Da troppo tempo prigionieri del pensiero unico liberista, non riusciamo a vedere che le ferrovie sono il tipico settore (altri ce ne sono) dove il privato non può (e per chi scrive, non deve) sostituire lo Stato. Non solo perché il servizio ferroviario nazionale è ciò che si chiama “un monopolio naturale”. Né solo perché comporta una tale mole di investimenti in grandi impianti fissi ed enormi infrastrutture (gallerie, ponti, viadotti, distribuzione energetica) addirittura secolari “del tutto fuori dalle possibilità e soprattutto dagli interessi di qualsiasi privato, perché spese non recuperabili secondo una logica di impresa” o ammortizzabili in tempo perché un imprenditore umano possa cominciare a sperare di cogliere “i profitti”; impianti fissi che sentiti come equipaggiamento del territorio nazionale, che la generazione presente eredita dalle passate e che migliora per le future.
C’è tutto questo. Ma c’è un motivo più fondamentale, così evidente che si ha vergogna a ricordarlo: “l’obbligo istituzionale, per lo Stato, di fornire il servizio alla intera comunità nazionale alle medesime condizioni”.
Il dovere di dare lo stesso servizio a tutti i cittadini a prezzo abbordabili.
Ciò implica una mentalità gestionale del tutto diversa da quella che alimenta i “mercati”. I profitti che la ferrovia fa sulla Milano-Roma, dovrebbero servire a compensare e coprire le perdite del servizio offerto ai cittadini sulla tratta Gela-Canicattì allo stesso prezzo di biglietto, più o meno. Ovviamente, appena avviene la privatizzazione, i privati si appropriano della Milano-Roma, e lasciano allo Stato la Gela Canicattì. In generale, la chiusura delle stazioni che perdono (le 400 stazioni chiuse in Germania), non fa che dimostrare che il “Mercato” scarica comunque sullo Stato (il contribuente) i costi, ineliminabili, del servizio pubblico; e manca alle sue promesse verso la cosiddetta “utenza”. Allo Stato restano le perdite, ai privati i profitti.
Peggio, la funzione di interesse “universalità e continuità” del servizio ferroviario viene tradita profondamente. Trenitalia vanta enormi profitti, tanto da lanciarsi in investimenti all’estero: è una SpA, una “società per azioni” ma posseduta al 100% dallo Stato, che applica le regole del “privato”: fra cui l’espulsione del 43% della manodopera ereditata dalle FFSS. Un “risparmio” che ha accollato come “spesa” allo Stato, al quale i 93 mila espulsi sono rimasti a carico, in qualità di pensionati.
L’idea liberista assume che lo Stato “efficiente” deve essere gestito come un’azienda, precisamente un’azienda esportatrice. Ma un’azienda non ha bambini da istruire, malati da curare, vecchi “improduttivi” da mantenere, non può “esternalizzare” questi che (per l’aziendalismo bocconiano) sono “costi”. Anche se nella sua nuova versione imposta dall’ideologia corrente, ci prova seriamente – minando le basi stesse della sua continuità storica.
La mentalità privatista, ossia egoista e breve termine, non è quella che deve animare i responsabili dei servizi pubblici – in cambio del loro stipendio sicuro, essi devono essere addestrati, in modo da esserne pervasi, da una visione severa ed alta, impersonale, del loro compito.
Come grandi private esprimono una “cultura aziendale”, esiste una cultura statuale, che implica un senso della dignità propria e del compito, qualcosa che per forza bisogna chiamare sennso della patria e responsabilità verso i concittadini. Oggi questa cultura è stata irrisa, e anzi distrutta da cose come il diritto di sciopero e di associazione sindacale nel pubblico impiego, una aberrazione che ha riflessi psichici e nello scadimento morale dei dipendenti. Ancor ieri, non era così. La divisa dei ferrovieri, come dei militari (ma anche degli scolari come la toga dei giudici, e in certi Stati l’uniforme anche degli alti funzionari) esprimeva appunto questa etica, il rivestire la persona privata della sua funzione pubblica, e cancellarvela.
La funzione consiste(va) nel proteggere il cittadino – il povero e l’indifeso – precisamente dal “mercato”, e dalla diseguaglianza che produce.

Nelle situazioni belliche, la cosa è evidente, quando la mentalità “privata” e di mercato è solo di disturbo, eversiva e immorale – e bisogna far funzionare i treni sotto le bombe, la logistica, la distribuzione di energia, la riparazione delle infrastrutture danneggiate, e persino la distribuzione della posta, costi quel che costi. Il caso estremo è il tesseramento alimentare, il razionamento statale del cibo scarso: tipicamente, il “mercato libero” viene abolito d’imperio; diventa”mercato nero” ed un delitto passibile di fucilazione. Non si considerano le eventuali inefficienze delle tessere annonarie, il “costo” del prezzo calmierato; tutto vale purché si impedisca ai pochi di spanciarsi mentre il resto del popolo muore di fame. Evidentemente qui è in gioco qualcosa di più morale e fondamentale della”libertà” privata.
Ma anche in situazioni più normali, è interessante constatare come l’opera dell’uomo di Stato consista nel sopprimere il mercato, o nel ridurne l’impatto. Enrico Mattei, quando stringeva accordi decennali con l’Iran o l’Algeria, sottraeva l’Italia, ma anche il paese produttore, alle variazioni imprevedibili e nevrotiche del mercato “spot” del petrolio: le due parti stabilivano un prezzo medio ed equo, conveniente all’Italia ma anche (soprattutto) al paese produttore, che poteva contare così su introiti certi e prevedibili per i suoi piani di sviluppo, e sottratti alla speculazione e ai ricatti delle Sorelle – e del potere finanziario che sempre le accompagna, quando i “mercati” offrono al paese in difficoltà per mancanza di fondi, perché il petrolio è crollato, di indebitarsi…ciò che finisce regolarmente con l’esproprio, da parte del capitale,delle ricchezze del paese indebitato, che si ha cura di rendere insolvente.
I generi essenziali di prima necessità vengono, quando occorre, sottratti al mercato. Fra questi, l’emissione monetaria: tale era il “matrimonio” fra Tesoro e Banca d’Italia di prima del 1981 (o di qualunque altra banca centrale nelle altre nazioni), per cui questa era obbligata a comprare i Buoni del Tesoro eventualmente invenduti sui “mercati”. Ciò calmierava gli interessi richiesti dall’usura internazionale, salvò dall’aumento del debito pubblico e salvaguardava l’autonomia politica nazionale, consentiva di fare politiche di pieno impiego (a prezzo di un po’ d’inflazione) e non mancare dei fondi per programmi infrastrutturali – che mai il “mercato” farebbe, richiedendo investimenti grandi e di lunga durata.
La ratio etica, se volete, era che il lavoro del popolo (perché “il denaro comanda lavoro”) non poteva essere abbandonato alle mani della speculazione straniera assetata di rendimenti immediati, e non all’interesse generale di quel popolo che indebita. Sfido chiunque a sostenere che il sistema attuale di dipendenza dai “mercati internazionali” che giudicano il ostro debito pubblico, e del denaro creato al 98% dalle banche indebitando, sia meglio.
O come amano dire i teologi del capitalismo finanziario, più efficiente. Un trentennio di privatizzazioni dovrebbe averci finalmente fatto capire che “lo scopo della privatizzazione dei servizi pubblici non è mai stato ( neppure quello dei suoi più accesi zelatori) di migliorare il funzionamento dei servizi stessi, bensì di sostituirli con imprese aventi lo scopo di ricavarne profitto”.
E’ lo Stato che innova, non il Mercato. Esempio, lo smartphone.
Perdura invece il mito che lo Stato gestore sia burocrazia e spreco, mentre il capitale privato sarebbe il solo “creativo” e promotore di innovazione. E’ vero l’esatto contrario. Guardate il vostro smartphone, che vi fa così felici. L’app che vi consente di trovare una strada in una città sconosciuta grazie a una mappa virtuale, nasce come apparato di guida dei missili da crociera. Esso funziona solo grazie a certi satelliti artificiali geostazionari su orbite specifiche, che nessun privato si è mai occupato di mettere in orbita, né di mantenerceli . La fotocamera digitale con cui vi fate i selfie da mettere su Facebook, è stata concepita per i satelliti-spia: mica era possibile che lanciassero i rullini fotografici con il paracadute. La miniaturizzazione che rende il vostro telefonino tascabile, è il risultato di ricerche per ridurrei volumi nei satelliti artificiali e nelle testate missilistiche. Tutto ciò – come la stessa internet a cui lo smart è collegato – è stato inventato e concepito non da privati, ma nei laboratori del DARPA ( Defense Advanced Research Projects Agency) ente di Stato americano, del Ministero Difesa. Nessun privato avrebbe mai investito e rischiato i suoi amati capitali nello sviluppo di simili invenzioni, delle quali, prima, non c’era “mercato”. Poi i tipi alla Steve Jobs sono diventati miliardari, mettendo insieme i risultati delle ricerche militari in un oggetto commerciabile di successo; ma i veri geni che l’hanno inventato, sono degli sconosciuti signori americani di una certa età, che godono di una pensione di stato appena dignitosa. Hanno lavorato alle dipendenze dello Stato, lo stato ha dato loro le istruzioni su quel che voleva, lo stato ha finanziato le loro ricerche, quelle riuscite e le molte fallite, a fondo perduto e senza la preoccupazione di ricavare un profitto.
Ciao.
Mi trovo abbastanza d’accordo con quanto Blondet scrive.
Il valore delle cose,soprattutto ai tempi attuali,si comprende solo perdendole.
Non trovo altra strada per i cervelli offuscati dei più.
Se effettivamente le cose stanno come l’autore scrive (riguardo al passato più o meno prossimo…) occorre anche un popolo che le meriti e non mi sembrerebbe la condizione corrente di quello italiano..
Avanti verso il massacro!!!
Ciao
GC
> WordPress.com
"Mi piace""Mi piace"
Quella che fu una grande nazione rischia così di divenire un terreno di scorreria di vecchi e nuovi predatori, un vaso di coccio destinato a frantumarsi nello scontro tra i vasi di ferro che si contendono l’egemonia politica ed economica nella nuova forma-mondo in gestazione. Esiste dunque in Italia un’inscindibile correlazione tra questione economica e questione della legalità (costituzionale e ordinaria). Non per problemi etici, né per problemi di giustizia, ma per evitare che la legalità materiale italiana continui a precipitare il Paese in una spirale di declino irreversibile, la vera sfida con la quale deve misurarsi oggi e con la quale dovrà misurarsi domani chiunque avrà la guida del Paese, si muove dunque sul terreno ineludibile del ripristino della legalità e del principio di responsabilità, coniugando legalità e sviluppo. Stato regolatore e libero mercato. A questo riguardo ci si sente ripetere che la politica si nutre di realismo. Ma è bene assumere consapevolezza che oggi di realismo il Paese rischia di morire, se per realismo si intende la necessità di adattarsi alla situazione esistente per l’impraticabilità politica di soluzioni alternative.”
Da La legalità materiale ovvero il tramonto di una Nazione, di Roberto Scarpinato, in “Micromega” n. 7/2014.
"Mi piace""Mi piace"
II prezzo è, ovviamente, che l’Italia e la Grecia – le due culle della civiltà, coi loro tesori – diventino la discarica dei negri che i tedeschi non vogliono. Li facciano accampare fra il Partenone e gli Uffizi, dentro il Pantheon e sulla scalinata di Piazza di Spagna, o sulla scala santa che tanto non serve più a nessuno. Se ne riempiano fino all’orlo ed oltre.
Voi direte: impossibile che il governo Conte (Salvini-Di Maio) accetti. Anch’io lo penso. Ma sono sicuro che il prossimo governo accetterà. Ed il prossimo governo PD è dietro l’angolo. Basterà che la BCE porti lo spread a 500; basterà che blocchi i bancomat come ha già fatto per la Grecia, basterà l’urlo di tutti i media che questo governo non ha avuto cura di farsi amici (li abbiamo già sentiti ululare abbastanza con l’Aquarius e il “fascista” Salvini che lascia morire i bambini in mare), e il “popolo italiano” farà cadere il governo, e implorerà dalla UE un nuovo Monti, un vecchio Cottarelli. Naturalmente, Berlino spenderà subito qualcosa perché la prossima junta europeista possa dare qualche soldo alle plebi, calmarne le paure. E lasciare che si riempiano di negri equatoriali. E’ tutto previsto.
https://www.maurizioblondet.it/berlino-ha-avuto-unidea-quella-prevista-da-gustavo-rol-sul-60-di-italiani-di-colore/
"Mi piace""Mi piace"