Pacta servanda sunt

La sentenza con cui la “consulta”  ha dichiarato “legittima” la misura del governo  circa la rivalutazione  parziale delle pensioni escludendo quelle che eccedono 6 volte quella minima  ha del clamoroso, e merita un commento.

Premetto che sono persona interessata e colpita in pieno da tale sentenza che non sancisce alcuna  rivalutazione in base al perso potere di acquisto negli ultimi  anni ( circa il 10%), e che non sono un giurista ma che conosco la nostra Costituzione per averla studiata all’università ( nell’ambito dell’esame di Diritto Pubblico) e per averla ripresa in mano qualche anno fa, all’interno di  un simposio, in una delle aule del Parlamento dedicate a iniziative culturali, che vedeva studiosi di varie discipline ( la mia parte riguardava l’Economia Politica)  guardare alla nostra Magna Carta  dal punto di vista di queste ultime.

Per amore di sintesi la sentenza in predicato può riassumere la sua “ratio” nel fatto che il blocco del meccanismo di adeguamento all’inflazione delle pensioni in essere  risulta “equilibrato”, tenendo conto delle stringenti esigenze del bilancio statale ,ed è a favore di queste,  e della gradualità delle rivalutazioni delle pensioni, in funzione del loro rapportarsi a quella minima, sino al totale annullamento di tale rivalutazione come appena ricordato, in ragione della “progressività” della tassazione sancita in Costituzione.

Un vero scandalo intellettuale e morale!

Dal punto di vista “intellettuale” va sottolineato che la Consulta nella fattispecie confonde il principio della progressività testé ricordato che ha carattere UNIVERSALE, riguardando tutti i cittadini e non già una sola categoria – per cui la richiamata “ragion di Stato” diventa politico-“partitica”.

Dal punto di vista  dell’etica pubblica, perché  a quanto appena detto va aggiunta la considerazione che la sentenza colpisce vigliaccamente una categoria di persone particolarmente debole sul piano sociale ( e delle energie e risorse mobilitabili): in quanto fuori dai processi lavorativi i pensionati sono per definizione disarmati rispetto all’unica arma  che hanno i lavoratori :lo sciopero.

Ferme rimanendo le  più che condivisibili motivazioni dei ricorrenti (che non staremo qui a ripetere) una di queste va ribadita con forza e sdegno: nelle scelte di vita le prospezioni della futura pensione e della sua certezza ( pensione = salario differito), può aver portato a non opzionare altre fonti di reddito e attraenti alternative professionali  dal punto di vista pecuniario, per coerente impegno nel proprio lavoro e nel proprio ruolo sociale. Nel mio caso come professore universitario e specie nella mia disciplina la circostanza appena vista è stata fondamentale:  risentendo fortemente i vincoli di una missione che storicamente (da Bacone in poi, “knowledge is power”, e più recentemente da Julien Benda in poi)  corrisponde a quella del ruolo degli “intellettuali nella storia”.

Se poi si tiene conto della remunerazione e dei privilegi dei giudici costituzionali e della diffusa  prassi, denunciata gia’ da organi di stampa, che li vede promuovere a loro presidente quello più vicino alla pensione, onde questi possa lucrare la maggiorazione pensionistica di un tale ultimo status,   (vedi nota a fondo pagina), si può parlare di scandalosa incoerenza da parte della illustre autrice della sentenza in oggetto, professoressa Silvana Sciarra,  che ha richiamato oggettivamente a sostegno fondamentale della sua decisione il principio della ragion di Stato   in termini di spesa pubblica. Viene anche da chiedersi se la professoressa di “diritto” appena nominata si sia mai imbattuta sull’eredità  giuridica di Grozio che è a fondamento del diritto e della stessa società civile, per cui PACTA SUNT SERVANDA :  buttato nella spazzatura dai nostri governanti di questa triste stagione  del panorama politico italiano. Come  anche non ricordare in proposito questo Stato esattore che mette sul lastrico e ha portato al suicidio non pochi contribuenti insolventi, ma che non paga ai suoi cittadini- creditori i suoi debiti rilevanti( decine di miliardi di euro ),  pagamento che avrebbe un senso tra l’altro, anche  in termini di politica economica e di  strategia anticrisi.

Last but not last la predetta giudice ha finito per “prendere partito costituzionale” anche in termini di  scienza economica ( del tutto fuori dai compiti della Consulta”), assumendo implicitamente la  irrevocabilità delle strategie  con cui si fronteggiano  le crisi economiche, e sposando implicitamente la ridicola dottrina dell’ “austerità virtuosa” , Di appartenenza alla  squalificata scuola “Neoclassica”, ispiratrice e alibi, senza ritegno  scientifico, della contemporanea ideologia conservatrice e reazionaria ( ricordando i Chicago Boys a servizio del boia Pinochet)  che è stata fatta propria dai governanti italiani, da Monti in avanti. Naturalmente avuto riguardo all’austerità degli altri e non  della propria.

Concludere non si può se non in termini di allarme politico-sociale: non c’è nulla che si salvi in questo paese in piena deriva neoautoritaria, che conferma ancora una volta che  è la violenza “la  levatrice della storia”. Atteso che la “modernità” e le molte techné,  insieme  alla vendita al potere dei cervelli, può fare a meno della obsoleta ( in termini di efficacia) violenza fisica,  attraverso  le mille trasfigurazioni storiche della violenza stessa: molto più produttive e dissimulate nel quadro della vantata ma tradita “democrazia”. Come è nel caso che qui denuncio con rabbia e sdegno civili.

Vittorangelo Orati

http://www.lafinanzasulweb.it/2017/la-deriva-filogovernativa-della-corte-costituzionale-ragion-di-stato-o-stato-della-ragione-giuridica/

Un pensiero su “Pacta servanda sunt

  1. Da quotidiano.net, riproduciamo

    FARE IL GIUDICE costituzionale è un po’ come vincere al SuperEnalotto. Trentamila euro lordi al mese (360mila l’anno) che salgono a 36mila (432 mila annui) nel caso del presidente: sono queste le remunerazioni d’oro dei membri della nostra Corte costituzionale. Le più alte retribuzioni del mondo per componenti di organismi analoghi. Eppure, queste cifre da capogiro fino a maggio 2014 arrivavano addirittura a quota 465 mila per i giudici e circa 560 mila per il presidente. Il tutto accompagnato da un pacchetto senza pari di ricchi fringe benefit a base di auto blu con autista, appartamento a Roma nella foresteria del Palazzo della Consulta o negli edifici circostanti, viaggi nazionali gratis, addirittura il telefono di casa pagato dallo Stato (salvo rinuncia, bontà loro). Per non parlare delle buonuscite da centinaia di migliaia di euro e delle laute pensioni (anche di reversibilità per i familiari).
    Insomma, mai come in questo caso tornano sacrosante le parole di Roberto Perotti, impegnato da anni a denunciare sprechi e sperequazioni della macchina pubblica del Belpaese. «La Corte – spiega il professore bocconiano – presenta l’intero repertorio di incoerenze che si incontrano in tanti altri organi e istituzioni: le remunerazioni fuori misura rispetto a qualsiasi standard internazionale; gli annunci di tagli senza alcun riscontro nella realtà; la scusa dell’indipendenza degli organi costituzionali; l’irrisione delle inevitabili perplessità dei comuni mortali, come se fossero bambini ignari della pratica degli affari di Stato; i tentativi maldestri di confondere il cittadino».

    NONOSTANTE il taglio degli stipendi del 2014 (quando è stato stabilito per legge che la retribuzione sia pari a una volta e mezzo lo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, che percepisce 240mila euro), i compensi dei giudici costituzionali italiani (364.800 in media, nel 2015) restano ampiamente al di sopra di quelli dei loro «colleghi» o assimilati dei principali Paesi del mondo: i nostri guadagnano più del doppio di quelli francesi (162mila), il doppio di quelli statunitensi (182mila), due terzi in più di quelli britannici (225mila) e canadesi (210mila). A rimpinguare la remunerazione dei 14 giudici (il quindicesimo posto è ancora vacante dopo le dimissioni di Giuseppe Frigo, nello scorso novembre) si aggiunge, come accennato, il carnet benefit: dall’auto blu con due autisti «personali» (a cui, fino al 2011, si aveva diritto per tutta la vita, a carico della Corte, mentre ora ‘solo’ per un anno dopo la fine del mandato), a tutte le spese telefoniche, da una super-assicurazione sanitaria integrativa per tutta la famiglia, ai rimborsi per viaggi e trasferte, fino all’appartamento di servizio (garantito anche a coloro che abitano a Roma) e, come ciliegina sulla torta, al ristorante interno (a prezzi da saldo con terrazzo e vista magnifica sulla Capitale). Ma non va peggio la vita da ex giudice: quando si va via si può contare su una buonuscita calcolata sull’ultimo stipendio moltiplicato per il numero di anni di servizio.

    UNA BUONA ragione per tenere viva la tradizione di eleggere presidente (che gode di un assegno ben più elevato) il giudice con la maggiore anzianità di carica. Una prassi ‘costosa’, perché fa lievitare liquidazione e pensione e che determina spesso la durata minima dei presidenti: solo per citare alcuni casi Gaetano Silvestri (9 mesi e 9 giorni), Franco Gallo (7 mesi e 18 giorni), Ugo De Siervo (4 mesi e 19 giorni), Giovanni Maria Flick (3 mesi e 4 giorni), Giuseppe Tesauro (30 luglio-9 novembre 2014). Fino al caso limite di Vincenzo Caianiello, che nel 1995 fu presidente per appena 44 giorni.
    Quanto alla pensione, è sufficiente rammentare che per il 2017 si prevede di erogare trattamenti previdenziali a 22 ex giudici costituzionali e 12 loro superstiti per una spesa di oltre 6 milioni di euro: in pratica circa 180mila euro in media ad assegno.

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