L’esodo

Oltre 120mila italiani sono fuggiti dal Paese lo scorso anno. Fuggono giovani senza speranze di trovare un lavoro che consenta loro di formarsi una famiglia. Fuggono gli anziani che, con le basse pensioni e le alte tassazioni, in Italia non riescono a sopravvivere. Fuggono i disoccupati di lungo periodo e chi non ne può più di precarietà. Fuggono i laureati che in Italia trovano lavori sottopagati e  senza alcuna attinenza con gli studi conclusi. Non siamo ancora ai livelli dell’esodo ottocentesco e di inizio Novecento, ma solo perché ci sono meno opportunità nei tradizionali Paesi di sbocco. Ma a fronte di questa situazione il governo italiano pensa solo all’ accoglienza di nuovi schiavi. Braccia al posto di cervelli. Una strategia demenziale o criminale. In ogni caso perdente.

Si abbassa progressivamente il livello della preparazione scolastica per andare incontro alle difficoltà degli allogeni e ci si disinteressa completamente delle necessità degli indigeni. Si costruisce un Paese di somari, in modo da bloccare la fuga all’estero perché gli altri Paesi non sapranno che farsene dei somari italiani. E le mance elettorali, con finte assunzioni e concorsi ridicoli, non cambiano la situazione anche se qualcuno invita a “cambiare la narrazione”, come se la realtà non fosse perfettamente percepita da chi non arriva alla fine del mese.

Per nascondere il disastro reale ci si inventa percorsi di formazione eterni in modo da rinviare sine die il momento del confronto con il mondo del lavoro che non c’è.

estratto da http://www.barbadillo.it/70185-il-caso-esodo-di-120mila-italiani-dal-paese-e-il-governo-pensa-ad-accogliere-immigrati/

L’ascensore si è rotto

E’ definitivamente saltata la vecchia regola sociologica della società dei due terzi. Due su tre stavano più o meno bene, secondo le vecchie categorie di giudizio, e con aspettative positive (il cosiddetto ascensore sociale), l’altro terzo era in affanno. Le percentuali si stanno rapidamente rovesciando, rendendo più evidente l’effetto Clessidra, ossia la polarizzazione del reddito e delle opportunità nella fascia più alta, con una strozzatura sempre più accentuata al centro (la proletarizzazione progressiva del ceto medio di una volta) e una enorme massa alla base. Innanzitutto, è diventato chiaro a tutti che i giovani hanno non solo un reddito inferiore a quello dei padri e dei nonni, ma le loro prospettive sono disastrose. Dopo diverse generazioni, il destino è certamente quello di essere più poveri e meno sicuri di chi li ha preceduti. Ci permettiamo di affermare altresì che le ultime generazioni hanno una cultura materiale ampiamente inferiore ai loro padri. Possiedono diplomi, spesso lauree e persino master, ma lo scarto tra conoscenza, saper fare e istruzione certificata da titoli di studio attribuiti dalla scuola è imbarazzante.

Nel rapporto Istat, il disprezzo per “prima” si esprime nel basso reddito degli anziani, nella certificazione del loro abbandono e, per conseguenza, nell’aumento della povertà, che si è attestata, nel 2016, oltre il 4 per cento degli ultrasessantacinquenni. Essi, tuttavia, restano meno indigenti dei loro nipoti, in quanto comunque hanno una pensione, qualche risparmio e possiedono molto spesso la casa di abitazione. Il mondo di ieri, a giudicarlo con le categorie della statistica, batte quello di domani tre a uno. Per un nonno in povertà, ci sono tre nipoti in analoghe condizioni.

http://www.maurizioblondet.it/sempre-piu-giovani-poveri-la-societa-abortisce-stessa/