In principio fu Laura Boldrini: ministro? Assolutamente no. Chiamatemi Ministra. Combattete il patriarcato insito nei vostri neuroni volgendo al femminile ogni termine vi salti in mente.
Non più avvocatessa, avvocata. Non architetti, architette. Non più italiano, italiese.
E vabbè, se così si fan contente delle persone con così poco, che ti costa, pensavo. Pensavo anche al viceversa. Il gorillo, l’anestesisto, il pediatro. Otorino, se è maschio. Laringoiatra, se è femmina. Che culo scegliere una specialità dal vocabolo double-face, eh? Comunque non avevo né tempo, né spazio, né testa, e non ci ho fatto particolarmente caso.
Ad un certo punto devo essermi distratta quel paio d’anni, e quando son tornata sul pianeta ho trovato che veramente son diventati tutti serissimi. Molto seri. Troppo seri. Troppissimo seri. Guai a scherzare. Rauss ironia, pussa via sorriso, altolà leggerezza!
E tutti completamente ostaggi del politicamente corretto, ma proprio correttissimo, ma ocio che sia C O R R E T T O, totalmente. Talmente totalmente che ormai le cose non so più come definirle per non rischiare di offendere qualcuno.
“Mamma ti ricordi il mio amico Paul?” “No, Paul chi?”
Si apre il baratro. Quello africano? Uhm. Razzista che discrimini la gente a seconda della geografia. Quello nero? Uhm, brutto termine nero, bandito. Il migrante? Il migrato? Quello che viene da lontano? (Fa tantissimo Babbo Natale). Il diversamente italico? Quello che pare Obama?
Alla fine opto per “Quello che sorride sempre”.
Risposta: “Quale sarebbe quello che sorride sempre, sorridono tutti sempre i tuoi amici, sono una manica di deficienti.”
Utile, no?
Ho letto discussioni simili di madri virtuose che stanno insegnando ai figli a non discriminare, con il risultato che il figlio non riesce a farsi venire in mente una locuzione abbastanza efficace per indicare “Camilla, la mia compagna che tagliata a pezzi è normopeso”. Ho letto di una tizia la cui figlia ha detto “Oggi ho giocato col bambino buio”. Il bambino buio è del Senegal. Il bambino buio è una delle definizioni più belle che io abbia mai letto, ma non credo che possiamo iniziare a parlar tutti come bambini di tre anni. Grasso è una parola orrenda e va bandita (grasso è una parola orrenda davvero). Sovrappeso pure. Non si deve giudicare in base al peso. Giusto. Non giudichi, ma vedi. Non giudichi, ma quello che è sovrappeso sovrappeso rimane, e se nessuno in vita mia – e son stati tanti – m’avesse chiamata “nana”, io sarei comunque un individuo sotto il metro e sessanta. Giudicare, discriminare, sfottere, bullizzare una persona in base ad aspetto fisico, colore della pelle, status socio economico o provenienza è orribile. Ma veramente la soluzione è sotterrare le parole “per dirlo”? Eliminare, bandire, cancellare l’aggettivo, cancellerà veramente il punto di appoggio su cui si fa leva per far sentire l’altro una merda?
Perché il problema a mio modesto avviso non è la parola che usi: è il desiderio di far sentire male l’altra persona in quanto inadeguata secondo un TUO standard. E’ – e questo lo noto sempre più ed è una cosa che detesto – il ritenere che l’altra persona DOVREBBE sentirsi male (inferiore, sminuita, in difetto) perché fisicamente o economicamente o culturalmente non risponde al TUO cristo di “standard”, che poi sia perché non è magra, perché non è etero, perché non è giovane o perché non è bianca non cambia nulla.
Comunque la serietà ad oltranza sta dilagando ovunque. Mi hanno iscritta ad un gruppo facebook che parla di libri per bambini. Ci sono recensioni da mani nei capelli. Quel libro è diseducativo perché il papà è imbronciato. Il papà dovrebbe essere felice e sereno. Quel libro è diseducativo perché sminuisce la figura paterna, ovvero racconta di un padre che sala troppo il purè (giuro). Quel libro è orribile, il bambino viene definito piccolo mostro! Quel libro è da mettere al rogo, ci sono i cacciatori, uccidono il leone, il bambino africano viene definito moretto e la madre è, cito testualmente, vestita come una governante all’epoca degli schiavi. Il libro in questione, Pik Badaluk, che io da bambina avevo, e amavo, è stato scritto negli anni ’20. Io ho paura che ‘sta gente cerchi di creare un comitato per la liberazione degli Umpa Lumpa dal cioccolataio schiavista.
Quindi, le parole no.
I libri censurati, come conseguenza.
Buttiamoci sulla musica, dai. Ho cercato di iscrivere Mimosa ad un corso di musica per infanti. Apriti cielo. Il metodo signora mia, IL METODO! CHE METODO CERCA?
Un corso. Di Musica. Tipo che qualcuno canti canzoncine? Qualcuno suonerà qualcosa? Sono bambini piccoli perdio, mica mi aspetto Rachmaninoff. Sì signora, ma che metodo cerca? Psicoqualcosa, Motorio dell’altro, Scuola di Chicago, Maestri Musicoterapisti Giapponesi, Suono della ciotola armonica… eh?
EH? Signora perché guardi che lo sviluppo musicale dei bambini è UNA COSA SERIA, SA.
“Allora, quale metodo cerca, Signora?”
“Ma che ne so! Io sono stonata come una campana e mi piace Taylor Swift! Volevo una vita migliore per mia figlia! Cercavo solo un posto in cui qualcuno suonasse un tamburello!”
Per la cronaca non mi hanno mai più richiamata.
Sono passati quattro anni da quel post di sfogo sul rapporto diretto tra ignoranza e convinzione, ma la sensazione è che vada davvero sempre peggio. Magari è qualcosa nell’acqua.
L’ossigeno, per esempio.
https://verbasequentur.wordpress.com/2017/03/31/qualcosa-nellacqua/