Fonte: Paolo Becchi
Nei giorni scorsi è partito il fuoco di sbarramento sull’immigrazione, perché ora dobbiamo accogliere tutti gli immigrati libici dal momento che scappano dalla guerra, mettendo così in difficoltà la linea dura del ministro dell’Interno. Poi l’indagine della magistratura sul caso SeaWatch e due giorni fa l’inchiesta per corruzione riguardante Armando Siri. Il tutto nel bel mezzo della campagna elettorale per le elezioni europee del 26 maggio. Le danze sono dunque iniziate sempre sotto la stessa musica. Salvini stava andando troppo forte e si è messo in moto l’intero establishment per fermarlo.
Ieri l’ultima mazzata, ma stavolta proveniente da un insospettabile. Si è scomodato addirittura il presidente della Repubblica, che in una intervista rilasciata alla rivista francese Politique Internationale ha espresso il concetto che «il vento del sovranismo non minaccerà l’esistenza dell’Ue». A noi non importa quale sia il pensiero di Mattarella sul sovranismo, bensì se possa o meno dire una cosa del genere.
Il presidente della Repubblica esercita le sue funzioni quale organo super partes, cioè non può prendere una posizione che avvantaggi l’una o l’altra forza partitica, questa o quella dottrina politica. Ma con quella intervista ha presa posizione per una parte contro un’altra. Vediamo perché.
leggi tutto : https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61847
https://byebyeunclesam.wordpress.com/2019/04/19/sovranita-il-video/
Idee a confronto per il riscatto dei popoli.
Le immagini dell’incontro/dibattito svoltosi a Bologna lo scorso 6 aprile, con la partecipazione di Stefano D’Andrea (Fronte Sovranista Italiano), Thomas Fazi (Senso Comune) e Alessandro Somma (Patria e Costituzione).
Buona visione!
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(Armando Siri) Non è nato nella Lega dove si faceva carriera leccando il didietro a Bossi, che quindi oggi è piena non di rivoluzionari di professione ma di leccapiedi in competizione per poltrone di sottogoverno. Craxiano in un passato mai rinnegato, uomo Mediaset in Liguria, Armando Siri non ha bisogno di prendere a prestito voti leghisti. Ha un suo partito, il Partito Italia Nuova, da lui fondato nel 2001, l’anno del putsch di Monti e Napolitano su comando UE: e non è una sigla vuota, il suo, ma un partito con 10 mila iscritti e sedi in tutta Italia. Ancora una volta lascio la parola ai media, non certo suoi amici: “Non solo un partito il Pin, ma una vera e propria filosofia di vita. «Quando lo fondai decisi di avere un approccio differente dagli altri partiti. Ho puntato tutto sui contenuti, una politica con la P maiuscola. La nostra è una visione della vita, un modo di vivere. L’importante è non lamentarsi, ma agire. Perché se ti lamenti non fai altro che togliere energia a te stesso e farti schiacciare dai famosi “altri” che notoriamente non esistono davvero ma rappresentano le proiezioni esterne delle tue paure».
Dunque il contrario del parolaio “capitano”. Un politico sperimentato, di carattere solido, con contatti nazionali e internazionali.
https://www.maurizioblondet.it/il-messaggio-del-procuratore/
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Avanti il prossimo. Giù nella scarpata ci sono le icone semoventi di Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, per dire solo dei più noti e dei più recenti. Ora il primo in alto, davanti al precipizio, nel cono di luce, è Matteo Salvini e tutti gli occhi sono puntati su di lui e sull’orologio che segna il suo tempo, per vedere quanto dura, se ci sono segni e scricchiolii sinistri, se comincia a scivolare pure lui nel burrone.
È inesorabile la macchina dell’oblio e del rigetto che macina leader, li brucia, li consuma e poi li vomita, li spara in cielo e poi ricadono in terra, per una misteriosa forza di gravità che coincide con la precarietà, tramite overdose. La parabola dei leader è veloce, la loro esposizione mediatica è la causa del loro folgorante successo e pure del loro precipitoso declino. È una legge inesorabile della politica senza fondamenti, della leadership emozionale. La cosa più terribile è che non lasciano traccia, le scie dei rimpianti durano poco e poi restano a una minoranza scarsa, sempre più scarsa. È irripetibile il loro momento d’oro, le stesse cose che una volta conquistavano consensi e perfino entusiasmi, diventano a un certo punto insopportabili cliché; basta, non ne possiamo più di quel repertorio, quella faccia, quella voce. A volte fiducie immeritate si risolvono in sfiducie esagerate. Ma quando entri nel ciclo dei consumi mediatici di leader e di parole, tutto è liquido meno la legge che governa il ciclo, che invece è ferrea, inesorabile.
Salvini rischia grosso a questo punto, e gli va detto anche – e vorrei dire soprattutto – da chi pensa che, al momento, sia il leader preferibile, migliore, o “meno peggio”. Ha raggiunto il tetto dei consensi virtuali e della condivisione, per la sua capacità di intrecciare messaggi a forte valenza simbolica, linee largamente condivise di una ideologia emozionale, capitalizzando l’odio che converge contro di lui. L’odio polarizza, genera spartiacque tra chi detesta e chi ama o finisce con l’amare il leader detestato, offeso, massacrato. Salvini usa bene l’effetto di ritorno dell’odio che raccoglie, in un’operazione martirio che in un paese di derivazione cattolica funziona sempre.
Salvini parla chiaro e dice quel che la gente vuol sentirsi dire, offre obbiettivi simbolici, non potendo offrire grandi risultati pratici. E riesce a far giungere alla gente un messaggio: io vorrei realizzare quella rivoluzione che voi aspettate e che vi ho promesso, ma non ho i numeri per farlo, ho un alleato che non è d’accordo, anzi mi ostacola. Ergo, datemi più forza ed io sarò in grado di farlo. Dunque riesce a coltivare il malessere presente, l’onda d’indignazione verso la sua demonizzazione, ma anche l’orizzonte d’attesa della gente.
Ma poi avviene un passaggio misterioso, repentino, dapprima implicito e poi clamoroso, e il sostegno inverte direzione. Accadde a Matteo Renzi e tutti lo citano come il Precedente da Manuale. Qui le interpretazioni divergono: ci sono quelli che catalogano gli errori compiuti da Renzi per spiegarne il cambiamento di fortuna, così radicale e così repentino; e ci sono quelli che invece sostengono l’ineluttabilità della legge che governa i media, il potere e le opinioni della gente; quella fatale, inarrestabile parabola da cui è impossibile sottrarsi. Tra le due versioni propendo per una soluzione-matrioska: la prima spiegazione, specifica e personale, è dentro l’altra, generale se non epocale. Nell’epoca dell’effimero tutto è effimero, nell’epoca dei consumi tutto è oggetto di consumo, nell’epoca del presente assoluto e tirannico, tutto passa in fretta e diventa passato.
Ma questa considerazione di ordine generale non può consegnarci al puro fatalismo dell’abbandono. Allora provo a dire: ma non è che il problema è la stoffa di cui sono fatti questi leader, ovvero il materiale di cui sono composti i loro successi? Non si presentano, sin dall’inizio, con la loro forza-limite di cavalcare l’onda emotiva del momento come yogurt con la scadenza scritta sulla fronte? E allora implicito viene il suggerimento: e se qualcuno provasse la via diversa, se uno provasse a far seguire agli appelli estemporanei i disegni duraturi, se qualcuno provasse a lasciar traccia ad agire non solo sulla cresta dell’onda ma in profondità? So quanto sia difficile, in un’epoca del genere, e so quanto sia veramente ardito riuscire a usare l’appeal dell’istantaneo emotivo come una buccia che però protegge un midollo di sostanza. Ma è l’unica possibilità di non finire rapidamente e inopinatamente di proiettarsi nel futuro e di restare in piedi. Legarsi a idee, temi, prospettive che non passano. Temi grandi, decisivi, epocali e culturali, che riguardano le civiltà, i popoli, la storia, la forza delle idee e le cose che durano. Scommessa difficile ma è l’unica che si può opporre alla rapida obsolescenza della merce-leader.
Pensaci Salvini, anche se sei stretto tra le elezioni europee, l’Iva, il marasma e l’assedio generale. Pensaci, anche se ti trovi tra un alleato presente che è il concorrente futuro e un alleato passato che vuol farsi futuro. Sei lì, in alto, il primo sulla vetta, e ricevi spinte da dietro e incitazioni dal basso. Difficile restare lì a lungo, bisogna cambiar gioco, cambiare posizione, muoversi a lato, guardare in alto. Pensaci, Matteo, se ne sei capace. (La Verità 19 aprile 2019)
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