Domenica mattina, a Padova, una donna di trentanove anni, laureata in giurisprudenza a Bologna ma da quattro anni emigrata a Oxford, dove fa la cameriera, si è avvicinata a un banchetto della Lega e, riprendendosi col telefonino, ha ricoperto d’insulti, per parecchi minuti, i presenti, ripetendo con tono aggressivo, più e più volte: Questi sono i fascisti di Padova, questi sono quelli che odiano gli ebrei (…), quelli che stanno rovinando questo paese. Fascisti, antisemiti. Io vivo all’estero, voi siete la vergogna e la barzelletta di questo Paese. Poi ha sputato in faccia al consigliere leghista e Presidente della Commissione regionale della Sanità, Fabrizio Boron, dopo di che se n’è andata. Il giorno dopo, resasi conto di rischiare una denuncia penale, si è detta pentita, ha chiesto scusa e ha qualificato il suo atto come una sciocchezza; ma i video che l’hanno ripresa e che sono visionabili in rete non mostrano per niente una persona incerta o insicura, bensì estremamente decisa e quanto mai convinta del suo buon diritto d’insultare a piena gola quegli orribili compatrioti reazionari, trogloditi, incivili, nei confronti dei quali non si può che provare imbarazzo e vergogna, specialmente se si vive all’estero.
Qualcuno, forse, cercherà di capire e di spiegare perché una quarantenne, che non è riuscita a trovar lavoro in Italia nonostante possieda una laurea “pesante”, e che ha dovuto andare all’estero e adattarsi a fare un mestiere assai modesto e che non c’entra nulla coi suoi studi, sia animata da sentimenti di rabbia così forti nei confronti della Lega e perché, per esempio, non ce l’abbia affatto col PD, che pure, in un modo o nell’altro, ha governato per anni e continua a governare, benché non abbia vinto alcuna elezione e non sia neanche il partito di maggioranza relativa, piazzando i suoi uomini chiave nello Stato profondo, nella pubblica amministrazione, nella magistratura, nei sindacati, nella scuola e nell’informazione. Certo è curioso che la rabbia sociale esista, eccome, però, non di rado, prenda la strada dell’odio viscerale contro le forze di centro-destra e non contro quelle di centro-sinistra che pure, nella distruzione del sistema sociale e dell’economia italiana, qualche responsabilità ce l’hanno di sicuro, eppure continuano a rivolgere gran parte dei loro sforzi e delle loro attenzioni ai migranti, da un lato, e alla conquista di sempre nuovo “diritti civili”, come l’adozione di bambini da parte delle coppie gay.
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Gli italiani che non sono di sinistra devono essere epurati, rieducati, costretti a rinsavire, con le buone o le cattive.
Questo concetto è stato mirabilmente sintetizzato dallo storico Ugo Finetti nel suo libro La Resistenza cancellata, riferendosi alla politica di Togliatti all’indomani del suo rientro in Italia e della “svolta di Salerno”; ma in effetti, è un concetto che si può benissimo estendere a tutto lo schieramento progressista, anche indipendentemente dai limiti strettamente politici del discorso, perché investe un atteggiamento psicologico e culturale che è sempre lo stesso e non cambia (Milano, Edizioni Ares, 2009, p. 305):
Anche con la partecipazione di non comunisti, in quel periodo al Pci fanno capo un centinaio di brigate Garibaldi, e una decina di Gap, a cui si aggiungono alcune decine di Sap (Squadre d’azione patriottiche) operanti in fabbriche e villaggi. Il loro obiettivo – nei piani di Togliatti, Longo e Secchia – non è la rivoluzione, ma l’epurazione.
Tutta la politica di Togliatti è cioè rivolta a “epurare” l’Italia e gli italiani. Tale mentalità stalinista e internazionalista avvicina i comunisti che vengono da Mosca ai militari alleati più estremisti e spiega anche l’intesa che Togliatti, sbarcando a Napoli, ha stabilito con determinati settori anglo-americani: per tutti loro l’Italia è un Paese da punire, epurare e rieducare.
Francesco Lamendola Fonte: Accademia nuova Italia
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