Nulla ci vieta di fare alcune osservazioni critiche al governo in carica anche se consapevoli del fatto che l’unica alternativa sarebbe il Partito Democratico e/o Forza Italia, entrambi nemici di classe e del popolo sovrano.
Non sappiamo se la manovra economica del governo del cambiamento sarà veramente efficace, non abbiamo la certezza se questo governo sia veramente del cambiamento o avrà il tempo per tentar di cambiar le cose. Non sappiamo se riuscirà a risolvere il problema della povertà e rialzare il PIL. Non sappiamo neanche se basterà l’ottimismo o il deficit fissato al 2,4% per ridurre il coefficiente di Gini, quello che misura le disuguaglianze della ricchezza. Non sappiamo neppure se riuscirà a liberare la vita reale dallo spettro dello spread. Non sappiamo se avrà la forza morale per bandire quei tassi d’interesse da usurai che spezzano il popolo. L’economia, ed ancor meno la finanza, non sono una scienza esatta, anzi non sono neanche una scienza, anche se a questo mirano per sedersi poi sul trono dell’indiscutibilità divina.
Certo il governo definito populista e sovranista qualche grattacapo all’Europa delle banche lo ha creato, producendo un pericoloso precedente.
E’ bastato solo che qualcuno dal fondo degli ultimi banchi della classe reclamasse, anche se con aria un po’ sommessa a volte timida, che i compiti dati dai maestri erano insostenibili, e questi subito sono andati su tutte le furie, una lesa maestà, una bestemmia impensabile, ed allora giù con anatemi, richiami e strali avvelenati.
Certamente la sovranità di un nazione si raggiunge attraverso un percorso di grande difficoltà, ma con un po’ di coraggio bisognerà pur partire da qualche parte. Tutto sta però nello stabilire quale è il paradigma di riferimento e cosa noi consideriamo per sovranità. Negli ultimi decenni si è assunto come naturale un assurdo disumano che di naturale non ha nulla, un’insana perversione che ha scandito il tempo della nostra esistenza, capace di orientare ogni cosa che facciamo al fine di non irritare ed innervosire i mercati, mentre questi, i mercati, hanno potuto tranquillamente a loro piacimento, per vendetta o per capriccio, portare sul baratro una nazione sana, indipendentemente dalla sua operosità. Guardando le cose alla radice possiamo affermare sicuramente che la sovranità vera non può prescindere da quella monetaria. Il potere della moneta per l’esistenza di un nazione è così forte ed indispensabile che viene riconosciuto da chiunque sia in buona fede, indipendentemente dal suo orientamento politico o economico.
“Datemi il controllo della moneta e non mi importa chi farà le sue leggi”, scriveva Rothschild, così come il problema fu sentito nella stessa misura da Lenin, per non parlare di Ezra Pound.
Lasciamo stare questo gravoso problema della sovranità monetaria che, nel solo chiederci a chi spetta la proprietà dell’euro, produrrebbe una crisi d’astinenza ai poveri euroinomani, altro che piano B. Non chiediamoci allora a quale entità antidemocratica sono state affidate le chiavi di casa, della zecca in questo caso. Cosa rimane quindi come misura della nostra presunta sovranità se non la nostra visione in termini di geopolitica? Attraverso questa abbiamo l’opportunità, anzi l’obbligo di dichiarare al mondo chi siamo e cosa vogliamo. La politica estera è la cartina di tornasole per chi si batte per la propria e l’altrui sovranità. Chi crede in questa forma d’autogoverno, non può in questo ambito che affermare la propria multipolarità da contrapporre a chi della unipolarità ha fatto una ragione storica, il suo destino manifesto, e che dopo la caduta del muro di Berlino ha colto un segno della provvidenza per la sua realizzazione.
Dal suo insediamento con toni chiari il governo giallo-verde ha tenuto a sottolineare la sua vicinanza geostrategica agli USA, troncando ogni speranza a chi avrebbe voluto un disimpegno magari graduale dalla NATO, non solo per risparmiare quei 70 milioni di euro al giorno di spese militari, ma proprio per liberarsi da un alleato troppo ingombrante e premuroso.
E’ anche vero che si é parlato di revocare le sanzioni alla Russia, novità sul nostro piano politico, ma in questi giorni mentre gli USA hanno deciso di riprendere unilateralmente le sanzioni contro l’Iran (colpevole di esistere come la Siria o la Palestina) e tutti i suoi alleati saranno allora costretti a non acquistare più petrolio iraniano per non incorrere nelle medesimi sanzioni, nessuna flebile voce s’è levata contro un’altra guerra commerciale alla quale ossequiosamente ci accoderemo ancora una volta.
Si ha l’impressione che se riusciamo a parole (finalmente) ad alzar la voce contro la Troika, il senso di riconoscimento nei confronti degli Americani a stelle e strisce é ancora così grande che non ci permette neanche di dubitare mai del loro altruismo e della loro bontà. Riusciamo solo ad annuire, o quando pronunciamo parola é solo per promettere fedeltà eterna, foss’anche quella del premier Conte a Trump per sfavorire la Russia a vantaggio del gasdotto TAP.
Per non parlare di Bolsonaro, dove si chiude il cerchio in cui “di notte tutte le vacche sono nere” e sovraniste. Certamente gli entusiasmi e le congratulazioni sono state fatte a titolo privato da uno dei due vice premier. Comunque si è dimostrato soltanto o la propria malafede sovranista o peggio ancora di non rendersi conto della storia dei fatti per ignoranza o superficialità. Quale è la presunta sovranità che spinge a stare con chi ha nostalgia della più classica delle dittature sudamericane? Pur ammettendo che anche le dittature possono essere sovraniste, pensiamo a Cuba, è da sottolineare che molto peggio sono quelle che lavorano per la spoliazione del Paese per conto terzi. A quel tipo di dittatura, sempre incoraggiata sul piano militare e logistico dagli USA, è sempre seguito il più sfacciato programma di privatizzazioni sul modello dettato dai Chicago boys. Chi svende la propria Patria non sarà mai libero ne starà mai dalla parte del popolo, non basta vincere le elezioni.
I sovranisti in Sud America hanno avuto la tempra di una Evita Duarte Peron, di un Hugo Chavez, di un Ernesto Guevara, di un Salvador Allende, hanno nazionalizzato nell’interesse della propria terra per difendersi dal quel maledetto vicino. Bolsonaro è evidentemente dall’altra parte, vicino a Pinochet, a Faccia d’Ananas Noriega ed a Milton Friedman, questo un vicepremier sovranista lo dovrebbe sapere perché altrimenti i conti, non quelli della manovra ma quelli che valgono veramente per il bene del popolo, perché autentici valori, non tornano.
Lorenzo Chialastri
https://byebyeunclesam.wordpress.com/2018/11/08/la-cartina-di-tornasole-i-conti-non-tornano-ancora/
TRATTATO DI VERSAILLES (1919)
Tale misura punitiva nei confronti dei cittadini tedeschi fu resa possibile, dal Trattato di Versailles, anche in quei paesi alleati della Germania, come Cina, Bulgaria, Russia, Turchia, Austria, Bulgaria, Ungheria. In Africa, la Germania dovette cedere il Togo e il Camerun alla Francia (CFA), il Ruanda Burundi al Belgio, per poi transitare al Congo del franco CFA, rinforzando l’impero coloniale francese che confluirà nella France Afrique del franco africano (cfr. Forcheri, Francia Africa, ipocrisia “vomitevole”). Altri paesi dell’Africa del sudovest e dell’Africa orientale furono ceduti al Commonwealth della Gran Bretagna. Lo scopo era di amministrare quei paesi verso la prosperità, mandato del tutto tradito e ignobilmente calpestato fino a oggi, sia dal Belgio che dalla zona francese dell’Africa che dal Commonwealth britannico.
Oltre alle colonie, furono confiscate alla Germania marina militare, materiale bellico, navi superiore a 16000 tonnellate, migliaia di locomotive e camion. Dallo smembramento dell’Impero austro-ungarico nacquero ben 10 nuovo Stati e 2 città “libere” amministrate dalla Società delle Nazioni, di cui Fiume che fu il fulcro della decantata dannunziana “vittoria mutilata”, facile pretesto e terreno di rivendicazioni future, futuriste e fasciste.
Le riparazioni esorbitanti richieste alla Germania furono di 5 miliardi di dollari in qualsiasi forma richiesta “che sia in oro, materia prime, navi, obbligazioni o altro”.
La Germania rinuncia a tutti i diritti, titoli e privilegi nei territori ad essa appartenuta o ai suoi alleati. in Cina, in Siam (Tailandia), in Liberia, in Marocco ed Egitto.
Ad esempio, il Marocco diventa un protettorato della Francia (nel 1922 anche la Siria e il Libano), facendo cessare qualsiasi protezione di cittadini tedeschi, o associati agricoli, con il trasferimento di tutte le proprietà e i possedimenti dell’Impero tedesco al governatorato francese con esproprio dei cittadini tedeschi, senza alcuna indennità, ivi compresi i diritti di miniera. E la chicca: il governo tedesco garantirà il trasferimento a una persona nominata dal governo francese di tutte le azioni rappresentanti il capitale tedesco della Banca centrale del Marocco.
Lo spirito del Trattato è pesantemente criticato da Keynes che ha partecipato ai lavori come tecnico e poi, disgustato, ha rassegnato le dimissioni. Scrive infatti nel suo libro “Le conseguenze economiche della pace”, parlando dei negoziati al Trattato che “il futuro della vita dell’Europa non era la loro preoccupazione né i mezzi per una vita dignitosa. Ciò che li preoccupava, a tutti loro, buoni o cattivi, riguardava le frontiere e le nazionalità, l’equilibrio tra poteri, l’ingrandimento degli imperi, il futuro indebolimento di un nemico forte e pericoloso, di cui vendicarsi, e il trasferimento degli oneri finanziari insopportabili dai vincitori sulle spalle dello sconfitto”.
Keynes non fa eccezione alla norma oltralpe di non occuparsi dell’ingiustizia subita dall’Italia – neanche vista – che pur essendo un paese vincitore vede completamente deluse le sue aspettative sancite nel Trattato di Londra (1915). Infatti la Dalmazia è ceduta alla Repubblica dei Serbi croati e sloveni, in virtù dell’autodeterminazione dei popoli decretata dal Presidente statunitense Wilson e ciò a dispetto delle grosse minoranze di italiani ivi residenti, e dei patti stabiliti nel Trattato di Londra, mentre Fiume, a maggioranza italiana, non viene ceduta all’Italia ma viene trasformata in Città amministrata dalla Società delle Nazioni.
Nicoletta Forcheri
https://nicolettaforcheri.wordpress.com/2018/11/11/centenario-armistizio-attenti-ai-deja-vu/
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La prova definitiva di quanto possa reggere la coalizione si avrà sui prossimi appuntamenti di politica estera dove le posizioni del M5S e della Lega sono in buona parte completamente diverse se non opposte.
Sarà necessario decidere se fare opposizione alle nuove sanzioni contro la Russia mettendosi di traverso alle decisioni dell’Unione Europea, in questo caso il governo rischia però di giocarsi il sostegno dell’Amministrazione Trump. Ci sarà da definire l’apporto dell’Italia alla nuova configurazione antirussa della NATO, al rinnovo delle missioni internazionali dell’Italia, si dovrà chiarire la posizione del governo rispetto al problema delle proteste contro il MUOS di Nisceni (Caltanisetta).
Per quanto riguarda la Lega, al di là dei tentativi di Salvini di mantenersi equidistante tra Washington e Mosca, questa si è esplicitamente schierata dalla parte di Israele e dei suoi impresentabili alleati in loco (l’Arabia Saudita e le monarchie wahabite), per non parlare dell’appoggio altrettanto esplicito nei confronti dell’ultradestra brasiliana capeggiata da Bolsonaro. Non è invece ancora chiara quale sia la popsizione dei 5 stelle che oscillano fra posizioni terzomandiste di Alessandro Di Battista al filo atlantismo di Di Maio.
Vengono quindi al pettine i nodi che sembravano provvisoriamente sepolti sotto la convenienza di una alleanza di governo e questo dimostra che ogni forza politica che si propone come reale alternativa alla politica liberista, subordinata alle centrali del potere finanziario, dei precedenti governi, debba avere una sua chiara visione ideologica se non vuole annaspare nelle sue contraddizioni e rimanere schiacciata dai giochi di potere e dalle trappole che le forze dominanti riescono a seminare sul suo cammino.
https://www.controinformazione.info/torino-la-marcia-dei-trentamila-determina-tensioni-nellalleanza-giallo-verde/
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Nel corso del vertice di Palermo sulla Libia, si manifestano le posizioni dei vari paesi.
“La Russia non prenderà parte al conflitto in Libia perché è interessata a mantenere l’integrità territoriale del paese”, lo ha detto il vice primo ministro russo Sergei Prikhodko martedì.
Il primo ministro russo Dmitry Medvedev è previsto che parteciperà alla conferenza di Palermo per affrontare la questione del conflitto in Libia. L’incontro si terrà oggi.
“Noi non prendiamo parte al conflitto intra-libico. Siamo guidati dall’interesse a preservare la sovranità e l’integrità territoriale della Libia, manteniamo contatti equilibrati con tutte le principali forze politico-militari del Paese “, ha affermato Prikhodko.
La guerra civile in Libia è stata trascinata dal 2011 quando i miliziani jihadisti, sostenuti dall’intervento della NATO, hanno ucciso il premier libico di lunga data, Muammar Gheddafi. Da allora ci sono due governi rivali che lottano per il controllo del paese. Mentre le regioni orientali libiche sono governate da un parlamento con sede nella città di Tobruk, un governo di Accordo Nazionale, formato con il sostegno delle Nazioni Unite e dell’Europa, opera nell’ovest del paese, compresa nella capitale Tripoli.
Il mese scorso il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha affermato che la politica miope dell’Occidente ha trasformato la Libia in una roccaforte terroristica e ora è in una seria preoccupazione per le conseguenze di instabilità in cui è ridotto il paese.
“Il pericolo maggiore è rappresentato dai gruppi terroristici che operano nel continente africano, molti dei quali supportano le posizioni di islamismo radicale”, ha avvertito il vice ministro.
“A causa della politica estremamente miope dei paesi occidentali, la Libia è diventata una roccaforte del terrorismo. La situazione è esacerbata dal ritorno in Africa dei miliziani che hanno combattuto in Iraq, Siria e Afghanistan “, ha detto Bogdanov durante il summit del Forum africano” Dialogo di civiltà “internazionale.
https://www.controinformazione.info/la-russia-utilizza-giochi-di-parole-dichiara-che-non-combattera-in-libia/
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