Fonte: Andrea Cascioli
Non so se sia una cosa solo italiana ma mi pare che lo Stato abbia ormai abdicato a qualsiasi funzione formativa anche dal punto di vista linguistico. Non ci proviamo nemmeno più. Una volta gli anglicismi erano perlomeno termini nati altrove che importavamo senza tradurre, per esempio computer o social network. Adesso nascono già così, direttamente sui documenti del ministero: io ho tenuto botta usando confinamento al posto di lockdown finché ho potuto (e tuttora lo faccio quando riesco), mi chiedo poi cosa ci impedisca di usare passaporto vaccinale o – toh – pure carta verde al posto di green pass e altre amenità. Mi domando se ci sia altro a monte di tutto ciò a parte una pigrizia mentale che sfocia nell’estenuazione, roba da fumatori di oppio. Soprattutto mi chiedo se c’è ancora qualcuno che associ queste scorciatoie a un senso di maggiore modernità, efficienza etc quando l’unico paragone sensato che mi viene in mente è quello con gli Stati decolonizzati dell’Africa subsahariana, dove l’abuso dell’inglese (o del francese) è conseguenza necessaria della compresenza di 30 etnie con 50 dialetti diversi. Insomma mi chiedo se qualcuno sente dire “green pass” e pensa a New York e al futurismo, perché a me evoca solo l’immagine mentale di un posto di frontiera nel buco del culo del mondo con due guardie daziarie stremate dal caldo e dalla noia, il ritratto dell’Idi Amin Dada di turno alla parete e un ventaglio per scacciare le mosche.
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