Anche in casa Microsoft si fa marcia indietro e fa sapere tramite i suoi vertici aziendale che lo smart working sarà riservato solo ad alcuni ruoli e comunque per non più del 50% dell’orario di lavoro ,Ibm dal canto suo ha annunciato che almeno all’80 per cento dei dipendenti verrà chiesto di venire in ufficio almeno tre giorni alla settimana su cinque e Amazon auspica “un ritorno a una cultura dell’ ufficio” perché solo attraverso la presenza fisica si può realizzare un vero coordinamento e un a vera collaborazione. E all’Ibm rincarano la dose dicendo che se si vuole fare carriera e coordinare i progetti bisogna essere fisicamente presenti. Si potrebbe andare avanti molto a lungo a citare, ma bisognerebbe chiedersi come mai proprio il mondo che produce la virtualità e su questa ha lucrato in maniera incredibile, ora la sconfessa se non altro nel campo del lavoro.
Innanzitutto perché si è scoperto che lo smart working è più lento, di scarsa qualità e richiede molti più controlli, tutte cose che questi giganti della tecnologia informatica sapevano già, tanto che erano tema di discussione e di analisi da decenni, ma probabilmente si è voluto dare una mano alle misure di confinamento, fortemente appoggiate dalle multinazionali della galassia Big Tech, creando una sorta di enfasi positiva attorno al lavoro domiciliare così che la massima parte delle persone non si sentisse ancora più alienata e non si sviluppasse fin da subito una forma di rigetto. Ma una volta assuefatta la popolazione a queste forme di massima “separazione sociale”, dopo un intero anno di terrore, si può anche sbaraccare l’impianto retorico messo insieme attorno al lavoro agile e tornare alla realtà
estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2021/04/19/lo-smart-working-era-il-futuro-oggi-e-gia-il-passato/