Comunque c’è poco da chiamare soft power l’occupazione coloniale del calcio attuata in grande stile secondo il dettami di un programma di sviluppo, il “Qatar National Vision 2030” che stabilisce i principi per uno “sviluppo sostenibile ed equilibrato” del quale fa parte appunto la “Sport Sector Strategy”: il Qatar compra e sponsorizza squadre (Barcellona, Psg, etc,), atleti, arbitri, senza alcun rispetto per il tradizionale fair play che dovrebbe caratterizzare il mercato calcistico e lo sport in generale, affitta ultras da infiltrare nelle partite, all’interno della Fifa compra i voti dei presidenti delle società calcistiche per aggiudicarsi la riffa dei Mondiali, conquistata anche grazie a accordi per forniture agevolate di gas, al suo 7 per cento di Volkswagen, al suo 10 per cento di Deutsche Bank, alle quote importanti di Harrod’s, dell’aeroporto di Heathrow e di British Airways, di Credit Suisse e di Royal Dutch Shell.
Altro che calciopoli, calcioscommesse, cocaina, veline e giocatori. Ormai anche crimini, reati e interessi sono da grandi. Basta pensare alle partite che si giocano più sugli stadi che negli stadi: quelli “pubblici”, i tre sotto il controllo dei club, lo Juventus Stadium, la Dacia Arena dell’Udinese e il Mapei Stadium del Sassuolo, quelli che pare indispensabile fare, Roma e Firenze, quelli che vorrebbero primi cittadini posseduti da una insana megalomania, Venezia, tutti comunque dentro la partita ancora più grande, quella della trasformazione, sancita con legge del 1996, delle società calcistiche da associazioni che avevano come scopi quelli connessi all’esercizio della pratica sportiva a imprese con fini di lucro, con la possibilità di quotarsi in borsa.
Molte società di calcio, che in precedenza appartenevano a imprenditori locali, come nelle commedie all’italiana, sono state acquistate da investitori finanziari. Il 78% della Roma è di due società del Delaware, paradiso fiscale degli USA; il Bologna è del canadese Joey Saputo, uno dei 300 uomini più ricchi al mondo; il Venezia è di una cordata rappresentata dall’americano Joe Tacopina, impegnati a conseguire l’obiettivo primario di generare profitti da distribuire agli azionisti, da raggiungere solo in parte con le sponsorizzazioni e la cessione dei diritti televisivi, sempre di più con investimenti finanziari e immobiliari.
Si deve al governo Letta la svolta che ha dato spazio alle peggiori speculazioni locali e internazionali con un provvedimento per favorire non solo la costruzione o il rifacimento degli stadi, ma l’edificazione al loro intorno, se non al loro interno, scavalcando così gli enti locali obbligati a dichiarare “di interesse pubblico” i progetti dei privati, aumentando il potere ricattatorio degli investitori privati, nel caso specifico dei padroni delle società calcistiche. E poi al governo Renzi l’estensione dell’applicazione dei favori alle squadre di serie B cosicché nel 2016 un protocollo di intesa tra Invimit (Investimenti Immobiliari Italiani), B Futura (società di scopo interamente partecipata dalla Lega B) e l’Istituto per il Credito Sportivo adotta “lo strumento del Fondo Immobiliare, per la promozione di operazioni di valorizzazione di stadi e impianti sportivi”.
Figuriamoci se in questo contesto qualcuno può davvero pensare di criminalizzare la violenza negli stadi quando dentro e fuori, intorno e sopra i circhi della nostra contemporaneità, profitto, sfruttamento, corruzione, prevaricazione, intimidazione e ricatto hanno dato un calcio allo sport come esercizio di convivenza civile per farne un business avido e feroce, e gli imperatori piegano il pollice per godersi lo spettacolo dei gladiatori e del pubblico, noi, mangiati dai leoni.
estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2019/01/11/gli-ultras-dellultimo-stadio/
gli strumenti urbanistici vengono piegati alle esigenze degli imprenditori per sanare i bilanci facendone pagare il peso alla comunità. La scelta del sito avviene tramite una selezione opaca per identificare quello che più si attaglia alla produttività della rendita fondiaria. Le autorizzazioni sono “sponsorizzate” dalla rassicurante presenza di istituti finanziari, gli stessi che così possono rientrare dei debiti in sofferenza. I costi dell’operazione devono essere taciuti per dare spazio solo ai calcoli immaginari sulle ricadute sociali dell’insediamento, occupazionali e turistici. Fin dalla prima fase progettuale deve partire una campagna promozionale con tanto di prestigiosi testimonial, opinionisti un tanto all’etto, impegnati a criminalizzare gli stolti oppositori che contestano la magnifica impresa”.
https://ilsimplicissimus2.com/2019/01/19/stadio-tor-ta-di-valle/
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https://www.maurizioblondet.it/calcio-finanza-potere-pallone-bolla-gonfia-scoppiare/
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