Ogni tanto si legge di qualcuno che ha sensi di colpa nei confronti degli immigrati perché noi avremmo depredato le loro terre di origine; a mio modesto parere questo vale tuttora per altri popoli ben più colonialisti di noi che, in ogni caso abbiamo fatto anche qualcosa di positivo:
http://www.bondeno.com/2012/10/26/documentario-su-giovanni-bersani/
http://eblog.emilbanca.it/?p=4902
Nel 1967 Papa Paolo VI diede alla stampe l’Enciclica Populorum Progressio dove si denunciava l’aggravarsi della differenza tra ricchi e poveri e si chiedeva al Mondo di prendersi cura del benessere di tutti. Il Papa chiedeva l’istituzione di un fondo mondiale in favore dei Paesi poveri, io, a Bologna, preparai una legge sulla cooperazione internazionale che poi fu approvata anche dal Parlamento Europeo. Legge che ancora oggi è il principale strumento di finanziamento dei progetti nei Paesi in via di sviluppo. La legge arrivò nel 1971, un anno dopo a Bologna partì l’avventura del CEFA. E non poteva che nascere qui. In un contesto sociale molto attivo, legato alla cooperazione, con alcuni legami forti con l’Africa. E non dimentichiamo che Bologna è stata la prima città del mondo che ha abolito la schiavitù, ben sei secoli prima della Guerra Civile Americana.
Giusto per esempio, la Libia fu presa ai Turchi nel 1912 e chi vuole vedere gli effetti dell’occupazione Italiana vada a Rodi:
http://www.rhodian.com/italiani.htm
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Perché, di fatto, la retorica intellettuale ci ha convinto che fermare l’immigrazione vorrebbe dire essere razzisti. Fonte del problema, quindi, non è più la questione in sé (dell’immigrazione, per esempio) che non tocca la nostra intellighenzia nella sua quotidianità, ma piuttosto la sua negazione (il razzismo): dobbiamo accettare l’immigrazione per non essere razzisti, il genderismo per non essere omofobi, il precariato per non essere anti-liberali.
http://www.lintellettualedissidente.it/inattuali/violenza-del-pensiero-borghese/
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