In questo nuovo “Scenario Zero” infatti, si declinano a livello locale quelle politiche di Terza Rivoluzione Industriale a basso costo marginale auspicate da Jeremy Rifkin nei suoi ultimi due libri, “La terza rivoluzione industriale” (2012), e La Società a Costo Marginale zero (2014).
E’ una nuova economia dal basso ispirata a un modello distribuito anzichè centralizzato, che crea comunità e riforma completamente la società creando ricchezza distribuita e lavoro mediante politiche virtuose sul piano energetico, dei consumi e dell’agricoltura, mediante la sharing economy.
Il modello distribuito funziona senza grandi impianti e grandi insediamenti produttivi, perchè è basato sulla creazione e la messa in rete di milioni di piccole centrali produttive di energia rinnovabile operate da milioni di produttori/consumatori, centinaia di migliaia di centri di raccolta e informazione per la chiusura virtuosa del ciclo dei prodotti e l’eliminazione del concetto stesso di rifiuto, il ritorno ad una agricoltura di qualità su piccola e piccolissima scala, interconnessa con le comunità locali attraverso la moltiplicazione esponenziale dei mercati di vendita diretta (“Farmer market”) dei gruppi d’acquisto (“Community Supported Agriculture”) e della modernizzazione e decarbonizzazione delle attività di produzione e di trasformazione agricola.
Questo modello distribuito è ad alta intensità di lavoro e a bassa intensità di capitali. Esso dunque remunera il lavoro e non il capitale (che spesso si sostanzia in rendita parassitaria e speculativa disconnessa dalla sottostante economia reale), e permette di disinnescare a livello locale quelle politiche economiche irresponsabili spesso innescate a livello nazionale o europeo, che conducono a una depressione dei consumi e della ricchezza circolante e a un aumento della ricchezza accumulata e della disoccupazione.(1)
Per fare questo, non dobbiamo riguadagnare una puramente formale sovranità monetaria per poi magari essere liberi di stampare tonnellate di lira/cartastraccia per pagare il petrolio o le derrate alimentari di filiera lunga.
Dobbiamo mirare a smetterla di comprare petrolio e cibo di filiera lunga e mirare a produrre tutta l’energia e il cibo che ci servono localmente secondo processi rispettosi delle leggi della termodinamica e della biosfera che ci ospita.
Dobbiamo mirare a produrre quanti più beni e servizi tramite distretti di manifattura additiva in rete fra di loro anzichè in grandi acciaierie e impianti industriali pesanti centralizzati, implementando modelli a bassa intensità di capitali e alta intensità di lavoro.
Dobbiamo mirare alla sovranità energetica, alimentare, produttiva. (2)
Sembra che la solita Germania si sia già incamminata su questa strada favorendo, anche economicamente, progetti di transizione, come testimoniato da Naomi Klein:
La rapidità della transizione tedesca lascia sbalorditi. Stiamo parlando di un paese che, nell’arco di dieci anni e mezzo, è arrivato a produrre il 25 per cento della propria energia da fonti rinnovabili, in buona parte ricorrendo a cooperative decentrate e controllate dalle comunità locali. Tuttavia, la cosa non si è svolta all’insegna del “Ehi, facciamolo, io e i miei amici vogliamo metter su una cooperativa energetica”… Si è trattato piuttosto di una politica nazionale generalizzata che ha creato un contesto nel quale si sono potute moltiplicare una serie di alternative che, sommate fra di loro, hanno dato vita al più significativo processo di transizione energetica del mondo, almeno per come la vedo io.(3)
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http://www.bondeno.com/2012/02/14/the-age-of-stupid/
http://www.bondeno.com/2010/07/12/ferrara-verso-la-transizione/
http://www.bondeno.com/2012/01/16/ferrara-e-la-transizione/
http://www.bondeno.com/2011/04/12/pensare-la-citta/
Fonte foto: http://www.solosapere.it/libri/4495-rifkin-scenari-economici-recensione
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Sembra che Bondeno, tra biogas e fotovoltaico, abbia già raggiunto l’autonomia energetica; quindi il primo passo è già fatto.
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L’Italia – tanto per cambiare – è orientata ad allinearsi con gli USA. Il Presidente del consiglio Renzi ha dichiarato che quella del TTIP una scelta “strategica e culturale”. Il Viceministro Carlo Calenda, responsabile italiano per il TTIP, insiste per una rapida conclusione dell’accordo, clausole ISDS comprese.
Queste coraggiose e meditate prese di posizione si inseriscono nella più bella tradizione della nostra classe politica, che vede nei vincoli esterni un’ottimo alibi per limitarsi a gestire il Paese anziché prendersi la briga – e la responsabilità – di governarlo.
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Per approfondire:
https://mauropoggi.wordpress.com/2014/04/18/mai-dire-mai-a-proposito-dellaccordo-sul-libero-scambio-atlantico-ttip/
https://mauropoggi.wordpress.com/2014/10/14/ancora-su-ttip-e-altri-trattati-di-libero-scambio/
http://www.economist.com/news/finance-and-economics/21623756-governments-are-souring-treaties-protect-foreign-investors-arbitration
http://abceconomics.com/2014/11/05/the-investor-state-dispute-settlment-isds-fundamental-element-of-the-ttip-final-blow-to-national-sovereignty/
http://www.eunews.it/2014/10/15/isds-larma-delle-multinazionali-contro-la-sovranita-degli-stati/23212
http://www.valigiablu.it/il-trattato-sul-commercio-con-gli-usa-e-la-finta-consultazione-della-commissione-europea/
http://democraziaesovranita.blogspot.it/2014/10/la-polpetta-avvelenata-dei-trattati-di.html
http://democraziaesovranita.blogspot.it/2014/06/il-ttip-rivelato.html
http://www.appelloalpopolo.it/?p=12914
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L’intensa e prolungata contrazione dell’economia italiana ha portato a un consistente calo dell’occupazione (soprattutto maschile) e a una crescita della disoccupazione giovanile: tra il 2008 e il 2013 sono stati perduti quasi un milione di posti di lavoro, pari al 4,2% degli occupati all’inizio della crisi, con un decremento percentuale quasi doppio rispetto a quello registrato nell’insieme dei 28 paesi dell’Unione europea. Parallelamente il tasso di disoccupazione è passato dal 6,8 al 12,2% della forza lavoro, superando il 40% tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Tra i giovani aumenta anche, drammaticamente, il numero di “scoraggiati” cioè di coloro che rinunciano anche solo a cercarlo un lavoro, nonché dei cosiddetti Neet (Not in Education Employment or Training), che non lavorano, non studiano, né seguono corsi di formazione e ciò soprattutto nel Mezzogiorno e in presenza di bassi livelli d’istruzione.
http://www.neodemos.info/la-demografia-italiana-ai-tempi-della-crisi-e-sotto-la-lente-dellaisp/
Ecco un motivo in più per accettare il modello economico della transizione
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“Questa è una guerra tra due concezioni opposte di Europa: quella dei tecnici e dell’austerità a tutti i costi, contro quella dei popoli e del pragmatismo sul problema comune del debito”. O meglio una guerra tra il dominio assoluto del capitale multinazionale e il tentativo di affrancarsi (in parte o de tutto, ma questa è un’altra discussione, tutta da fare) da quel dominio.
Questa è una guerra sulla nostra pelle, ci ha gridato “il canarino”. E abbiamo solo due scelte davanti. O assistiamo al nostro stesso bombardamento, maledicendo oscuri complotti “demopluto” o “nemici” che ci vengono indicati da chi ci bombarda (migranti, islamisti, rom, ecc). Oppure ci battiamo, scendendo anche noi nelle piazze contro l’Unione Europea e per la sua “rottura”, per un’altra comunità di paesi liberi e solidali.
http://contropiano.org/editioriali/item/28973-il-ruggito-del-canarino
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Come ha ricordato di recente Emanuele Bernardi ne Il mais “miracoloso” (Carocci, 2014), grazie al piano Marshall gli Usa introducono in Italia e nelle campagne europee i semi di mais ibrido, che hanno successo per la loro elevata produttività, Quel mais, naturalmente, metterà ai margini e farà scomparire tutte le varietà locali, con i loro caratteri speciali, e soprattutto costringerà gli agricoltori a comprare ogni anno i semi per la semina. Ma il successo del mais ibrido non è merito esclusivo dell’innovazione genetica.
I raccolti più abbondanti si ottengono se si usano abbondantemente i concimi chimici, l’acqua, poi i pesticidi, i diserbanti che le corporation americane produrranno con ritmo crescente trovando nelle campagne europee un mercato sterminato. I semi ibridi sono stati il cavallo di Troia per scalzare un modello secolare di agricoltura. Ma ciò che è rimasto a lungo nascosto è che il miracolo dei semi era dipendente dal crescente uso della concimazione chimica. Lo storico francese Paul Bairoch, ha ricostruito le stupefacenti cifre statistiche che svelano l’arcano della nostra prosperità alimentare. Tra i primi del 900 e il 1985 i rendimenti del grano sono cresciuti nei vari paesi d’Europa di 3 o 4 volte. Ma nello stesso periodo il consumo di fertilizzanti chimici nelle campagne della Germania è aumentato 9 volte, 17 volte in Italia, 20 in Spagna, Quella fertilità non veniva dai suoli d’Europa, ma dai fosfati estratti in Marocco o nelle isole del Pacifico, dall’azoto prodotto industrialmente col petrolio pompato in qualche angolo del mondo. L’intero modello della nostra economia estrattiva, lineare, che consuma una volta per tutte, senza nulla restituire alla terra, è nelle poche cifre fornite dal geologo americano D. A. Pfeiffer nel saggio Eating fossil fuels (2006).
Negli anni in cui si realizza la cosiddetta rivoluzione verde, tra il 1950 e il 1985, la produzione mondiale del grano conosce un incremento che sarebbe sciocco non considerare senza precedenti. Essa aumenta del 250%. Ma il consumo di energia fossile negli stessi anni tocca un picco di aumento del 5.000%. L’incremento di produzione e l’innovazione tecnologica di tutto il settore (concimi, macchine, pompaggio dell’acqua, diserbanti, pesticidi) si sono fondati su un consumo gigantesco di energia, sulla dissipazione di risorse non rigenerabili del suolo e del sottosuolo.
http://www.nuovatlantide.org/expo-la-linearita-dei-predoni/
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BLUE ECONOMY – di GUNTER PAULI – ed. AMBIENTE
A quattro anni di distanza dalla prima pubblicazione, Edizioni Ambiente presenta una nuova edizione completamente rivista di uno dei testi fondamentali dell’ambientalismo scientifico, in cui Gunter Pauli dà conto dei successi degli imprenditori e delle aziende che hanno abbracciato i principi della blue economy. La blue economy si basa sull’imitazione dei sistemi naturali, riutilizza continuamente le risorse e produce zero rifiuti e zero sprechi. Diversamente dalla green economy, non richiede alle aziende di investire di più per salvare l’ambiente. Anzi, con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale. I risultati ci sono, e in tutto il mondo laboratori di ricerca, aziende e innovatori hanno adottato questi principi per aumentare la loro competitività dando nuova forma alle nostre economie.
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