da parte dei potenti.

Il Capitale ultimo manifesta così il suo disprezzo profondissimo per la vita umana, deprezzando tutto ciò che è umano. Alla fine, deprezza a tal punto il lavoro –  che alla stessa vittima, il lavoratore, non conviene più studiare né prepararsi per professioni di alta qualifica.  In Italia, dove i salari sono calati in 30 anni, si è superato un limite: siamo  giunti al punto che il lavoro   perde addirittura di significato, specie se  ad alta qualifica.  In pratica, per un giovane, non   fa più veramente differenza  lavorare come ingegnere alla Motorizzazione Civile ( a 1400 euro mensili!) o fare il rider, il percettore di reddito di cittadinanza  facendo un po’ di nero.,

In Italia, si  è avuto il caso di centinaia di vincitori di concorsi pubblici,   con titoli post-laurea, che  non hanno preso il posto.

“Le recenti assunzioni per i provveditorati e le motorizzazioni sono andate in parte deserte, in particolare nelle regioni del Nord”, ha dovuto dire il ministro competente, .  Per quanto riguarda i 320 funzionari di amministrazione che sono stati messi a concorso, una quota consistente ha rinunciato, evitando di prendere servizio, a meno che non gli fosse stata indicata una sede al Sud”: con 1500 euro di stipendio al mese ,  non conviene   ad ingegneri trasferirsi a  Milano: un affitto costa 800 euro mensili.  Meglio campare col reddito di cittadinanza e un po’ di nero o mestierucci come il rider, che sono la  prospettiva che il capitalismo terminale propone ai giovani.

https://www.maurizioblondet.it/deprezzamento-delluomo/

De Benedetti non ci sta

Forse gli imprenditori europei pensavano che la crisi sarebbe passata presto, che gli Usa non avrebbero dato fondo ai loro magazzini di armi per armare il fanatismo ucraino e che dunque l’Europa sarebbe stata costretta a stringere il cappio su stessa fino all’estremo limite. Ma è chiaro che De Benedetti nel dire no a Washington e alla sua guerra sta paradossalmente dicendo no anche a una Ue svuotata ormai di ogni senso oltre che di ogni dignità e a un’euro che ormai non ha più alcun senso, nemmeno quello deteriore di sterilizzare le battaglie sociali. Sta dicendo no a stesso e a un’epoca che finalmente svela il suo vero volto.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2022/05/09/de-benedetti-apre-il-fuoco-su-washington/

Tocca a noi

Spogliare la Grecia è stato uno scherzo.

Aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, demanio interessante.

Comunque la Grecia aveva un Pil inferiore alla sola provincia di Treviso.

È bastato un sol boccone.

PER L’ITALIA È DIVERSO:

Un capitale assolutamente enorme.

Secondo al mondo in quanto a risparmio privato, primo come abitazioni di proprietà, terre di valore assoluto e coste meravigliose.

Quinta potenza industriale al mondo prima dell’euro, ottava oggi.

Il Made in Italy è ancora oggi il marchio numero uno al mondo, davanti a Coca Cola.

Biodiversità superiore alla somma di tutti gli altri paesi europei.

Come capitale artistico monumentale, non ne parliamo neanche: è superiore a quello di tutto il resto del mondo.

Francia e Germania, più qualche fondo americano, cinese o arabo hanno fatto la spesa da noi a “paghi uno e prendi quattro”.

Tutto il lusso e la grande distribuzione sono passati ai francesi insieme ai pozzi libici passati da Eni e Total.

Poi anche Eni è diventata a maggioranza americana.

Anche il sistema bancario è passato ai francesi insieme all’alimentare.

I tedeschi si sono presi la meccanica, e il cemento.

Gli indiani tutto l’acciaio.

I Cinesi si son presi quote di TERNA, e tutto PIRELLI agricoltura.

Se ne sono andate TIM, TELECOM, GIUGIARO, PININ FARINA, PERNIGOTTI, BUITONI, ALGIDA, GUCCI, VALENTINO, LORO PIANA, AGNESI, DUCATI, MAGNETI MARELLI, ITALCEMENTI, PARMALAT, GALBANI, LOCATELLI, INVERNIZZI, FERRETTI YACHT, KRIZIA, BULGARI, POMELLATO, BRIONI, VALENTINO, FERRE’, LA RINASCENTE, POLTRONA FRAU, EDISON, SARAS, WIND, ANSALDO, FIAT FERROVIARIA, TIBB, ALITALIA, MERLONI, CARTIERE DI FABRIANO, ….. Ma…non hanno finito.

Ci sono rimaste ancora le case e le cose degli italiani.

E I LORO RISPARMI. CIRCA 3.000 MILIARDI DI EURO.

ORA VOGLIONO QUELLI.

Ecco chi ha chiamato Mattarella e gli ha “intimato” di procedere a sbarrare la strada a chi poteva mettere a rischio la prosecuzione della spoliazione.

I fondi di investimento, i mercati, che, come ricordavo raccolgono i soldi delle mafie, tutte, grandi e piccole, dei traffici di droga, di umani, di truffe internazionali, di salvataggi bancari, del “nero” delle grandi multinazionali, siano esse del commercio, dei telefonini, della cocaina o delle armi, questi fondi di investimenti dicevo, non hanno finito.

Ora tocca alle poche industrie rimaste, ai fondi pensioni, ai conti privati, agli immobili. Ora tocca a noi.

Ecco perché non serve a nulla mediare, arretrare un po’.

Non si placheranno, l’abbiamo già visto. BISOGNA FERMARLI ORA.

Ogni generazione ha il suo Piave. Questo è il nostro.”

Gian Micalessin.

tramite Giorgio Bianchi

I nostri soldi

di

Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

03 marzo 2022

La sperequazione della distribuzione reddituale a danno della classe media

Negli ultimi trent’anni, a partire soprattutto dagli anni Novanta, è aumentata in modo progressivo la disuguaglianza nella distribuzione del reddito degli italiani. Questo è quanto si evince dall’analisi condotta da molti anni da parte della Banca d’Italia riguardo alla distribuzione del reddito basata principalmente sull’indagine riguardo ai bilanci delle famiglie italiane. I risultati ineriscono alla distribuzione del reddito complessivo, ovvero sia da lavoro dipendente, sia da lavoro autonomo e sia da capitale, al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da esso ricevuto, come pensioni e assistenza sociale. Per effettuare questa analisi la Banca d’Italia si è basata sull’indice Gini, ossia quella misura della distribuzione del reddito pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e pari a 1 quando è concentrato in una singola unità.

L’indice succitato è aumentato in modo significativo tra il 1991 e il 1995 e ciò è stato dovuto soprattutto alla crisi valutaria avvenuta agli inizi degli anno ‘90. Infatti, in quel periodo, il reddito medio italiano, al netto delle tasse e dei trasferimenti, iniziò a declinare del 5 per cento, con un distinguo rilevante da palesare, ossia che le famiglie con un benessere più elevato, corrispondente al 20 per cento più alto della distribuzione non furono impoverite da questa crisi, mentre ci fu una significativa diminuzione di reddito dell’11 per cento per le famiglie con reddito più basso, questa aumento delle disuguaglianze ha vanificato la tendenza verificatasi durante gli anni Sessanta verso la riduzione delle stesse. La stessa Ocse, secondo degli studi effettuati al riguardo, conferma che la disuguaglianza del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a coloro che sono pensionati. Invece, secondo il World Inequality Lab la disuguaglianza del reddito avrebbe raggiunto i massimi livelli nel 2018-2019, rispetto agli ultimi quarant’anni.

Mentre, secondo quanto riporta la World Bank, la quota corrispondente al 10 per cento delle famiglie con un reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fino al 2017, per poi risalire successivamente, crescendo in modo significativo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Tutta questa sperequazione reddituale, ovviamente, si è incrementata in modo esponenziale durante la pandemia del Covid-19, dove coloro che posseggono un reddito più alto hanno aumentato il loro livello economico in rapporto a coloro che detengono redditi più bassi, intensificando quel processo iniziato negli anni Novanta di distruzione progressiva della classe media, con l’aumento di ricchezza per le classi reddituali più alte e l’aumento del numero di coloro appartenenti alle classi reddituali più basse, sempre più in difficoltà economica.

Dall’analisi approfondita della storia economica della Repubblica italiana, emerge maggiormente il dato inconfutabile del progressivo declino del ceto medio e del suo impoverimento negli anni, a causa di politiche economiche penalizzanti per tutto il settore delle piccole e medie imprese, che grazie anche alle limitazioni per i loro reinvestimenti aziendali, causate dall’oppressione tributaria e dalla mancanza di politiche per ridurre il famoso cuneo fiscale, ossia la tassazione sul costo del lavoro, non solo ha indotto numerose aziende e detentori di partite Iva a chiudere la propria attività, ma ha anche determinato un aumento esponenziale della disoccupazione e degli inoccupati, ossia coloro che non cercano più lavoro a causa della mancanza di offerta.

Quisquis habet nummos secura navigat aura (Petronio).

http://www.opinione.it/economia/2022/03/03/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_banca-d-italia-indice-gini-ocse-world-inequality-lab-world-bank-covid-19/

I successi delle privatizzazioni

I successi delle privatizzazioni

di Redazione · Pubblicato 25 Gennaio 2022 · Aggiornato 25 Gennaio 2022

di GILBERTO TROMBETTA (RI Roma)

Prima di essere svenduta ai privati, Telecom era il 6° operatore al mondo, fatturava 23,2 miliardi, dava lavoro a 120.345 persone, non aveva debiti, vantava 30 partecipazioni internazionali e un patrimonio immobiliare di 10 miliardi. Oggi è il 17° operatore, fattura 15,8 miliardi (-31,9%), dà lavoro a 52.333 dipendenti (-56,5%) e ha 23,3 miliardi di debiti. Secondo il report del 2010 sulle privatizzazioni della Corte dei Conti, il patrimonio immobiliare è stato praticamente regalato. Parliamo di immobili per un totale di 3,3 milioni di metri quadrati di superficie.

A Capo del Comitato di Consulenza e Garanzia delle Privatizzazioni c’era Mario Draghi. Mario Draghi è stato uno dei protagonisti indiscussi della grande stagione di svendita dell’industria pubblica (IRI) degli anni 90 (insieme ai vari Prodi, D’Alema). Con lui l’Italia è stato il Paese che ha privatizzato più degli altri Paesi europei sia in valori assoluti (110 miliardi di euro), che in rapporto al PIL (più del 10%).

Privatizzazioni chieste a gran voce dall’Unione Europea in nome del mantra “meno Stato, più mercato”.

Mario Draghi è tornato per finire il lavoro. Come dimostra il caso Alitalia che è stata lasciata fallire per poi essere svenduta a Lufthansa. Iscriviti al nostro canale Telegram

Relata refero

Fronteggiare il caro bollette con un piano di tagli a lungo termine, mentre per i ristori alla fine dovrebbe essere stanziato un miliardo. Questi i temi in agenda da discutere nel Consiglio dei ministri. Nel provvedimento, a quanto pare, non rientrerebbe l’intervento sugli extra-profitti delle aziende energetiche.

Calmierare i prezzi dell’energia

L’obiettivo dell’Esecutivo è quello di calmierare i prezzi dell’energia che stanno portando al caro bollette. In che modo? Recuperando un miliardo e mezzo di euro con i proventi delle aste di Co2, oltre alla cartolarizzazione di una serie di oneri di sistema, del valore di 2,5 miliardi. Un totale, quindi, di 4 miliardi senza scostamenti del deficit.

“Valutare ulteriori misure”

Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, in aula alla Camera – nel corso di una interrogazione – sul caro bollette ha spiegato che “il Governo è intervenuto a più riprese attraverso misure aventi carattere di urgenza” e che “non va sottovalutato il notevole sforzo compiuto di recente, in occasione della legge di bilancio 2022. Tuttavia, l’eccezionalità della situazione rischia di offuscare l’efficacia delle azioni messe in atto dal Governo e induce alla valutazione di ulteriori misure di carattere prettamente strutturale”. Non solo: per Cingolani le misure “possono essere così sinteticamente riassunte: promuovere una revisione delle regole del mercato elettrico, da sviluppare su base europea, per consentire ai consumatori di beneficiare degli investimenti e dei minori costi dell’energia prodotta da fonti rinnovabili; accelerare in modo significativo il tasso di installazioni delle fonti rinnovabili e delle infrastrutture necessarie per la decarbonizzazione, attraverso la semplificazione dei procedimenti autorizzativi e la pianificazione dell’installazione di nuovi impianti (aree idonee), nonché mediante nuovi incentivi, con programmazione di lungo termine, coperti, almeno parzialmente, dal Pnrr e dai proventi delle aste Ets su tutti i fronti: rinnovabili elettriche, efficienza energetica, gas rinnovabili, rinnovabili termiche, anche in assetti di comunità energetiche; proteggere i consumatori più esposti ai maggiori costi dell’energia, attraverso la posta in essere di azioni a contrasto della povertà energetica e assicurando una protezione rafforzata dei clienti vulnerabili; rafforzare gli strumenti a salvaguardia dei livelli di competitività delle imprese ad alto consumo di energia, sia attraverso strumenti di mercato sia con meccanismi di compensazione”.

La paura delle imprese

Infine, secondo uno studio di Confcommercio svolto in collaborazione con Nomisma Energia, lo “spettro” del caro energia “continua a fare paura alle imprese del commercio, della ricettività e della ristorazione che nel 2022, nonostante le misure di contenimento già adottate dal Governo, dovranno sostenere un aumento della bolletta energetica con una spesa complessiva per gas ed elettricità che passerà da 11,3 miliardi di euro del 2021 a 19,9 miliardi (+76 per cento). Un conto salatissimo per un milione di imprese: le più colpite dalla pandemia e che ora rischiano in tantissime la chiusura anche a causa dei rincari energetici”. In particolare, “per l’elettricità, le imprese di questi settori, con un consumo complessivo di 22 miliardi di chilowattora, con le nuove tariffe in vigore dal primo gennaio, vedranno aumentare la bolletta da 7,4 miliardi di euro nel 2021 a 13,9 nel 2022. A questa spesa – è stato evidenziato – si deve poi aggiungere quella, altrettanto pesante, per il gas che, con un consumo complessivo di 5 miliardi di metri cubi, vedrà la bolletta aumentare da 3,9 miliardi euro nel 2021 a 6 miliardi nel 2022”.

http://www.opinione.it/economia/2022/01/20/brigida-baracchi_caro-bollette-ristori-cdm-transizione-ecologica-cingolani/

Comma 22

Il romanzo, basato su esperienze personali dello stesso Heller, aviatore nell’USAF durante la seconda guerra mondiale, è ambientato in Italia, contesto che Heller aveva avuto occasione di conoscere durante il conflitto. Al centro della vicenda un reparto di aviatori (di stanza sull’isola di Pianosa) che esegue pericolose missioni di bombardamento a bordo di B-25 Mitchell (lo stesso tipo di velivolo su cui aveva volato Heller). Ovviamente, maggiore è il numero di missioni eseguite, maggiore è la probabilità di essere feriti o uccisi. E maggiore lo stress psicologico cui vengono sottoposti i membri del reparto.

Il più stressato è senz’altro il capitano Yossarian, che è terrorizzato all’idea che il numero delle missioni che ogni aviatore deve svolgere prima del congedo continui ad aumentare. I timori di Yossarian non sono del tutto infondati: il numero di missioni aumenta più volte nel corso del romanzo, a causa dell’ambizione e del cinismo del comandante dello stormo, il colonnello Cathcart.

Attorno a Yossarian, che comincia a fare cose bizzarre nella speranza di essere diagnosticato pazzo e quindi inabile al volo, ruotano altri personaggi più o meno strambi: Aarfy, il maggiore Maggiori, Dunbar, Milo Minderbinder, il pastore Shipman, e altri. Dall’interazione di questi individui nasce una serie interminabile di gag e di scene surreali e irresistibilmente comiche, tutte basate sull’assurdità della guerra vista con gli occhi della truppa, della carne da cannone.

da Wikipedia

con un piccolo sforzo di immaginazione (tanto minore quanto più passa il tempo) vediamo che la stessa cosa sta succedendo in Italia con le misure di ” contenimento Covid

L’Italia sarà il primo stato dell’Unione Europea a produrre il vaccino russo Sputnik V per l’immunizzazione contro il nuovo coronavirus. Lo ha confermato questa settimana la Camera di Commercio italo-russa.

Il vaccino russo ha dimostrato di essere altamente efficace ed efficiente nel trattamento dei casi di Covid-19, compresi i casi di nuove varianti virulente. È stato convalidato dalla stimata rivista Lancet e da dozzine di regolatori nazionali in tutto il mondo. Oltre 40 nazioni hanno approvato il trattamento con Sputnik V ed è emerso come un vaccino leader nell’adozione a livello mondiale, specialmente tra le nazioni più povere che possono permettersi meglio il medicamento russo rispetto ai trattamenti occidentali più costosi.

L’EMA, il regolatore europeo, si è seduto sulla domanda russa di approvazione dello Sputnik V negli ultimi due mesi. Il ritardo irrazionale può essere spiegato solo dai funzionari dell’EMA che soffrono della stessa russofobia della guerra fredda di politici come Von der Leyen e Tusk.
Il mese scorso Ursula von der Leyen, ex ministro della Difesa tedesco e capo della NATO totale come Tusk, ha fatto osservazioni sprezzanti sul fatto che lo Sputnik V russo non fosse in grado di produrre per soddisfare la domanda.

Italexit

Con il risultato, come ha scritto di recente Wolfgang Münchau, che «non appena le regole fiscali saranno ripristinate, l’Italia si ritroverà in violazione dei vincoli di debito e soggetta a una procedura per disavanzo eccessivo, con la necessità di effettuare un aggiustamento strutturale di forse 4 punti percentuali del PIL». A quel punto, dice Münchau, «[s]embra inevitabile che il debito pubblico italiano finirà per dover essere ristrutturato». Anzi, secondo Münchau, il significato del MES “riformato” (a partire dalla clausola single-limb) è precisamente «quello di preparare il terreno per la ristrutturazione del debito italiano, senza affermarlo esplicitamente».

Quanto detto finora dovrebbe essere sufficiente a comprendere perché la riforma del MES sia da rigettare senza se e senza ma. Tuttavia, si impone a questo punto una considerazione di ordine più generale. Come abbiamo ormai spiegato ad libitum, il rischio che uno Stato possa trovarsi “in difficoltà nel finanziarsi sul mercato” o addirittura costretto a una ristrutturazione forzata del proprio debito pubblico – presupposto su cui si basa la stessa ragion d’essere del MES – non si pone neanche per quegli Stati “normali” che dispongono della sovranità monetaria, cioè che emettono debito nella propria valuta.

Uno Stato che goda della garanzia esplicita di una banca centrale, infatti, non potrà mai rimanere a corto di fondi – né potrà mai trovarsi impossibilitato a rifinanziare il proprio debito ed essere dunque costretto a fare default o a ristrutturare il proprio debito – nel caso in cui non vi siano investitori disposti a comprare i titoli emessi dallo Stato, poiché la banca centrale può sempre intervenire per sopperire a una eventuale carenza di acquirenti privati o per rimborsare i titoli in scadenza (quello che in gergo tecnico si chiama rollover) attraverso la creazione di denaro dal nulla. Per la stessa ragione, i mercati non potranno mai imporre un rialzo dei tassi di interesse a uno Stato che emette moneta.

Non è un caso che in nessun paese “normale” esistano strumenti come il MES – cioè uno strumento nato per prestare ai paesi la propria valuta in cambio di “riforme strutturali” e tagli alla spesa pubblica.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-nuovo-mes-riformato-e-peggio-di-quello-vecchio

Imprese a rischio

Fonte: Italicum

Oggi vogliamo mettere a nudo una problematica che sicuramente sarà già stata trattata, ovverossia l’annunciata strage delle piccole imprese italiane.

Sono 460.000, infatti, le piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500.000 euro di fatturato) a rischio chiusura a causa dell’epidemia, nel nostro Paese. Esse rappresentano l’11,5% del totale, e nel 2021 potrebbero scomparire.

Ecco i dati allarmanti: ad oggi il fatturato risulta dimezzato per 370.000 microimprese. 415.000, sono in crisi di liquidità.

Tutto ciò è quanto emerge dal 2° Barometro Censis-Commercialisti “sull’andamento dell’economia italiana”, realizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.

È in gioco un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro e quasi un milione di posti di lavoro.

È in pericolo, uno dei motori trainanti del modello di sviluppo italiano, si legge in una nota del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), che pone in risalto come il cuore del sistema Paese siano le piccole imprese, spesso a conduzione familiare.

Sono dati agghiaccianti, sono dati che dovrebbero far sobbalzare dalla sedia (rectius dalle poltrone) e far riflettere, i nostri governanti!

Solo per essere chiari e descrivere, con dati statistici, la portata e gravità dell’emergenza in corso, si può affermare che tale emergenza potrebbe spazzare via il doppio delle microimprese che hanno chiuso a causa delle crisi economiche a cavallo tra il 2008 e il 2019.

leggi tutto su https://www.ariannaeditrice.it/articoli/i-dati-reali-del-paese-460-000-piccole-imprese-a-rischio-chiusura