Quanto allo scenario europeo, dopo aver sottolineato una volta di più come il partito sconfitto proprio nelle consultazioni europee abbia collocato ai vertici di quelle istituzioni due suoi uomini (Sassoli e Gentiloni), infliggendo, col concorso dei potentati continentali, un ulteriore vulnus alla democrazia sostanziale, c’è da prendere atto che l’auspicata o temuta avanzata – a seconda dei punti di vista – dei partiti sovranisti in Europa si è rivelata e si sta rivelando decisamente inferiore alle attese. L’ultima dimostrazione ci viene dai risultati delle elezioni in Sassonia e Brandeburgo, dove l’AFD, pur avendo quasi triplicato i voti, è rimasto al di sotto dei consensi raccolti dalla CDU, che probabilmente governerà in coalizione con i Verdi. Sorte non dissimile tocca, ormai per tradizione, al partito dei Le Pen, nelle sue successive denominazioni e leadership, sempre alla soglia della Presidenza in Francia e poi sistematicamente sconfitto dall’”Union Sacrée” di tutti gli altri, inclusi i partiti “di destra” sedicenti o presunti. Non sarebbe male chiedersene i motivi; forse le condizioni dei popoli europei non sono così malandate da far desiderare cambiamenti radicali a tutti i costi? Forse il lungo periodo di benessere ha infiacchito gli animi? Forse la propaganda mondialista – chiesa bergogliana in prima fila – ha dato i suoi frutti? Bisogna capirlo e trarne le opportune conclusioni.
E allora? Qui non è solo questione di “poteri forti”, che pure esistono e si fanno sentire. Insomma, senza un autentico respiro europeo, senza una strategia condivisa con “amici” affidabili, non solo il governo nazionale, ma la stessa Europa che vogliamo e che era anche nei nostri sogni giovanili resteranno chimere. L’Europa dei popoli, l’Europa nata dalla cultura greco-romana, ma anche dai successivi apporti cristiani, germanici, arabi, l’Europa delle cattedrali, ma anche della Tecnica ci chiede di rivoluzionare gli assetti della costruzione finanziario-burocratica che regna a Bruxelles e Strasburgo, sulla scorta degli interessi nazionali (imperiali?) di Berlino e perfino di Parigi.
Per svolgere questo compito immenso, non solo la Lega, ma tutte le forze che si riconoscono in una visione dove si sposano sovranità, identità e rispetto del popolo devono collegarsi con le analoghe forze politiche – e culturali! – operanti negli altri paesi del Continente. Si dice che il sovranismo, specie nelle sue declinazioni nazionalistiche, alimenti gli egoismi sciovinisti, e questo purtroppo si è verificato in molte circostanze recenti (non solo in materia di migrazioni). Se non si riuscirà nell’intento di creare questi legami, in sintesi che si risolvano nell’individuazione di obiettivi e strategie e strumenti comuni, vincere questa o quella elezione servirà davvero a poco.
La partita decisiva si giocherà, a parer nostro, in Europa, dove è chiaro chi sia il Nemico, ma vi è ancora la massima incertezza sull’Amico, per usare il lessico schmittiano. In Italia, intanto, non si deve disperdere e vanificare il consenso che si è aggregato intorno al centrodestra, “nuovo” soprattutto nelle sue componenti leghiste e di Fratelli d’Italia; ma in termini di popolo, c’è da conquistarsi la fiducia del popolo dell’astensione, e da curare i sogni e i progetti – e gli interessi – di blocchi sociali ai quali, dal Nord al Sud, non basta la protesta. Ci servono pazienza e fantasia, determinazione e spessore culturale. La scommessa è difficile, ma è fondamentale attrezzarsi per vincerla e farne durare gli effetti.
SE IL NEMICO VESTE I PANNI DELL’AMICO
Il problema di Teresa Bellanova non è il titolo di studio.
Non è, ovviamente, neanche il suo aspetto.
Il problema è che si tratta di una sindacalista, l’ennesima, che ha lavorato violentemente contro coloro che avrebbe dovuto proteggere: i lavoratori.
La Bellanova è stata un’accanita sostenitrice del Jobs Act e dell’abolizione dell’Articolo 18. Cioè di uno dei cardini dello Statuto dei lavoratori.
Sosteneva, addirittura, che «col Jobs act i diritti vengono estesi a chi ne era privo»*.
Non solo.
La Bellanova è stata anche con Calenda al tavolo che ha portato a uno dei licenziamenti collettivi più gravi degli ultimi anni. Quello Almaviva.
1.666 lavoratori licenziati.
In quell’occasione portò avanti una vera e propria strategia di terrorismo verso i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali.
Strategia che le valse una denuncia per tentata estorsione**.
[* https://www.adnkronos.com/…/bellanova-con-jobs-act-diritti-…
** https://ilmanifesto.it/almaviva-denuncia-per-estorsione/%5D
Gilberto Trombetta – FSI Roma
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Il M5S ha commesso molti errori, su questo non c’è dubbio:
1) Ha creduto a Salvini, senza precauzioni, mostrando quanto sono allocchi;
2) Non si è premurato di costruire una propria rete giornalistico-televisiva, quando ne aveva tutti i mezzi;
3) Ha emarginato il suo uomo di punta nel dibattito: Alessandro Di Battista;
4) Non ha mai fatto valere il vecchio manuale Cencelli, ossia che aveva (ed ha) il doppio dei parlamentari della Lega;
5) Non ha saputo creare un’organizzazione interna, diversificata, polivalente;insomma: un partito vero;
6) Non ha mai chiarito i suoi rapporti con la Casaleggio & Associati.
Non per questo, però, il M5S è finito, tutt’altro. E’ l’unico partito italiano a non aver avuto nessun condannato per reati di corruzione e, inoltre, non prende un soldo di finanziamento pubblico, ossia li devolve (essendo obbligato ad incassarli) verso la società civile. Mai stato un problema, un ammanco.
Poi, vorremmo ricordare che Renzi prese, alle elezioni, più del 40% – e dunque ben oltre Salvini – eppure in pochi anni è crollato ed oggi, a parte le furberie che mette in atto, non conta più niente.
E credetemi: Renzi, come persona – per abilità dialettica, comportamento, furbizia ed altre doti – ne fa due di Salvini.
Carlo Bertani
http://carlobertani.blogspot.com/2019/08/luomo-nero.html
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Lo scenario macro economico e geopolitico, per quanto riguarda l’Italia, non fa intravedere alcuna possibile speranza di uscita dal tunnel europeista.
La capriola inevitabile di Grillo nel fare appello “ai giovani del Pd”, infine, è la capitolazione definitiva del mito incapacitante di un partito nato (forse) da buone intenzioni ma senza alcun impianto intellettuale e metapolitico. Con buona pace di quanti pur in buona fede ci avevano creduto tanto.
In una frase sola, di rimessa obbligata, Grillo ha rinnegato oltre quindici anni di attività e azzerato qualsiasi speranza: dai meetup a oggi, la storia del M5S originario finisce qui, tra le scartoffie, le inabilità e i passi felpati di Di Maio nei corridoi del potere. Come avevamo ampiamente previsto (qui, a marzo 2018).
Valerio Lo Monaco
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/movimento-5-stelle-fine-di-una-storia-inutile
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