Per esempio: nella nostra società sembra vigere una regola generale per cui più il lavoro di un individuo giova palesemente ad altre persone, minori sono le probabilità che questo lavoro venga pagato.
Se qualcuno avesse progettato un sistema del lavoro fatto su misura per salvaguardare il potere del capitale, non avrebbe potuto riuscirci meglio. I lavoratori veri, quelli produttivi, vengono spremuti e sfruttati implacabilmente. Gli altri si dividono tra un atterrito strato di disoccupati, disprezzato da tutti, e un più ampio strato di persone che in pratica vengono pagate per non fare nulla, e che ricoprono incarichi progettati per farle identificare con i punti di vista e le sensibilità della classe dirigente (manager, amministratori eccetera) – in particolare con le loro personificazioni economiche – ma che al tempo stesso covano un segreto rancore nei confronti di chiunque faccia un lavoro provvisto di un chiaro e innegabile valore sociale.
David Graeber
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Pubblicato originariamente su Internazionale, n. 1023, 25-31 ottobre 2013.
Bauman ha fatto notare come la nuova stratificazione mondiale presenti aspetti peggiorativi rispetto alla precedente, perché sta venendo meno la reciproca dipendenza tra ricchi e poveri che vedeva i benestanti di un tempo preoccupati dell’esistenza e dei consumi degli umili nella duplice veste di forza-lavoro e di consumatori. Nella società globalizzata, il consumo è riservato a gruppi di individui agiati, le cui fortune dipendono sempre meno dal lavoro altrui e sono perciò in grado di blindarsi e rendersi autonomi dal resto della società, come accade nelle proprietà fortificate di Città del Messico, Los Angeles, San Paolo, Nairobi .
http://gabriellagiudici.it/la-globalizzazione-2/
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