Ringraziamo il Manifesto per la notizia:
Il decreto Milleproroghe si conferma un vero e proprio ginepraio parlamentare. Ancor di più con la maggioranza larghissima del governo Draghi. Accade così che la sua conversione riservi più di una sorpresa con il governo che nella lunga seduta notturna va sotto ben quattro volte mentre in molti casi la maggioranza si è spaccata.
CONTRO IL PARERE dell’esecutivo sono passati gli emendamenti che prevedono il dietrofront sul tetto al contante e sull’Ilva, così come sono state approvate norme sulle graduatorie della scuola e i test sugli animali.
Il testo votato alla Camera nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio questa mattina arriverà in aula dove il governo dovrebbe porre la fiducia che sarà votata però lunedì dai deputati. Il decreto passerà poi al Senato blindato per un esame lampo in tempo per essere approvato definitivamente entro i canonici 60 giorni: è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 30 dicembre.
Massimo Franchi
Dopo la sfuriata contro la maggioranza per lo strappo sul Milleproroghe, un Draghi raggiante esalta l’esecutivo per il via libera all’unanimità ai decreti su caro bollette, Superbonus e incentivi auto. Ripartono le trivelle per il gas
Il manifesto
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Draghi l’ha presa malissimo. Preoccupandosi di costruire una scena che aumentasse la drammatizzazione dell’incidente di percorso alla Camera dei deputati – ritorno anticipato da Bruxelles dove era per il Consiglio europeo straordinario sull’Ucraina – il premier si è recato dal Capo dello Stato a manifestare le sue doglianze per il comportamento dei partiti. Ottenuto il placet dall’inquilino del Colle, ha riunito i capi-delegazione dei partiti di maggioranza per manifestargli tutto il suo disappunto per l’accaduto. Poi l’aut-aut: o si fa ciò che viene deciso in Consiglio dei ministri e i partiti si adeguano o lui toglie il disturbo. Che, tradotto, significa elezioni anticipate. Kryptonite per i rappresentanti del popolo che si sono incatenati agli strapuntini nelle istituzioni pur di non tornare a casa prima della fine naturale della legislatura. Ma come? Non avevano raccontato che la maggioranza è più coriacea di una falange macedone? Che il Parlamento è il luogo della discussione nell’esclusivo interesse della nazione? Non è stato detto che ciò che viene dalla pancia delle Camere è voce di saggezza? Ora che i peones osano mettere in discussione aspetti assolutamente marginali del lavoro del Governo, il premier s’infuria e minaccia di far saltare il banco? Alla faccia della centralità del Parlamento!
La verità è che, svanita la favola da Paese dei campanelli, siamo al commissariamento della democrazia. Che sta benissimo a forze di sistema come il Partito Democratico il quale ha iscritto nel Dna l’intolleranza al rispetto della volontà popolare. In altre circostanze, accusammo il senatore Mario Monti di essere stato il “commissario” della democrazia italiana, voluto dai poteri eurocratici per sottrarre il Governo nazionale dalle mani della forza politica che legittimamente lo teneva avendo vinto le elezioni. Era il 2011. Dopo dieci anni, con Mario Draghi pensavamo potesse essere diverso: un personaggio di caratura internazionale messosi al servizio del suo Paese. Invece, abbiamo ancora una volta “a Palazzo Chigi” un gestore in conto terzi del “sistema Italia”. A riprova che, fuori dai confini, proprio non faccia comodo che gli italiani ragionino con la loro testa.
Alla fine della tempesta nel classico bicchiere d’acqua, scatenata da un irrequieto Mario Draghi, non ci sarà alcuna crisi di Governo. Lui resterà al suo posto e i partiti che lo sostengono si rimetteranno in riga. Ma a quale prezzo? Sarà il 2022 un anno pre-elettorale di sostanziale immobilismo, costellato di provvedimenti calati dall’alto che non daranno risposte efficaci alle istanze reali della popolazione. Eppure, non tutte le forze politiche pagheranno in eguale misura il conto della cessione di sovranità all’uomo-solo-al-comando. Lo pagheranno i Cinque Stelle, destinati alla quasi sparizione. Ma i grillini il conto salato l’avrebbero pagato comunque per aver tradito l’elettorato attovagliandosi comodamente al desco del potere. Lo pagheranno pesantemente Forza Italia e Lega che, pur di restare appiccicati alla cadegra di Draghi, stanno ingoiando rospi indigeribili per forze politiche alternative alla sinistra. Non pagherà invece il conto il Partito Democratico, non fosse altro perché è riuscito nell’intento d’imporre al Governo buona parte della propria agenda politica, pur avendo ridotti numeri parlamentari. Ma chi guadagnerà a dismisura sarà Fratelli d’Italia, unica forza d’opposizione al diversamente “mappazzone” Governo di unità nazionale.
https://www.opinione.it/editoriali/2022/02/19/cristofaro-sola_giorgia-meloni-elezioni-2023-fdi-centodestra-governo/
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Si spiegano così la vibrante indignazione, la fiele amara che accompagna le espressioni della sua delusione per i tradimenti e i voltafaccia di quelli che pensava di avere per sempre in pugno, mezze figure, scrocconi, mangiapane a ufo, maschere della commedia dell’arte, scelte proprio per la loro rappresentatività dei vizi nazionali, che dovevano sancire la superiorità dell’algido competente culturalmente ormai apolide.
https://ilsimplicissimus2.com/2022/02/19/il-draghi-di-carta-159799/
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