Fonte: Matteo Brandi
Davvero vi state spremendo le meningi per trovare una ragione dietro le zone rosse nei giorni festivi e prefestivi, le zona arancione nei giorni lavorativi, la chiusura prolungata di bar e ristoranti, gli spostamenti preclusi verso i Comuni capoluogo e altre cazzate del genere?
Fate un favore alla vostra testa e fermatevi. Non surriscaldate il cervello tentando di individuare un’idea sensata alla base del nuovo decreto: non c’è.
O meglio, non è quella che voi, ingenuamente magari, pensate. No, non c’entra nulla la lotta al Covid. No, non c’entra nulla la salute. No, non c’entra neanche la questione degli assembramenti.
L’unico obiettivo delle follie del Governo Conte siamo noi. A noi vogliono imporre una precisa idea economica, una precisa riorganizzazione sociale del mondo, quella che nel 2021 diverrà dogma mondiale con il nome di Grande Reset.
Centri commerciali aperti, bar e ristoranti chiusi. Metro aperte, musei e luoghi di culto chiusi. Grandi multinazionali in piena attività, PMI sull’orlo del fallimento. Assembramenti nei mezzi pubblici consentiti, feste in famiglia limitate. Delazione, distanziamento sociale, terrorismo mediatico.
Guardate dove ci hanno portati. Ci avreste mai creduto anche solo un anno fa? Tutto sta accelerando e molti di noi stanno accettando questa follia come la nuova normalità.
Cercare un motivo dietro gli eventi è umano, il problema è che talvolta è proprio quel motivo a non esserlo.
La domanda è: siamo pronti a prenderne atto? O preferiamo continuare a chiudere gli occhi?
A fianco delle misure sanitarie e di distanziamento sociale, stiamo assistendo allo sviluppo di una narrazione ideologica intorno all’emergenza Covid-19, che utilizza i linguaggi artistico-culturali. Grandi aziende come Coca-Cola, Amazon o Lavazza, infatti, stanno producendo spot finalizzati a promuovere non già il proprio prodotto, bensì un nuovo stile di vita conseguente all’emergenza pandemica. Il tratto comune a questi spot, è l’enunciazione del fatto che il distanziamento sociale sia destinato a rimanere per sempre e che il nuovo stile di vita che ne deriverà sia da abbracciare con entusiasmo.
Bye bye uncle Sam
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– Cosa volete dire? – gli chiesero gli altri. – Volete dire che se per ipotesi un capo passa il termine, facciamo il caso, e non gli si taglia la testa, resta lì a dirigere, per tutta la vita?
– Così andavano le cose, – assenti il vecchio, – ai tempi in cui non era chiaro che chi sceglie d’esser capo sceglie d’essere decapitato a breve termine. Chi aveva il potere se lo teneva stretto…
Qui io avrei potuto interloquire, citare degli esempi, ma nessuno mi dava retta.
– E allora? Come facevano? – chiedevano al vecchio.
– Dovevano decapitare i capi per forza, con le cattive, contro la loro volontà! E non a date stabilite, ma solo quando non ne potevano proprio più! Questo succedeva prima che le cose fossero regolate, prima che i capi accettassero…
– Oh, vorremmo ben vedere che non accettassero! dissero gli altri. – Vorremmo anche vedere questa!
– Le cose non stanno così come dite, – intervenne quello con gli occhiali. – Non è vero che i capi siano costretti a subire le esecuzioni. Se diciamo questo perdiamo il senso vero dei nostri ordinamenti, il vero rapporto che lega i capi al resto della popolazione. Solo i capi possono essere decapitati, perciò non si può volere essere capi senza volere insieme il taglio della scure. Solo chi sente questa vocazione può diventare un capo, solo chi si sente già decapitato dal primo momento in cui siede a un posto di comando.
A poco a poco gli avventori del bar s’erano diradati, ognuno era tornato al proprio lavoro. M’accorsi che l’uomo con gli occhiali si rivolgeva solo a me.
– Questo è il potere, – continuò, – quest’attesa. Tutta l’autorità di cui uno gode non è che il preannuncio della lama che fischia in aria, e s’abbatte con un taglio netto, tutti gli applausi non sono che l’inizio di quell’applauso finale che accoglie il rotolare della testa sull’incerata del palco.
Si tolse gli occhiali per pulirli nel fazzoletto. M’accorsi che aveva gli occhi pieni di lagrime. Pagò la birra e andò via.
L’uomo del bar si chinò al mio orecchio. – E’ uno di loro, – disse. – Vede? – Tirò fuori una pila dì ritratti che aveva sotto il banco. – Domani devo staccare quelli e appendere questi altri. – Il ritratto in cima era quello dell’uomo con gli occhiali, un brutto ingrandimento d’una fotografia formato tessera. – E’ stato eletto per succedere a quelli che lasciano il posto. Domani entrerà in carica. Tocca a lui, adesso. Secondo me fanno male a dirglielo il giorno prima. Ha sentito su che tono la mette? Domani assisterà alle esecuzioni come se già fossero la sua. Fanno tutti così, i primi giorni; s’impressionano, s’esaltano, gli pare chissacché. La «vocazione»: che parolone tirava fuori!
– E dopo?
– Si farà una ragione, come tutti. Hanno tante cose da fare, non ci pensano più, finché non viene il giorno della festa anche per loro. O almeno: chi può leggere nel cuore dei capi? Fanno mostra di non pensarci. Un’altra birra?
CALVINO Italo, La decapitazione dei capi, “Il caffé”, XIV,4,1969
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Se oggi “Le leggi le fanno gli uffici legali delle multinazionali ” come Galli disse in un’intervista del 2016, se l’Europa è governata dalle lobby e dai disegni di egemonia, se in Usa si accetta il verdetto di elezioni falsate e dunque la morte della rappresentanza, se siamo in un a tirannide perfetta poiché nasconde se stessa, allora si può in un certo senso dire che l’Italia è stata sempre all’avanguardia in questo processo dissoluzione.
https://ilsimplicissimus2.com/2020/12/29/giorgio-galli-e-la-tirannide-perfetta/
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