Mal di scuola

Era il titolo di un libro di Ethel Porzio Serravalle del 1988 ,della commissione Scuola del PRI.

Con la seconda repubblica i partiti hanno smesso di studiare, ma i problemi sono rimasti; anzi si sono aggravati se vogliamo prestar fede ai risultati dell’ultimo test INVALSI.

4 pensieri su “Mal di scuola

  1. Per contro, lo studio della storia, l’acquisizione di una prospettiva storica, immunizza contro ogni pensiero unico, contro il suo appiattimento sul presente e contro la sua political correctness, perché sviluppa la consapevolezza delle diverse mentalità e concezioni della realtà, della politica, dei valori che si sono succedute nei secoli, e delle loro trasformazioni, nel tempo e nelle varie regioni del mondo. Quindi della loro relatività. Chi vuole imporre un pensiero unico incapace di pensare diversamente, un’unica dottrina della realtà, taglia o snatura questo tipo di insegnamento nella scuola. Per tutte queste ragioni, esorto allo studio metodico della storia generale, e anche della storia del diritto, dell’economia, della filosofia.
    http://marcodellaluna.info/sito/2019/07/19/le-chiavi-del-potere-3a-edizione-esce-in-agosto/

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  2. Così, mentre sul piano ideologico si diffondeva l’idea di un’educazione che dovesse rifuggire da comportamenti disciplinari, sul piano della struttura economica la società dei consumi creava a getto continuo strumenti mirati di di-vertimento (cioè dis-toglimento) da sottoporre ai propri piccoli consumatori.

    Di passaggio, questo è un punto (uno tra i molti) in cui la convergenza storica di New Left e neoliberalismo si manifesta con grande chiarezza.

    Gramsci nei Quaderni dal Carcere poteva ricordare con il consueto acume che “lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.” Queste riflessioni per la Nuova Sinistra nata dalle ceneri del ‘68 portavano invece lo stigma di un’epoca oscura, non ancora illuminata dal proprio ardito libertarismo, il quale ora etichettava come ‘autoritarismo’ ogni forma di disciplina, inclusa quella educativa, aprendo la strada a tutte le innumerevoli forme di degrado culturale che la società dei consumi era pronta ad alimentare.

    Il venir meno di giustificazioni socialmente condivise per la disciplina, insieme a un accesso crescente a forme di consumo intensificato e semplificato, hanno iniziato a produrre i propri effetti: soggettività fragili, con ridotta capacità di concentrazione e tenuta attentiva, e con un repertorio concettuale in rapido tracollo.

    Come tutti i processi storici, anche questo va letto in tutta la sua complessità, e dunque un’analisi estesa dovrebbe esaminare le interazioni con il processo, di poco precedente, di estensione della scuola dell’obbligo, e con l’inerzia intergenerazionale dei processi educativi, per cui ogni ‘tradizione famigliare’ offre sempre un qualche grado di resistenza ai processi di cambiamento. Ma, una volta fatta la tara per tutto questo, la situazione emersa è quella di generazioni che, in misura crescente, non iniziano neppure quel percorso di ‘maturazione attraverso la fatica’ che è il cuore di ogni educazione.

    Andrea Zhok
    https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=62276

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    Nota: se c’è una cosa che non è mai stata un problema, è proprio questa!

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