False coscienze

Sacha schneider

L’effetto dell’indottrinamento si vede quando le lacrime risparmiate per Piazza Maidan o per lo sterminio sterminio dei russi etnici nel Donbass, scorrono copiose per la lesione della “democrazia” prodotta dalla criminale invasione, grazie a pulsioni e passioni che navigano in superficie, antifascismo, ambientalismo, antirazzismo, femminismo, internazionalismo.

Basta pensare all’adesione entusiastica alla campagna di criminalizzazione e discriminazione condotta contro gli eretici della pandemia, in nome di valori morali quali il senso di responsabilità e l’altruismo, declinata nelle forme del linciaggio, dell’anatema e della condanna alla perdita di diritti da parte di chi ne aveva considerata doverosa la rinuncia volontaria con l’obbedienza cieca e che era finalmente autorizzato a comminare la stessa pena a chi era pronto a sacrifici e biasimo per tutelarli in forma personale e sociale.

Il patto tra regime oligarchico e maggioranza ormai può contare su strumenti di certificazione del consenso, poco ci manca che il Supergreenpass attesti contestualmente la fidelizzazione alla Nato come conferma dell’appartenenza culturale alla civiltà superiore e allo stile di vita occidentali, richiesta dal governo dell’asse Ue-Washington in nome del rispetto dello stato di diritto demolito in casa e del diritto internazionale tante volte oltraggiato con la partecipazione diretta a missioni militari espansionistiche, predatorie e sanguinarie.  E che – lo hanno promesso esplicitamente – ci restituirà la reputazione compromessa di remota provincia accidiosa e chiusa ai fasti globali, grazie alla riconquista di valori etici in cambio di dolorosi ma doverosi sacrifici e privazioni.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2022/02/26/gli-strateghi-in-mano-alle-badanti/

Chiudere parentesi

La parabola di Luigi Di Maio è da studiare. Da autoproclamato rappresentate del popolo e “abolitore” della povertà a fanatico atlantista pronto a coprirsi di ridicolo per manifestare il suo servilismo.

Dopo le frenetiche dichiarazioni di ieri a favore di nuove sanzioni dirette alla Russia, palesemente contrarie ai nostri interessi energetici e geopolitici, oggi il ministro degli Esteri ha annunciato di fronte ai deputati della Repubblica che l’Italia sospenderà gli incontri bilaterali con i vertici russi.

Ci tocca così l’umiliazione di vedere il nostro governo giustamente maltrattato dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il quale ha gioco facile a evidenziare come la diplomazia serva proprio quando la tensione internazionale è alta, non per “viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala”.

Ed è proprio questo che Luigi Di Maio sta facendo da quando occupa il Palazzo della Farnesina: nascondere la sua assoluta inconsistenza dietro a foto scintillanti di viaggi all’estero e incontri diplomatici senza costrutto.

Non è la fine che meritiamo. Il Paese che ha espresso ministri degli Esteri come Cavour, Pietro Nenni, Amintore Fanfani e Aldo Moro deve ritrovare la sua statura internazionale riscoprendo l’interesse nazionale e ponendolo al centro delle relazioni diplomatiche.

Nel 2013 e nel 2018 un pezzo di popolo è entrato nelle istituzioni, ma lo ha fatto disordinatamente, al culmine di un progetto “liquido” che non prevedeva alcuna selezione né formazione di una futura classe dirigente. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: quel pezzo di popolo si è trasformato in élite e porta le borracce ai poteri costituiti.

Riconquistare l’Italia, al contrario, sta costruendo l’embrione della futura classe dirigente di estrazione popolare e intende portarla nelle istituzioni per chiudere, tra le altre, anche l’orrida parentesi del dilettantismo grillino.

Sanzioni

La Casa Bianca è stata lenta a rendersi conto della capacità di contrattacco della Russia. Non ha indagato sul rischio per le società di semiconduttori statunitensi fino a quando la società di materiali critici Technet non ha rivelato l’entità della dipendenza degli Stati Uniti dalla fornitura russa di gas C4F6, neon, palladio e scandio.
Circa il 90% della fornitura mondiale di neon, utilizzato come gas laser per la litografia su chip, proviene dalla Russia e dall’Ucraina. Due terzi del neon vengono purificati per il mercato globale da un’azienda a Odessa. Ci sono altre fonti di neon a lungo termine in Africa, ma sono irrilevanti nel breve periodo.

Il più grande produttore mondiale di titanio è VSMPO-AVISMA, situato nella “Valle del Titanio” della Siberia occidentale.

È di proprietà di Rostec, il conglomerato statale controllato da Sergey Chemezov, un ex agente del KGB che ha servito con Putin nella Germania dell’Est. Russia e Ucraina insieme rappresentano il 30% della fornitura globale di titanio.

VSMPO-AVISMA fornisce il 35% del titanio del Boeing, principalmente per i jet 737, 767, 777 e 787. Viene utilizzato in motori, ventole, dischi e telai, apprezzato per la sua resistenza al calore e alla corrosione e per il suo rapporto peso/resistenza.

Lo scorso ottobre il Bureau of Industry and Security degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto secondo il quale VSMPO-AVISMA stava fornendo spugna di titanio ai clienti negli Stati Uniti a prezzi “artificialmente bassi”, con il sostegno dello stato russo, al fine di acquisire una “quota significativa degli affari di Boeing” .

Questo avrebbe dovuto far suonare un allarme. Settimane dopo Boeing si è impegnata in rapporti ancora più stretti con l’azienda.

In effetti, la Russia ha fatto ciò che già la Cina aveva fatto in precedenza con i metalli delle terre rare: vendere sottocosto per eliminare la catena di approvvigionamento occidentale. Il rapporto afferma che la Russia è sempre più in grado di utilizzare questo suo potere “come strumento di leva geopolitica”.

Il Bureau ha avvertito che gli Stati Uniti sono ridotti a un solo vecchio impianto in grado di produrre spugne di titanio su larga scala e non hanno più alcuna riserva di titanio nelle scorte della difesa nazionale.

Devono contare sulla fornitura di una società controllata da uno stato ostile per costruire caccia statunitensi, razzi, missili, sottomarini, elicotteri, satelliti e armi avanzate. Il rapporto chiedeva misure urgenti per ricostruire la produzione interna e acquisire riserve strategiche. Un disastro.

Airbus è ancora più vulnerabile. Metà della sua spugna di titanio proviene dalla Russia.

L’industria aerospaziale britannica dipende dalla fornitura russa. VSMPO-AVISMA ha una sede vicino a Birmingham, dove si producono leghe commerciali per l’aerospaziale, la tecnologia medica e l’esercito.”

Ma qual è il reale potere degli USA per quanto riguarda la fornitura dei microchip alla Russia?

estratto da http://vocidallestero.blogspot.com/2022/02/aep-sul-telegraph-in-ucraina-putin

Dilettanti allo sbaraglio

Niente viaggio a Mosca, Draghi stamattina presiederà il Consiglio dei ministri al quale è stato invitato – come prevede il recente trattato del Quirinale – il ministro degli esteri francese, poi parteciperà a una riunione da remoto del G7 e in serata sarà a Bruxelles per il consiglio europeo straordinario. Tema unico di tutti gli incontri naturalmente l’Ucraina, ma il presidente del Consiglio ha deciso di annullare il suo viaggio diplomatico in Russia dopo la decisione di Putin di muovere i fanti. L’annuncio lo ha però dato Di Maio, che ieri mattina ha tenuto un’informativa al senato (bissata al solito nel pomeriggio alla camera): «Riteniamo che non possano esserci nuovi incontri bilaterali con i vertici russi, finché non ci saranno segnali di allentamento della tensione». È la linea Usa, anticipata non a caso dall’annullamento del previsto incontro tra il segretario di stato americano Blinken e il ministro degli esteri russo Lavrov.
Poco dopo, intervenendo a Firenze a un meeting organizzato dai vescovi italiani con a tema proprio la pace, è stato lo stesso Draghi a offrire una chiave di lettura di questa chiusura. «Gli eventi in Ucraina ci portano a ribadire che le prevaricazioni e i soprusi non devono essere tollerati», ha detto il presidente del Consiglio.

Ma è al titolare della Farnesina che ha replicato molto duramente l’omologo russo, attraverso una nota ufficiosa del ministero degli esteri diffusa dall’agenzia Tass: «È una strana idea della diplomazia – dice la nota – la diplomazia è stata creata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi e degustare piatti esotici a ricevimenti di gala», velenoso riferimento probabilmente alla recente missione proprio di Di Maio in Ucraina e Russia che non ha fatto segnare grandi risultati. «I partner occidentali – la conclusione della nota riferita dalla Tass, in perfetto stile muscolare putiniani – devono imparare a usare la diplomazia in modo professionale». Parecchie ore dopo, dalla Farnesina è arrivata una risposta altrettanto anonima, nella quale «fonti» del ministero degli esteri dicono «no alle provocazioni» e assicurano che «l’Italia è impegnata a trovare soluzioni diplomatiche per scongiurare una guerra». A Di Maio, accusato neppure troppo velatamente da Mosca di essere un dilettante, è arrivata la solidarietà del Pd: «Toni e sostanza inaccettabili», ha detto la responsabile esteri Lia Quartapelle. Protagonista poco prima di un attacco all’alleato di governo Salvini.

La questione delle sanzioni a Mosca torna infatti a dividere la maggioranza. E un po’ anche il centrodestra, con Forza Italia che sceglie una linea atlantica e la Lega che si avvicina alle posizioni sovraniste di Fratelli d’Italia. Accade infatti che Salvini si precipiti a commentare un tweet dell’altro rappresentante per gli esteri della Ue, Joseph Borrel, il quale martedì sera aveva deciso di usare il suo profilo per dare la notizia delle sanzioni. In uno dei tweet, poi rimosso, aveva spiegato che le sanzioni per gli oligarchi russi avrebbero significato «niente più shopping a Milano, feste a Saint Tropez e diamanti ad Anversa». Per Salvini, che lo ha rilanciato sullo stesso social, quello di Borrell è stato un tweet «ridicolo o forse tragico».

Anniversari

Nel 1992 iniziava l’inchiesta giudiziaria di Mani Pulite, ricordata anche come Tangentopoli, che diede un colpo mortale all’equilibrio partitico della cosiddetta Prima Repubblica. Questo è un trentennale che non ispira davvero alcun tipo di festeggiamento, ma induce soltanto a riflessioni amare. Come dice Bobo Craxi, non si può festeggiare l’anniversario di un colpo di Stato, perché tale fu di fatto, con un accanimento mirato esclusivamente ad affondare le forze governative dell’allora pentapartito, (Democrazia Cristiana, Partito Socialista italiano, e i raggruppamenti laici minori, Partito Liberale italiano, Partito Repubblicano italiano, Partito Socialista Democratico italiano). Mentre, chissà perché, la classe dirigente e la struttura dell’altro grande partito storico della Prima Repubblica, il Partito Comunista italiano riverniciatosi in Partito Democratico della Sinistra, riuscirono ad attraversare quasi indenni il ciclone di Tangentopoli.

Ci fu l’arresto di Primo Greganti, il Compagno G nonché cassiere del Pci-Pds, peraltro scaricato quasi subito da Achille Occhetto, all’epoca leader dei post-comunisti, ma Botteghe Oscure, a differenza di Piazza del Gesù e via del Corso, sedi storiche rispettivamente della Dc e del Psi, non fu costretta a chiudere i battenti. Anzi, gli eredi di Enrico Berlinguer hanno potuto determinare tutta la politica della sedicente Seconda Repubblica sino a giungere all’odierno Partito Democratico. Gli orfani della falce e del martello, approfittando dell’uscita di scena dell’ingombrante Bettino Craxi e della Democrazia Cristiana, avrebbero voluto dominare l’Italia in maniera ancora più totalizzante, ma un certo Silvio Berlusconi, con la sua discesa in campo e l’inaspettata vittoria elettorale, ruppe loro, in parte, le uova nel paniere. Tuttavia, i post-comunisti hanno potuto governare il Paese in più stagioni politiche, spesso senza nemmeno avere vinto le elezioni, e questa è Storia anche contemporanea, mentre Craxi è stato costretto a morire in terra straniera come un appestato. L’Unione Sovietica era collassata da poco tempo e dal Cremlino di allora, non più chiuso nei confronti dell’Occidente e non ancora caduto fra le grinfie di Vladimir Putin, non sarebbe stato difficile, per la magistratura italiana, ottenere delle prove circa i finanziamenti giunti al Pci dall’Urss durante la Guerra Fredda, ma si decise di stanare soltanto Craxi, Arnaldo Forlani e i loro alleati minori.

I democristiani nel loro complesso hanno pagato un prezzo alto per avere colpevolmente ceduto ai comunisti fette d’influenza e di potere consociativo, soprattutto nei campi della cultura e della giustizia, pur costringendoli a cinquant’anni di opposizione, talvolta più formale che sostanziale. All’inizio di Mani Pulite tanti italiani, probabilmente la maggioranza, facevano il tifo per l’ormai celebre pool di Milano, in particolare per il sanguigno pubblico ministero Antonio Di Pietro, confidando in un’azione sincera di pulizia del sistema politico. Ma a un certo punto si è iniziato a comprendere come l’improvviso attivismo di quei giudici della procura meneghina rispondesse perlopiù a una precisa volontà politica, a un disegno riempito con i colori della sinistra postcomunista. Le toghe rosse, ossia quei magistrati che antepongono la militanza a sinistra alla applicazione imparziale della legge, sono esistite ed esistono, e non hanno rappresentato soltanto il frutto di una certa propaganda berlusconiana. Molti esponenti della magistratura hanno fatto il balzo in politica e, come ricordiamo tutti assai bene, Di Pietro, dopo la stagione di Tangentopoli, si fece un partito tutto suo sino a diventare ministro.

Oltre alla politicizzazione delle procure e alla giustizia a orologeria, Mani Pulite diede avvio a quel “clima infame” denunciato da Bettino Craxi all’uscita dell’abitazione del deputato socialista Sergio Moroni, appena suicidatosi. Moroni, come Gabriele Cagliari, Raul Gardini e tanti altri più o meno noti, preferì la morte alla gogna mediatica e giudiziaria. L’avviso di garanzia, così, giunse ad equivalere alla condanna definitiva, alla colpevolezza accertata, al fango sparso su televisioni e giornali, (allora i social non esistevano ancora). E molti non ressero a quella situazione. Furono compiuti molti abusi, a cominciare dall’uso incontrollato della carcerazione preventiva, e da quel frangente storico diversi settori della magistratura si sono sentiti sempre più autorizzati ad entrare a gamba tesa nelle vicende politiche, spesso con inchieste farlocche, imbastite unicamente per mettere i bastoni fra le ruote a questo o quel leader di partito e conclusesi peraltro senza una condanna definitiva. Vista la popolarità acquisita da Di Pietro in quegli anni, è prevalsa successivamente la voglia di protagonismo anche in altri colleghi del Tonino nazionale come Luigi de Magistris, prestatosi anch’egli, si fa per dire, alla politica, Antonio Ingroia e Henry John Woodcock. Tangentopoli diede vita a tante di quelle degenerazioni sul fronte giudiziario da trasformare l’Italia in una anomalia nel consesso delle democrazie occidentali regolate da uno Stato di diritto.

Le conseguenze del modus operandi del pool di Mani Pulite le vediamo ancora oggi, nonostante siano trascorsi ben trent’anni dall’arresto di Mario Chiesa. Le toghe continuano a influenzare le dinamiche della politica e veniamo quindi alla Storia più recente del nostro Paese. Si è creato un cortocircuito nel quale non si capisce mai a fondo chi sia la vittima e chi il carnefice, ovvero, se il politico di turno indagato meriti davvero l’attenzione della giustizia perché colpevole di un reato, oppure se siano gli inquirenti a trovarsi in una condizione di malafede in quanto spinti da interessi di parte più che dal desiderio di far osservare la legge anche ai potenti. Nel suo ventennio di leader di partito, di capo di una coalizione, di presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha speso più della metà del suo tempo a fronteggiare delle inchieste giudiziarie, che, se Sua Emittenza fosse rimasto a occuparsi di televisione e di calcio, non avrebbero probabilmente mai visto la luce. Per tentare di ridimensionare Matteo Salvini, (il Salvini di qualche anno fa, titolare del Viminale e non ancora addomesticato), si è provveduto a processare le sue scelte, meramente politiche e senza alcun rilievo penale, in qualità di ministro dell’Interno. Le rogne giudiziarie non mancano neppure a Matteo Renzi, e la leadership del Movimento Cinque Stelle è divenuta oggetto di interesse per il Tribunale di Napoli. Il movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio costituisce senz’altro una sorta di riedizione 2.0 della stagione forcaiola di Mani Pulite. Ed evidentemente chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo perisce.

Ma, per quanto odiosi possano essere i grillini e per quanto poco simpatico sia Giuseppe Conte, non è bello che siano dei magistrati a decidere il futuro del M5S. Dopo un trentennio sono rimaste solo le storture di quel sinistro tintinnio di manette e i benefici sono stati e sono pari allo zero. Si dice che dopo Tangentopoli si sia continuato a rubare come prima. Tale affermazione è inesatta, perché semmai si è rubato peggio di prima. I partiti storici, e ciò non è mai stato negato da nessuno, nemmeno da Craxi, si avvalevano di finanziamenti illeciti per tenere in piedi le loro attività quotidiane, (campagne elettorali, congressi, sedi, giornali di partito), ma quei denari giungevano in una cassa comune e non andavano a rimpinguare le tasche dei singoli leader e dirigenti. Dopo, vi sono state ruberie, se così si può dire, molto più straccione, a opera di singoli personaggi magari intenzionati ad arrotondare per piaceri del tutto personali. Nel frattempo, è divenuto di dominio pubblico anche il marcio che si annida presso la casta della magistratura italiana, grazie alla vicenda di Luca Palamara e all’inchiesta sulla cosiddetta Loggia Ungheria. Piercamillo Davigo, collega di Di Pietro nel pool di Milano, esattamente trent’anni dopo l’inizio di Mani Pulite, viene rinviato a giudizio per la Loggia Ungheria. Bettino Craxi, sempre lui, diceva: finirà che i magistrati si processeranno tra di loro.

http://www.opinione.it/editoriali/2022/02/21/roberto-penna_mani-pulite-tangentopoli-prima-repubblica-pool-milano/

Governo battuto in commissione

Ringraziamo il Manifesto per la notizia:

Il decreto Milleproroghe si conferma un vero e proprio ginepraio parlamentare. Ancor di più con la maggioranza larghissima del governo Draghi. Accade così che la sua conversione riservi più di una sorpresa con il governo che nella lunga seduta notturna va sotto ben quattro volte mentre in molti casi la maggioranza si è spaccata.

CONTRO IL PARERE dell’esecutivo sono passati gli emendamenti che prevedono il dietrofront sul tetto al contante e sull’Ilva, così come sono state approvate norme sulle graduatorie della scuola e i test sugli animali.

Il testo votato alla Camera nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio questa mattina arriverà in aula dove il governo dovrebbe porre la fiducia che sarà votata però lunedì dai deputati. Il decreto passerà poi al Senato blindato per un esame lampo in tempo per essere approvato definitivamente entro i canonici 60 giorni: è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 30 dicembre.

Massimo Franchi

Il momento degli eunuchi

Tanto quello che si doveva fare è stato fatto, il racket si è portato a caso il capolavoro del suo sistema di strozzinaggio e intimidazione, il Pnrr che deve applicare a tutti i livelli l’ideologia della distruzione creativa promuovendo, finanziando, sostenendo a norma di legge il dominio bulimico e megalomane delle multinazionali, delle grandi imprese a discapito del tessuto di quelle medie e piccole che erano il tessuto vivo del Paese, imponendo un regime di monopolio privato nei servizi, nello stato sociale, nell’istruzione, nella cura, anche grazie alle opportunità di profitto offerte al terzo settore.

Con un duplice intento, creare il clima favorevole all’attuazione delle riforme tutte impegnate a ridurre i diritti e le aspettative dei lavoratori e a contenere la spesa sociale, pensioni, scuola e sanità pubblica, retrocessa a colpevole finanziamento di attività parassitarie, e a promuovere un ruolo della Stato inteso come elemosiniere dei ricchi e esattore crudele dei poveri, ma anche a declinare la nuova austerità imponendo il regime fiscale necessario a ripagare i debiti contratti con la generosa Europa.

Al tempo stesso di è provveduto all’occupazione manu militari delle istituzioni, Colle, governo, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato, che hanno subito dimostrato con festosa tempestività la loro adesione totale al credo dominante, facendo capire che la loro azione sarà quella notarile di certificazione e ufficializzazione delle decisioni di un esecutivo che ormai è abilitato a aggirare il Parlamento o a imporgli i suoi diktat in cambio di regalie in continuità con leggi elettorali che hanno stabilità la inamovibilità dei pupazzi dei ventriloqui.

Ne è conferma l’ultimo intervento sulla Costituzione per inserire una tutela dell’ambiente – e degli animali – che altro non è che la  traduzione in articoli della Carta del pensiero papalino e del credo della Commissione tradotto in strategia della transizione ecologica, quella Green che applica gli strumenti di mercato per risolvere i problemi creati dal mercato, che glorifica l’ex bambina prodigio stabilendo la sostenibilità del nucleare, che addossa colpe e responsabilità dei danni ai cittadini sporcaccioni in attesa di mettere in scena la nuova emergenza epocale con conseguente apocalisse, il riscaldamento globale.

È stata riconfermata la indeflettibile fedeltà euroatlantica nello scontro   con Russia e Cina, nelle politiche di approvvigionamento energetico, nella spesa in armamenti e nella partecipazione a campagne coloniali di sfruttamento e aggressione militare, con il sostegno di una informazione che da due anni partecipa a una narrazione epica come imposto dall’emergenza affidata a soggetti estranei al contesto democratico e parlamentare.

Ha ragione davvero di essere deluso e inviperito Mario Draghi, orgoglioso di aver sottoposto il suo Paese a un test sperimentale di declinazione di tutte le varie fenomenologie del capitalismo, a cominciare da quello delle catastrofi diventate elementi costitutive della sua attuale condizione, perfezionato rispetto ad esperienze nostrane collaudate con terremoti, crolli di ponti che fruttano formidabili risarcimenti ai colpevoli, crisi convertite in disastri provvidenziali per istituire autorità eccezionali e leggi speciali, o da quello della sorveglianza, messo a regime con un finto strumento di controllo sanitario destinato a diventare permanente, allargando la sua sfera di applicazione.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2022/02/13/il-tonfo-del-tronfio/

Fabian society

Quando ho scritto il mio primo articolo su bondeno.com era la favola del lupo e dell’agnello; nel frattempo è uscito il libro di cui sopra in cui alle pagine 38 e 39 è scritto:

“Proviamo ora a scorrere l’elenco degli studenti della London School f Economics arrivati a ricoprire ruoli di grande potere, a testimonian-;a del fatto che da quella Università occorre passare per costruirsi ina rete di relazioni di altissimo livello e ottenere un imprimatur di affidabilità per Y establishment internazionale.
Il primo di questi è Romano Prodi che, dopo la laurea in giuri-prudenza alla Cattolica di Milano, è andato a perfezionare i suoi tudi proprio alla LSE sotto la supervisione del sudafricano prof. Ba-il Yamey e oggi è Honorary Fellow, cioè membro onorario, di questa cuoia. Impressionante è rilevare quanto alto sia il numero di studenti della LSE che vengono assunti dalla potente e controversa banca l’affari statunitense Goldman Sachs. Prodi è uno di questi, infatti è tato consulente Goldman dal 1990 al 1993 attraverso la società di consulenza bolognese Analisi e Studi Economici, di cui era proprietario nsieme alla moglie. Tra il 1990 e il 1993 l’azienda ha guadagnato 1,4 nilioni di dollari, la maggior parte dei quali è stata pagato proprio lalla banca d’investimento Goldman Sachs.6 Nello stesso 1993, come Residente dell’IRI, Prodi insieme a Mario Draghi, allora direttore ge-ierale del Ministero del Tesoro e presidente del comitato ministeriale ,er le privatizzazioni, si occupò della vendita (svendita secondo i lati) di molte grandi aziende di Stato. Come si legge ancora oggi sulla home page del sito italiano di Goldman Sachs:
«Nei primi anni ’90 Goldman Sachs è stata fra le principali istituzioni f inanziarie che hanno preso parte al primo programma di privatizzazioni del Paese. Tale programma ha compreso quotazioni ed operazioni di M&A fusioni ed acquisizioni) aventi ad oggetto le principali istituzioni finanziarie, utility, compagnie petrolifere e società operanti nei settori delle telecomnicazioni e della difesa allora possedute dallo Stato Italiano».7
Il conflitto di interessi è a dir poco evidente.
Anche la Presidente della RAI designata da Draghi, Marinella Sol-i, si è laureata alla London School. È una manager del settore televi-ivo e telefonico e ha il compito di presidiare e controllare l’informa-ione mainstream italiana.
Ecco un altro italiano illustre: Carlo Cottarelli, economista onnipresente in TV, attualmente presidente dell’Osservatorio per i conti ubblici dell’Università Cattolica di Milano. Ha preso un Master alla
LSE che gli ha aperto le porte della Banca d’Italia, dell’ENI e del Fondo Monetario Internazionale.
Veniamo a George Soros. Il multimiliardario speculatore finanziario di origini ebraiche è stato uno studente modello della LSE. Qui si è laureato, poi ha preso il Master, e alla fine un dottorato in filosofia (Ph.D). Soros è da anni il principale finanziatore, tramite la Open Society Foundation, di tutte le cause sedicenti progressiste in tutto il mondo: dalle ONG che importano immigrati, alla liberalizzazione della marjuana. A marzo 2020, la rivista Forbes lo ha classificato al posto 162 fra le persone più ricche del mondo, con un patrimonio personale netto di 14 miliardi di dollari. La spregiudicatezza speculativa di Soros nel 1992 costrinse la Banca d’Italia a vendere 48 miliardi di dollari di riserve per sostenere il cambio con il dollaro, portando a una svalutazione della nostra moneta del 30% e all’estromissione della lira dal sistema monetario europeo. In una dichiarazione su Repubblica del 2013 (dopo aver vinto, chissà con quali meriti, il Premio Terzani a Udine), Soros ha rivendicato come giusta l’azione speculativa sulla lira, affermando che «gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe». Naturalmente la Soros Found Management, nel 2017 è diventata un’importante azionista di Goldman Sachs, investendo 14.9 milioni di dollari.8 Costui è davvero un ottimo prodotto dell’università dei fabiani, cioè di un movimento politico che, come abbiamo visto, a parole rivendica l’elevazione sociale e i diritti delle masse e dei lavoratori, ma nei fatti persegue potere e denaro.
Anche Ursula Von Der Leyen, la presidente della Commissione Europea, come il suo predecessore Prodi, ha studiato economia nel 1978 alla LSE. Dame Shafik, direttrice della LSE, alla nomina della Von Der Leyen, si è affrettata a dichiarare: «Enormi congratulazioni da LSE alla ex allieva Ursula von der Leyen per questo fantastico appuntamento».9 Von der Leyen è il cognome del marito, Ursula, prima di sposarsi, si chiamava Albrecht ed è figlia d’arte, in quanto suo padre Cari è stato un’importante politico tedesco e poi alto funzionario proprio della Commissione Europea. Anche lei, come Soros, Prodi e tutti i progressisti della LSE, si batte più che per le masse, per le cause cosiddette “arcobaleno”. Infatti in Germania si è battuta per l’introduzione dei matrimoni gay ed è favorevole all’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.”