Come funzionava prima del luglio 1981

Un’analisi sulla formazione del debito pubblico

Scritto da Emmanuele Fiorella

Il 12 febbraio 1981, il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta comunicò al Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, la sua volontà di cambiare profondamente la politica monetaria della Banca d’Italia e del governo italiano. Lo scambio di opinioni che ne seguì fu esclusivamente epistolare e il Parlamento non fu mai incluso nella discussione che portò al cosiddetto divorzio fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro. (1)

Nonostante ‘a consentirlo, secondo i legali del ministero, è il fatto che la revisione delle disposizioni date alla Banca d’Italia rientra nella competenza esclusiva del ministro’ (1), è evidente che ci sia stato e vi è tuttora un forte problema di legittimità politica e democratica riguardante questa scelta economica e politica imposta al paese ed alle future generazioni. Sottolineo ancora che il parlamento italiano formato dai parlamentari (e partiti) eletti dai cittadini non hanno avuto la possibilità, quantomeno formale, di esprimersi in merito ad una questione di tale portata.

In un articolo pubblicato il 26 luglio 1991 su ‘Il sole 24 Ore’ l’ex ministro Andreatta scrive:

Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, né lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come “congiura aperta” tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso – soprattutto sul mercato dei cambi – abolire per ritornare alle più confortevoli abitudini del passato’ (2).

Una dichiarazione chiaramente permeata dal migliore spirito anti-democratico, basato sull’intraprendere una decisione che porrà dei futuri obblighi economici che renderebbero impossibile il cambio di marcia, anche se necessario e razionale.

Il divorzio si concretizzò nel luglio 1981, quando la Banca d’Italia non fu più ‘obbligata’ a coprire i titoli di stato non assorbiti dal mercato. Come vedremo, questa scelta causerà dure conseguenze finanziarie per il paese.

Nel 1982 il governo Spadolini II cadde a causa dello scontro politico, fra il ministro del tesoro Beniamino Andreatta ed il ministro delle finanze Rino Formica, proprio su questo provvedimento. La crisi di governo che ne scaturì è ricordata con il nome ‘Lite delle Comari’.

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Cartoline dall’ inferno

Poi con la caduta dell’Urss tutto questo ha cambiato di segno, si è trasformato da tutela dei ceti popolari a breviario dell’individualismo neoliberista che nel caso specifico è divenuto appoggio incondizionato all’Europa e ai suoi diktat di natura in apparenza economica, ma eminentemente politica

il Simplicissimus

kafka-angosciatoL’equazione è semplice, anzi semplicistica come è ormai d’habitude per le sinistre da happy hour che  sono costrette a non pensare per esistere e abbandonarsi al bon ton neoliberista: se il nemico è lo stato nazionale da svendere al miglior offerente insieme a tutti gli arredi, lingua e cultura compresi, allora ben venga non opporre resistenza ai regionalismi speciali che saranno anche sentine di specialissima corruzione e benedette prebende per le varie corti dei miracoli e benvenute anche le finte ribellioni di sindaci che aspirano alla gestione dell’immigrazione o all’acquisto di qualche specchio di Dorian Gray politico, esattamente come avveniva tempo fa al contrario con l’ostentazione di xenofobia.

Questo anti statalismo si è via via ingrossato come un tumore maligno a partire dal vecchio Pci che, sentendosi vittima di una conventio ad escludendum fu regionalista per poter governare almeno alcuni pezzi di Paese e fu anche in qualche misura localista…

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La bolla dei derivati

Fonte: Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Qualche settimana fa l’Esma, l’autorità europea per la vigilanza sui mercati finanziari, ha pubblicato il suo primo rapporto annuale relativo alla situazione dei derivati. Lo ha fatto in modo preciso e persino sorprendente. A fine 2017, solo il mercato europeo dei derivati ha registrato un valore nozionale di ben 660 mila miliardi di euro, di cui oltre 542 mila sono derivati over the counter (otc), quelli cioè contrattati fuori dei mercati regolamentati. Dal rapporto si deduce subito che i derivati regolamentati, quelli perciò meno rischiosi, ancora rappresentano solo una minima parte del mercato. Il risultato ci sembra davvero sbalorditivo e molto preoccupante.

Fino ad oggi ci si è basati sui dati forniti dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca delle banche centrali mondiali con sede a Ginevra, che a fine 2017 ha quantificato il totale dei derivati a livello mondiale intorno a 622 mila miliardi di dollari, di cui gli otc erano pari a 532 mila miliardi.

La Bri, inoltre, ha sempre indicato che la «componente europea» del mercato dei derivati fosse circa un quarto del totale mondiale. Se tale stima fosse confermata, allora la bolla degli otc potrebbe essere di dimensioni enormemente maggiori rispetto a quella finora conosciuta. Ci sono parecchie ragioni per prendere dannatamente sul serio la cosa. Nel nostro paese, purtroppo, non ci pare che i media abbiano molto considerato i dati riportati.

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Media di regime

Perché dovremmo credere a Beppe Severgnini, stipendiato dal Corsera, di proprietà di RCS Media Group (Rizzoli-Corriere della Sera Media Group S.p.A.), uno dei principali gruppi editoriali italiani, impegnato nella gestione di quotidiani, periodici, televisione, web e raccolta pubblicitaria, di cui Urbano Cairo detiene il 59,831% dell’azionariato?

Urbano Cairo, ex collaboratore Fininvest di Berlusconi, coinvolto nell’inchiesta Mani pulite, al cui processo chiede il patteggiamento, e concorda una pena di diciannove mesi con la condizionale, per i reati di appropriazione indebita, fatture per operazioni inesistenti e falso in bilancio.

Perché dovremmo credere ai numerosi diffamatori seriali, che blaterano dagli schermi di La7, canale televisivo sempre di proprietà del gruppo Cairo Communication, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.?

Sempre per lo stesso motivo, perché dovremmo credere a Repubblica (con i suoi nove supplementi), La Stampa, Il Secolo XIX, L’Espresso, stampati sempre da «Gedi News Network» (GNN), gruppo editoriale proprietario anche di tre radio nazionali, Radio Deejay, Radio Capital e m2o e delle emittenti televisive satellitari m2o TV, Radio Capital TiVù e Deejay TV?

E del Giornale berlusconiano ne vogliamo parlare? Il giorno 29/12 titola: “Toninelli, Lezzi e Trenta ministri a rischio rimpasto“. Il ministro dei Trasporti dunque secondo il Giornale rischierebbe la retrocessione in Parlamento… e le altre due ministre sarebbero spostate di location come pedine sul tavolo degli scacchi. Quando al contrario non è assolutamente possibile un rimpasto del genere, perché secondo il vincolo dei due mandati, i portavoce del MoV non possono passare da un incarico all’atro, tradendo il patto elettorale coi cittadini, pena l’espulsione dal MoV.

E ancora Libero Quotidiano… “Luigi Di Maio trema, quale Ministero vuole Matteo Salvini: rimpasto e fine del governo?”

Il Sole24ore… “Dalle gaffe di Toninelli ai malumori di Savona: il governo e le tentazioni di rimpasto.”

Roma.Corriere… “Fraccaro al posto di Toninelli. La voglia di rimpasto nei 5 Stelle.”

Il Giornale… “Stangata una pensione su tre. I tagli assegno per assegno. Dal 2019 scattano le penalizzazioni su tutti gli assegni che superano i 2000 euro lordi. C’è chi perde fino a 1000 euro.”

La Repubblica… “Manovra, la tassa sulla solidarietà colpisce anche gli ospedali: 70 milioni in più.” Lo stesso comma che penalizza il volontariato aumenta l’Ires anche per le aziende del sistema sanitario nazionale. Etc etc…

Infine. Evidenti segnali di un sistema di potere che si è infranto, e che cerca di svincolarsi dalla  morsa, per non collassare definitivamente. Logico che abbiano sfoderato tutte le loro armi terroristiche più violente, le loro insinuazioni più raffinate, per difendere i loro imperi editoriali, finanziari ed imprenditoriali.

Però negli ultimi anni si sono alquanto distratti e soprattutto hanno fatto malissimo i loro conticini, lasciando i ragazzi italiani senza lavoro e senza futuro… perché poi quelli si sono incazzati e guarda un po’, sono anche diventati  ministri.

Rosanna Spadini

estratto da  https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=61385

Di chi è la TV?

di Giulietto Chiesa (Sputnik)

Qui le norme introdotte, invece di favorire la concorrenza (e quindi alzare le entrate dello Stato), favoriscono gli attuali monopolisti della comunicazione. Cioè Mediaset (Elettronica industriale), Persìdera (70% Telecom Italia, 30% Gruppo Gedi), la RAI. In altri termini, invece di organizzare un’asta al rialzo, che li costringa a competere e permetta l’ingresso di altri acquirenti potenziali e produca maggiori entrate allo Stato, il governo (il ministero dello sviluppo economico) indice una gara in cui vincerà chi offre il prezzo più alto rispetto a quello fissato in partenza. Siccome non siamo nati ieri e sappiamo di essere di fronte a una banda di pescecani bene organizzati, capaci di ungere ruote e di mettersi d’accordo nel loro interesse comune (che non è quello pubblico) per dividersi la torta pagando il meno possibile, dunque, siccome sappiamo tutto questo, la prima domanda che sorge è questa: chi decide il prezzo di partenza? Sotto quali pressioni e spinte? Sotto quali “unzioni”?

Dalle cose fin qui dette si capisce subito che il prezzo di partenza sarà tranquillizzante, cioè basso. Si tratta di “garantire la continuità del servizio”; di valorizzare le esperienze maturate”; “tenere conto dei contenuti diffusi”. Tutto detto nella neo-lingua, “molto responsabile”, per “difendere l’occupazione. In sostanza queste fughe di notizie servino per far capire che chi già occupa le frequenze se le potrà tenere….

Un’occhiata ai costi. Attualmente un multiplex viene pagato dal concessionario circa 1,5 milioni di euro all’anno. Chi ne ha cinque spende dunque 7,5 milioni l’anno. Il cambio che sta per avvenire e di cui si discute ora — appunto il passaggio alla seconda generazione, la cosiddetta “banda 700” — illustra il tipo di regalo che i governi passati hanno fatto ai privati in questi decenni. Gli operatori telefonici (Vodafone, Telecom etc,) che occuperanno le nuove connessioni 5G hanno sborsato complessivamente oltre 6,5 miliardi di euro per accaparrarsele e ne fruiranno a partire dal 2022. Cioè pagheranno mille volte di più. Ma quanto pagheranno i tre capi-bastone uniti per i multiplex televisivi sarà mille volte di meno.

È già chiaro che le regole le fisserà quel campione di trasparenza che si chiama Agcom (l’autorità, si fa per dire, di garanzia, ultra-lottizzata tra i partiti e i giganti televisivi). I due multiplex di nuovo tipo — che saranno a disposizione per una concessione ventennale, varranno più del doppio, in termini di frequenze, di quelli attuali. E verranno suddivisi in quattro lotti. Già si indicano i criteri di “lottizzazione” in modo tale che i tre non si pestino i piedi l’un con l’altro. In modo che la torta venga suddivisa in parti uguali.

Tutto questo era scandaloso fino a ieri, con i governi di destra, di centro-destra, di centro-sinistra. Adesso scopriamo che il governo giallo-verde riproduce in fotocopia, per altri venti anni, lo stesso trucco. Qui i ponti non crollano, ma le macerie dell’ignoranza, della manipolazione di massa, dell’abbrutimento altrettanto di massa, che cadranno sui cervelli degli italiani, saranno perfino più micidiali. Mettere sotto processo per inadempienza contrattuale le imprese cui oggi regaliamo i cervelli degli italiani non sarà neppure possibile, per la semplice ragioni che noi non gli chiederemo nessuna garanzia. Faranno quello che hanno sempre fatto, impunemente. E il suicidio intellettuale e morale dell’Italia sarà firmato giallo-verde.


[1] Fino ad oggi c’erano 20 multiplex, di cui 5 dati a Mediaset, 5 a Persìdera, 5 alla RAI, uno a testa alla “7” di Urbano Cairo, a Europea7, a Rete Capri, a Wind 3, a Dfree di Tarak Ben Ammar. Ora ce ne saranno solo due, di multiplex, ma che varranno molto più canali dei multiplex precedenti.

L’articolo La televisione italiana (tutta) resta in mano a chi ce l’ha proviene da Blondet & Friends.