Crescita e austerità

In questo discorso, nella scelta di Junker come figura di mediazione, appare dunque chiara una cosa che diciamo da tempo: in Europa i due orientamenti della crescita e dell’austerity sono solo apparentemente contrapposti! E questo innanzitutto perché i due termini, presi così, non hanno alcun senso: in regime di capitale, quello che è crescita per uno è austerity per l’altro. Il rapporto fra i due poli è dialettico. La “crisi” dell’Eurozona è stato uno scontro determinato da precisi interessi correlati alla diversa strutturazione produttiva e finanziaria degli Stati membri. L’austerity imposta in questi anni all’Italia (o meglio, al proletariato e alla piccola borghesia italiana), così come agli altri PIGS, è stata crescita di profitti per la borghesia tedesca, così come la crescita che oggi chiede la borghesia italiana non sarebbe altro che ridimensionamento dei profitti della borghesia tedesca, che si scaricherebbero indirettamente sui proletari di altri paesi…

Non solo quindi, non esiste un’astratta austerità (il modo di produzione capitalistico si basa appunto sul fatto di fare profitti, e gli alfieri dell’austerity hanno ben riempito le casse negli ultimi anni), ma non esiste nemmeno un’astratta crescita, se la intendiamo,  riprendendo la propaganda di Junker, come “benessere collettivo”. La crescita del PIL e dunque dei profitti, che è l’unica crescita che il capitale conosce, la si produce, gira e rigira, solo spremendo i lavoratori!

Si capisce dunque perché oggi erano tutti d’accordo. Tutti i padroni d’Europa vogliono le riforme strutturali, che siano tedeschi, olandesi, italiani o persino greci: perché questo aumenta i loro margini di profitto… Ma se questo è vero, allora vuol dire che l’alternativa che dobbiamo seguire, sia nell’analisi, che nel pensare alle nostre pratiche, non è quella fra UE vs Italia, fra popolari vs socialisti, fra crescita vs austerity, ma fra borghesia vs proletariato.

estratto da http://www.lolandesevolante.net/blog/2014/07/chi-e-juncker-il-nuovo-presidente-della-commissione-europea/

Riassumendo, è evidente che la crescita (se ci sarà), sarà solo quella dei profitti degli industriali rimasti (grandi opere) e l’austerità riguarderà tutti gli altri (noi).

4 pensieri su “Crescita e austerità

  1. Dopo aver letto, con una certa angoscia, queste previsioni, cosa resta da fare a noi comuni cittadini per contrastare un piano che, sembra fatto apposta per accontentare i soliti governanti e i potenti industriali, proprio a scapito nostro? Quello che non leggo mai è una risposta davvero convincente a questa domanda. Mi sembra di capire che bisognerebbe invertire rotta ma per andare dove e con quali comandanti? Comincio a credere che avesse ragione Simone Weil quando affermava che era indispensabile procedere alla soppressione dei partiti politici, interessati solo alla crescita del loro potere, in modo tale da impedire ai cittadini ogni reale possibilità di giudizio circa il bene, la giustizia, la verità negli affari pubblici.

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    • Come notato altre volte, “la gente” preferisce sentirsi raccontare favole dai media sulla “ripresa”, piuttosto che affrontare la realtà: “io speriamo che me la cavo”; solo che nel frattempo è cambiato radicalmente il quadro di riferimento: Bauman ha fatto notare come la nuova stratificazione mondiale presenti aspetti peggiorativi rispetto alla precedente, perché sta venendo meno la reciproca dipendenza tra ricchi e po­veri che vedeva i benestanti di un tempo preoccupati dell’esistenza e dei consumi degli umili nella duplice veste di forza-lavoro e di consumatori. Nella società globalizzata, il consumo è riservato a gruppi di individui agiati, le cui fortune dipendono sempre meno dal lavoro altrui e sono perciò in grado di blindarsi e rendersi autonomi dal resto della società, come accade nelle proprietà fortificate di Città del Messico, Los Angeles, San Paolo, Nairobi [Mike Davis, City of Quartz. Excavating the Future in Los Angeles, 1990].
      citato in http://gabriellagiudici.it/la-globalizzazione-2/ Ecco perché tutte le teorie sulla decrescita non sono un antidoto, ma solo l’altra faccia della crescita che è passata a scaricare i suoi costi sul secondo mondo (la borghesia europea e le classi medie).

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      • ” Ma cos’è questa crisi? “pensa la gente sempre più spaesata, incapace di comprendere effettivamente cosa stia avvenendo in Italia e ancor più nel mondo. Per ignoranza, pigrizia e disinteresse, alle elezioni o disertano le urne oppure votano per il personaggio che in quel momento appare più convincente, più ottimista, ma soprattutto a chi promette loro di cambiare tutto, a condizione che nulla cambi. Tutto deve e può cambiare, purchè venga loro assicurato che in breve tempo la crisi resterà solo un brutto ricordo. E per i tanti poveri, vecchi e nuovi, chi ci pensa? Per loro basti un po’ di carità, un po’ di compassione e qualche preghiera! L’italiano medio sembra ipnotizzato, incapace anche di sognarla una rivoluzione di sistema che possa davvero arginare il temuto declino. Impoverito anche culturalmente, dal canto suo, si limita a risparmiare un po’, a contare con preoccupazione crescente i pochi risparmi rimasti e a guardarsi ogni tanto allo specchio per dirsi appunto: “Io speriamo che me la cavo!”

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  2. Sul Wall Street Journal di qual che giorno fa, un importante (e celebre) imprenditore statunitense, Michale Bonte Friedheim, amministratore delegato della merchant bank Next Eenergy Capital Group (finanzia start up legate alle rinnovabili e all’energia pulita) nello spiegare perchè l’Italia ha scelto di percorrere la strada sbagliata, ovvero “quella che nega l’innovazione e l’apertura verso il nuovo” conclude il suo articolo sostenendo don’t come knocking on my door (“non venite a bussare alla mia porta”) dopo aver spiegato che gli investitori americani hanno identificato il nostro paese come “refrattario a ogni innovazione e spietatamente in corsa verso un proprio medioevo” ci racconta anche che non verranno a portare capitali da noi, che non verranno gli imprenditori, non verranno gli investitori. Verranno soltanto speculatori finanziari che approfitteranno della situazione per (come stanno facendo) impossessarsi delle banche acquistando le più importanti aziende italiane a prezzi stracciati. Siamo stati identificati (e così veniamo definiti) come il paese dell’Europa occidentale “più obsoleto, immobile e refrattario a ogni innovazione”.
    http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/06/non-apriamo-quella-porta-se-prima-non.html

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