Nel caso di specie, Draghi può governare solo e soltanto se fa parte della politica ma, come tecnico super partes, “non” deve fare parte della politica per governare. Questa è la sua doppia, contraddittoria natura che, con ogni probabilità, genererà La Notte dello Scontento nei presunti Mangiafuoco (la finanza speculativa globale; gli nomi di Bruxelles; le Banche centrali mondiali; e così via sragionando) che, invece, per continuare a investire sul nostro Leviatano del mostruoso debito pubblico vogliono, ci impongono (legittimamente) precise garanzie di solvibilità e di stabilità, favorendo così implicitamente la riconferma del mediatore Mario Draghi. Purtroppo, l’attuale fenomeno di “skyrocket” (“partenza a razzo”) dei costi delle materie prime e dell’energia, sarà nel breve-medio periodo il vero killer della crescita del Pil, che è poi il solo modo che abbiamo per tenere in gabbia il nostro Leviatano domestico.
Infatti, alla rapida espansione della risalita post-pandemica dei prezzi al consumo, qualora il fenomeno non si dimostrasse di breve durata, è destinata a seguire nell’immediato un’analoga crescita dell’inflazione e la contemporanea, forte e duratura contrazione della spesa e dei consumi delle famiglie. E, sfortunatamente, l’evoluzione della crisi ucraina non lascia presagire niente di buono in tal senso dato che, fin da ora, la strategia di Putin di affamare energeticamente l’Occidente ha già vinto per metà la sua decennale sfida alle democrazie.
C’è una soluzione al paradosso draghiano? No, perché in una democrazia chi vince le elezioni e ha i numeri per sostenere con una propria maggioranza parlamentare autonoma un suo presidente del Consiglio, ha il diritto a chiedere l’attribuzione del relativo mandato al proprio Leader. Pertanto, il presidente della Repubblica non potrà che assecondarne la volontà dato che, evidentemente, in alternativa, non potrebbe mai mandare allo sbaraglio anche il migliore degli italiani, ben sapendo a priori che il Parlamento lo boccerà. Il paradosso sta tutto qui: per governare dopo il 2023 Draghi ha bisogno che, a priori, i Partiti (tutti o, almeno, quelli che stanno nell’attuale Große Koalition) si impegnino dopo quella data a ri-proporre a Mattarella il nome dell’attuale presidente del Consiglio per il Governo che entrerà in carica nella prossima primavera, sempre che l’autunno-inverno del 2022 non ci regali una quinta, devastante gobba della pandemia prolungando così uno stato di emergenza denso di incognite sociali e politiche.
Il Tertium sarebbe “datur”, ma significherebbe che alle prossime legislative Mario Draghi facesse, come allora fece Mario Monti, un Partito nuovo di zecca tutto suo, coagulando la vasta area dei centristi (e qui, Berlusconi dovrebbe incoronare suo erede proprio Draghi) e dei liberali, pescando nel mare magnum dell’astensione dove però a un’ampia Maggioranza silenziosa moderata se ne aggiunge e giustappone un’altra altrettanto significativa e orfana delle protesta demagogica dei Cinque stelle prima maniera, che di Draghi non ne vuole però sentir parlare. Povero il Draghi-barbiere, verrebbe da dire.