La vita continua

Stamattina, nel consueto giro d’orizzonte dei blog che seguo, ho trovato un articolo che mi aspettavo http://albo-pretorio-bondeno.blogspot.it/2015/01/finisce-qui.html in cui il Dr. Aleotti annuncia la chiusura del suo blog su Bondeno sostanzialmente perché la popolazione è attonita, apatica incapace di reagire, assuefatta all’indignazione indotta da tanti maestri, più o meno cattivi, che dalle televisioni, radio, social-network e blog, come questo, li incita alla denuncia del malaffare e alla scoperta delle “cose che non si sanno”.

Sono gli stessi motivi per cui nel 2013 avevo pensato la stessa cosa e avevo aperto terzapagina.info , poi l’imminenza delle elezioni politiche e la speranza che cambiasse qualcosa mi aveva fatto riprendere.

E’ successo invece che anche i candidati non eletti sono spariti subito dopo le elezioni a testimonianza che ormai la politica è “soltanto far carriera” e la gente (abituata dal calcio) preferisce fare il tifo piuttosto che scendere in campo.

Come dice Paolo Barnard (citato anche da Aleotti): Ciò che manca è la consapevolezza del cittadino medio e la volontà di mettere in atto piccolissimi cambiamenti … e anche questo è abbastanza palese…
Comunque se vogliamo farci male da soli, possiamo fare finta di niente per il resto della vita e lasciare che siano gli altri a risolvere i nostri problemi  …

a loro vantaggio ovviamente, intanto che noi rincorriamo le briciole che lasciano generosamente cadere.

Stretta la soglia larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.

Scenario zero

In questo nuovo “Scenario Zero” infatti, si declinano a livello locale quelle politiche di Terza Rivoluzione Industriale a basso costo marginale auspicate da Jeremy Rifkin nei suoi ultimi due libri, “La terza rivoluzione industriale” (2012), e La Società a Costo Marginale zero (2014).
E’ una nuova economia dal basso ispirata a un modello distribuito anzichè centralizzato, che crea comunità e riforma completamente la società creando ricchezza distribuita e lavoro mediante politiche virtuose sul piano energetico, dei consumi e dell’agricoltura, mediante la sharing economy.
Il modello distribuito funziona senza grandi impianti e grandi insediamenti produttivi, perchè è basato sulla creazione e la messa in rete di milioni di piccole centrali produttive di energia rinnovabile operate da milioni di produttori/consumatori, centinaia di migliaia di centri di raccolta e informazione per la chiusura virtuosa del ciclo dei prodotti e l’eliminazione del concetto stesso di rifiuto, il ritorno ad una agricoltura di qualità su piccola e piccolissima scala, interconnessa con le comunità locali attraverso la moltiplicazione esponenziale dei mercati di vendita diretta (“Farmer market”) dei gruppi d’acquisto (“Community Supported Agriculture”) e della modernizzazione e decarbonizzazione delle attività di produzione e di trasformazione agricola.
Questo modello distribuito è ad alta intensità di lavoro e a  bassa intensità di capitali. Esso dunque remunera il lavoro e non il capitale (che spesso si sostanzia in rendita parassitaria e speculativa disconnessa dalla sottostante economia reale), e permette di disinnescare a livello locale quelle politiche economiche irresponsabili spesso innescate a livello nazionale o europeo, che conducono a una depressione dei consumi e della ricchezza circolante e a un aumento della ricchezza accumulata e della disoccupazione.(1)
Per fare questo, non dobbiamo riguadagnare una puramente  formale sovranità monetaria per poi magari essere liberi di stampare tonnellate di lira/cartastraccia per pagare il petrolio o le derrate alimentari di filiera lunga.
Dobbiamo mirare a smetterla di comprare petrolio e cibo di filiera lunga e mirare a produrre tutta l’energia e il cibo che ci servono localmente secondo processi rispettosi delle leggi della termodinamica e della biosfera che ci ospita.
Dobbiamo mirare a produrre quanti più beni e servizi tramite distretti di manifattura additiva in rete fra di loro anzichè in grandi acciaierie e impianti industriali pesanti centralizzati, implementando modelli a bassa intensità di capitali e alta intensità di lavoro.
Dobbiamo mirare alla sovranità energetica, alimentare, produttiva. (2)
Sembra che la solita Germania si sia già incamminata su questa strada favorendo, anche economicamente, progetti di transizione, come testimoniato da Naomi Klein:
La rapidità della transizione tedesca lascia sbalorditi. Stiamo parlando di un paese che, nell’arco di dieci anni e mezzo, è arrivato a produrre il 25 per cento della propria energia da fonti rinnovabili, in buona parte ricorrendo a cooperative decentrate e controllate dalle comunità locali. Tuttavia, la cosa non si è svolta all’insegna del “Ehi, facciamolo, io e i miei amici vogliamo metter su una cooperativa energetica”… Si è trattato piuttosto di una politica nazionale generalizzata che ha creato un contesto nel quale si sono potute moltiplicare una serie di alternative che, sommate fra di loro, hanno dato vita al più significativo processo di transizione energetica del mondo, almeno per come la vedo io.(3)
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(2) http://angeloconsoli.blogspot.it/2014/12/benvenuti-in-matrix-verita-e-menzogna.html

(3) http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=110665&typeb=0

Noi ci siamo occupati dell’argomento negli articoli sotto riportati e, se vogliamo davvero lo sviluppo del nostro paese (inteso come Bondeno), dovremmo cominciare a pensarci.

http://www.bondeno.com/2012/02/14/the-age-of-stupid/

http://www.bondeno.com/2010/07/12/ferrara-verso-la-transizione/

http://www.bondeno.com/2012/01/16/ferrara-e-la-transizione/

http://www.bondeno.com/2011/04/12/pensare-la-citta/


Fonte foto: http://www.solosapere.it/libri/4495-rifkin-scenari-economici-recensione

€cosocietà

Succede ben poco a Bondeno (a parte il degrado inesorabile e più o meno visibile), per cui viene spontaneo domandarsi il perché delle lunghe file davanti a questo o a quel supermercato.

La ragione (ma non la spiegazione) è la distribuzione agli utenti di un ulteriore sacco per la raccolta differenziata dei rifiuti, come si evince dall’ articolo a cui si riferisce l’immagine sottostante:

rifiuti indifferenziatiQui apprendiamo che il sacco serve per una nuova categoria di rifiuti differenziati (che, con un interessante paralogismo, viene definita indifferenziato), il cui elenco potete scaricare al link: http://www.cmvservizi.it/documenti/ambiente/Rifiutologo2015.pdf

Dalla tipologia di rifiuti (assorbenti, pannolini, cosmetici ecc.) probabilmente deriva l’appellativo “rosa” attribuito al sacco, che viene distribuito alla popolazione dei comuni di Cento, Bondeno, Sant’Agostino, Mirabello, Vigarano Mainarda secondo il calendario qui riportato: http://www.cmvservizi.it/documenti/ambiente/CalendarioDistribuzioneEcoSacchi.pdf

Fin qui la notizia, che non è priva di interrogativi: il primo lo solleva nel suo blog l’ex-vicesindaco Aleotti chiedendosi come mai il sacco reca il simbolo dell’euro e ipotizzando che sia per l’alto costo della raccolta dei rifiuti che viene dettagliata accuratamente.

Qui noi, più modestamente,  ci limitiamo a chiederci come mai gli addetti alla distribuzione non siano stati muniti di un lettore ottico per leggere i dati dell’utente che deve presentarsi con una bolletta o col tesserino CMV che sono entrambi muniti di codici a barre.

Quale cultura?

Fino a pochi anni fa di ogni fenomeno politico nascente e vincente si cercava e si trovava la corrispettiva matrice culturale e i suoi ispiratori. Si indicavano autori, filoni, opere e intellettuali che fossero il prologo in cielo di quel che stava avvenendo sul terreno politico. L’ultima volta che accadde fu al seguito della cosiddetta seconda repubblica e riguardò la nuova destra e la nuova sinistra, i neoliberali e il berlusconismo, di cui si ritrovarono non solo autori ed esponenti provenienti dal mondo intellettuale, ma anche cospicue tracce di un’egemonia sottoculturale nel regno della tv e dei costumi. Perfino il leader considerato più ruspante e più allergico a una matrice culturale, Bossi, ebbe al fianco della Lega alcuni intellettuali di spessore, a partire da Gianfranco Miglio. Ma Renzi, ma Grillo, ma Salvini, a che cultura civile, se non politica, attengono, quali intellettuali di riferimento, quali idee o perlomeno di quale egemonia sottoculturale sono espressione? L’impressione è che siano autoreferenziali in assoluto, personaggi televisivi prima che politici, cresciuti nel deserto delle idee e che la loro leadership nasca dalla rottura di ogni vaso comunicante, dal dissolversi di ogni ispirazione culturale o anche sottoculturale. Non c’è una nuova post-sinistra dietro Renzi, non c’è un pensiero radicale dietro Grillo, non c’è neanche mezzo Miglio dietro Salvini, almeno in partenza. E questa mancanza di retroterra non produce nei leader e nei loro proseliti alcun disagio, come se fosse inutile, ridondante, ingombrante, del tutto superfluo. Anche i tecnici, pur provenendo da ambiti accademici, non erano peculiare espressione di una corrispettiva cultura, ma sancivano l’autonomia assoluta e sovrana della tecnica e della finanza rispetto a ogni matrice e a ogni idea. Del resto, i filoni delle culture politiche sono esausti ormai da tempo e non alimentano alcun progetto di società e politica né alcuna formazione di leader.

Leggi tutto su: http://www.lintellettualedissidente.it/rassegna-stampa/renzi-grillo-e-salvini-sotto-il-leader-niente-men-che-meno-la-cultura/

Cuius regio, eius religio

Cuius regio, eius religio (“Di chi [è] la regione, di lui [si segua] la religione“, cioè i sudditi seguano la religione del proprio governante) è un’espressione latina che ebbe grande rilevanza all’epoca della riforma protestante e anche nei secoli successivi. Indica l’obbligo del suddito di conformarsi alla confessione del principe del suo stato, sia essa protestante o cattolica[1]. Comunemente si intende riferito alla storia europea del XVI e XVII secolo.

Venne definito nel trattato conseguente alla Pace di Augusta del 1555 dall’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V e dalle forze della Lega di Smalcalda per determinare la religione dell’Impero come coesistenza tra il luteranesimo e il cattolicesimo. Il principio sancito ad Augusta significava che i prìncipi e le città libere avevano la facoltà di introdurre la fede luterana (lo jus reformandi) nel loro territorio, pur godendo degli stessi diritti degli stati cattolici all’interno dell’Impero. La popolazione di confessione diversa da quella del principe, sia che fosse cattolica oppure protestante, doveva adattarsi alla confessione del principe oppure emigrare (grassetto nostro n.d.r.).

Esiste anche la variante “Cuius regio, eius et religio”, nella quale il termine et ha in questo caso funzione rafforzativa (nel senso di “anche”).

In senso lato, il principio del “cuius regio eius religio” implica l’inviolabilità della sovranità nazionale (una nuova concezione di sovranità, che emerge in seno al processo di territorializzazione di un popolo e della sua cultura) e la non ingerenza nella domestic jurisdiction degli stati-nazione[2]

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Cuius_regio,_eius_religio

Affari e politica

L’articolo precedente conteneva l’elogio della virtù in un testo filosofico che ormai non si studia più in nessuna scuola, visto che ormai i licei si orientano anche loro esclusivamente sulla tecnologia.

Quanto sia ormai fuori moda questo approccio lo dimostra un interessante articolo che analizza nel dettaglio l’andamento degli affari di quanti hanno sostenuto l’ascesa politica di Matteo Renzi.

“È questo il risultato dell’analisi che Nicolò Cavalli su pagina99 ha condotto sulla base dell’elenco dei sostenitori della Fondazione Open. Le liste sono parziali (in ottemperanza alla normativa sulla privacy vengono pubblicati solo i nomi dei finanziatori che ne danno esplicita autorizzazione, e che contano per il 70%, cioè 1,3 degli 1,9 milioni di euro raccolti) ma permettono di osservare la rete che ha sostenuto negli ultimi quattro anni l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi. Tra i 103 nomi che figurano nella lista della Fondazione sono 57 le imprese (o gli imprenditori), e 8 quelle quotate tra Londra, Milano o New York”.
La tanto decantata abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha quindi  provocato la sparizione dei medesimi e la loro sostituzione con dei comitati d’affari, la cui preoccupazione fondamentale non è certo quella del bene comune dei cittadini.