I membri del gruppo hanno un’istintiva inclinazione alla conformazione, accettando come plausibile qualsiasi informazione che avvalora l’identità del gruppo e ne giustifica la difesa. Come già insegnava il sociologo francese G. Le Bon oltre un secolo fa, nel suo celebre saggio Psicologia delle folle, perché un messaggio sia efficace e faccia presa sul grande pubblico occorre che sia semplice e diretto, senza troppi giri di parole. Niente di più indovinato che un tweet di 280 caratteri.
La veridicità del contenuto non è fondamentale, poiché:
“Le folle non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle evidenze che a loro dispiacciono, si voltano da un’altra parte, preferendo deificare l’errore, se questo le seduce. Chi sa illuderle, può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è sempre loro vittima”.
Gustave Le Bon (1841-1931)
Nella folla, intesa da Le Bon dal punto di vista psicologico e non come mero aggregato di persone, il soggetto perde le proprie caratteristiche distintive e diviene come un essere nuovo, con un’anima diversa, collettiva. Rispondendo a tale dinamica ogni individuo, anche il più colto, reagisce per istinto all’interno di essa. La massa viene completamente governata dall’inconscio, che inibisce i meccanismi di controllo e di conseguenza lascia affiorare i comportamenti umani più primitivi.
L’assenza dell’aspetto cosciente priva le folle di capacità critica, spingendole ad accettare giudizi imposti e incontestati. Se, al suo interno, una singola persona può maturare nel proprio conscio un atteggiamento critico nei confronti dell’evento cui sta assistendo, baderà bene a tenerselo per sé e a reprimerlo, poiché la maggioranza dei presenti non si muove controcorrente come suggerirebbe la logica individuale.
Il singolo acquista, sostenuto dal numero, un sentimento di potenza invincibile e cede a istinti che, in solitudine, avrebbe necessariamente tenuto a freno: essendo la folla anonima, scompare anche il senso di responsabilità. Insomma, emerge la parte più istintiva e primordiale, vince la logica tribale.
L’identikit degli elettori
A seguito dei recenti risultati elettorali in Ungheria e Polonia è stata condotta una ricerca sugli elettori (Beyond populism – tribalism in Poland and Hungary, Political Capital, 2018): a smentita delle aspettative è stato riscontrato come coloro che avevano votato per i partiti populisti non condividevano necessariamente atteggiamenti populisti né nutrivano avversione per le cosiddette élite.
Alla base delle loro scelte non c’era l’adesione alla “retorica populista”, ma una forte attrazione per le narrazioni semplicistiche che dipingono la scena politica come una lotta tra due parti, una buona e una cattiva, e una predisposizione spontanea ad accordare fiducia a un leader percepito come forte.
L’elettorato presenta, dunque, le caratteristiche di una tribù che si coalizza intorno al suo capo, pronta a combattere contro quella avversaria.
Pertanto, i fiumi di parole spesi sulla disinformazione e sull’ignoranza dell’elettorato non servono a spiegare la polarizzazione e la radicalizzazione dell’attuale scena politica.
Non si tratta di populismo, ma di qualcosa di congenito e atavico, il tribalismo appunto, che nei media attuali trova l’humus ideale.
Fonte: Ilaria Bifarini
"Mi piace""Mi piace"
Basterebbe stornare risorse da interventi inutili e dannosi, da opere di risanamento a posteriori per investirle in manutenzione, basterebbe rovesciare il tavolo di chi chiede risarcimenti per le sue malefatte, esigendoli invece, basterebbe chiudere la borsa e non onorare più i debiti contratti 70 anni fa e ingiustificatamente con la Nato, basterebbe non salvare banche assassine, chiamando in funzione di presenza salvifica il loro protettore dall’estero, ora in attesa di nuovo incarico. Che non accada non è certo casuale: i vincoli, l’impossibilità a riprendersi competenze e poteri ceduti, l’assoggettamento al “realismo” che si misura nel trincerarsi dietro la minaccia di sanzioni e risarcimenti onerosi, in realtà molto meno gravosi nel medio e lungo periodo della diabolica perseveranza nel realizzare interventi sbagliati, è un alibi diventato sistema di governo.
Anna Lombroso in
https://ilsimplicissimus2.com/2019/11/17/lelemosina-dopo-il-furto/
"Mi piace""Mi piace"
Anche in questo caso hanno prevalso gli interessi esteri su quelli nazionali, si è tenuto conto delle “regole dei mercati”, quelle che ci impone l’Europa, che hanno impedito di statalizzare un settore strategico dell’Industria italiana.
L’incertezza e i continui cambiamenti di regole, oltre alla crisi del mercato, hanno provocato la fuga annunciata del gruppo franco indiano che aveva preso la gestione degli impianti e che, grazie ai provvedimenti contraddittori, clausole aggiunte poi tolte e poi ripristinate, ha trovato il pretesto di rescindere il contratto e prendere la via di fuga da una paese come l’Italia dove non esiste certezza.
In presenza di scelte di breve respiro e dichiarazioni del governo che si accavallano e si contraddicono, viene meno l’affidabilità del paese Italia. Tutto questo provoca la sfiducia degli investitori internazionali, disincentivati ad investire dall’incertezza e dall’assenza di interlocutori credibili. Una incertezza che provoca anche la rinuncia delle imprese italiane, che continuano a produrre e lavorare in controtendenza per mantenere i posti di lavoro e rimanere sul mercato, ma che sempre di meno sono intenzionate ad investire, per le scarse prospettive di futuro che si attendono.
In questo contesto il governo non sa cosa fare, stretto fra una emergenza e l’altra, dimostrando tutta la sua incapacità. Qualcuno invoca l’Europa, esattamente quella che, nel caso dell’ILVA, ha aperto le porte all’importazione dell’acciao cinese mettendo fuori mercato l’acciaio di Taranto. Qualcun altro, il sindaco di Venezia, propone di fare di Venezia la capitale mondiale per la lotta ai cambiamenti climatici, come se questo possa risolvere la situazione di Venezia.
Rimane il fatto che nessuno si assume la responsabilità di ogni disastro, le decisioni sempre rinviate e ostacolate dalla burocrazia, producono i loro effetti che, come al solito, sono pagati direttamente dai lavoratori di Taranto e dai cittadini di Venezia.
Si inizia a percepire il grande imbroglio della politica fatta dai servitori degli interessi esterni, a Venezia come a Taranto, come a Genova, i cittadini sperimentano le “grandi capacità” della classe politica italiana.
https://www.controinformazione.info/il-disastro-italiano-messo-a-nudo-a-venezia-e-taranto/
"Mi piace""Mi piace"
"Mi piace""Mi piace"
https://platform.twitter.com/widgets.js
"Mi piace""Mi piace"