L'inglese di Matteo Renzi

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Parlare e vivere in un’altra lingua rispetto a quella che ti ha insegnato la mamma (e che ti è entrata nel cervelletto quando questo era ancora adattabile, prima di dover usare solo la corteccia) è difficile e faticoso. Lo so bene io, anche se ho cominciato a imparare l’inglese prima degli otto anni (il primo corsettino sperimentale per bambini risale appunto al 1972) e posso dire di non aver mai veramente smesso di studiarlo. Oggi scrivo in prevalenza in inglese, faccio lezione quasi solo in inglese e parlo inglese di continuo (in Italia tutto questo si capovolge, salvo i lunghi caffè o birrette con Tom Kirkpatrick). C’è chi ha detto che ormai la mia seconda lingua sta diventando l’italiano. That might well be (può darsi, visto che c’è chi vuole che traduca tutto).

Non credo che Matteo Renzi abbia avuto le opportunità che ho avuto io di studiare l’inglese e di praticarlo, anche solo perché ha circa dieci o undici anni meno di me. Sarebbe ridicolo e ingiusto che gli facessi le pulci. Però mi chiedo: non farebbe meglio a preparare due paginette, due, di discorso e a leggerle o recitarle? Imparare una lingua non è uno scherzo: c’è bisogno di tempo e di dedizione e parlare in pubblico non è facile. Massimo D’Alema conosceva bene russo e francese (veniva da buoni studi umanistici) e, quando si rese conto che era tempo di imparare l’inglese, ci si mise di buzzo buono, ma per qualche anno non pensò nemmeno di parlare in pubblico; poi, poco a poco, cominciò. Lo stesso fece Craxi, che tenne in italiano il suo primo discorso alle Nazioni Unite e passò all’inglese solo quando si sentì più sicuro.

La faciloneria di Renzi mi spaventa. Crede di poter far fronte a tutto solo con la faccia tosta e con la tracotanza (l’ho sentito più volte interrompere chi gli voleva porre domande scomode). Un tempo cercavo di spiegarmi come avesse sedotto il 40% degli italiani, ma penso d’aver trovato una spiegazione. Renzi è andato al governo non col voto degli italiani, ma con la promozione sul campo di Napolitano, che ha visto in lui l’unico capace di far digerire agli italiani la ricetta neo-liberista delle grandi banche (per cui l’Italia va spolpata fino all’osso) non da destra, ma da sinistra (cancellando quindi ogni altra possibilità di opposizione del PD; anche i comunisti storici, di fronte al Matteino, rispondono “Intanto abbiamo vinto…”). Gli italiani l’hanno votato DOPO: sapendo che aveva già vinto, si sono subito messi con lui, perché, com’è noto: “Gli italiani corrono in soccorso al vincitore.” (Ennio Flaiano)

Forse, però, Renzi fa comodo così anche al grande capitale. Se il loro agente italiano sapesse bene l’inglese, magari darebbe l’idea di avere qualche velleità di potere. No: anche il premier italiano dev’essere cialtrone come tutti i suoi sudditi, che passano il tempo a lustrare i musei e a preparare gli spaghetti ai turisti in un’economia opportunamente frenata perché non si sogni più di alzare la testa e di credersi una nazione industrializzata (basta mettersi d’accordo con la mafia e non ci sono pericoli). Go ahead, Matteo, but not in my name.
Andrea Malaguti

3 pensieri su “L'inglese di Matteo Renzi

  1. TUTELA LEGALE DELLA PARODIA E DELLA SATIRA

    Legge 22 Aprile 1941 n.633 (G.U. n.166 del 16 luglio 1941), estratto dall’articolo 1: “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo […] , qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.”
    Questa legge sancisce, semplicemente, che tutto ciò che è realizzato dall’ingegno creativo è protetto dai Diritti d’Autore. Ne consegue che la creazione di immagini che fanno riferimento al suo umorismo, alle sue doti creative, etc. è un elemento protetto dalla legge e che appartiene al suo creatore, quindi al Parodista.
    Legge citata, estratto dall’articolo 3: “Le opere collettive, costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato fine […] artistico, […] sono protette come opere originali, indipendentemente e senza pregiudizio dei diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono composte.”
    Questa legge è piuttosto importante nell’ambito della parodia. Si indica che un’opera creata unendo altre opere o parti di esse è da considerarsi autonoma qualora fosse il risultato di una scelta artistica. Opera da considerarsi, inoltre, protetta come opera originale e senza pregiudizio su altri diritti d’autore già esistenti.
    Legge citata estratto dall’articolo 4: “Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali […] le trasformazioni da una in altra forma […] artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale.”
    In questa legge si sottolinea che le modifiche e le aggiunte eseguite ad un’opera già esistente (nel caso della parodia una nuova elaborazione di nuovi testi, nuove scene amatoriali, scritte, effetti speciali, proprie immagini, ecc.), sono protette e senza pregiudizio di diritti d’autore già esistenti.
    Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001(GU n. L 167 del 22/06/2001), estratto dall’articolo 5: “Sono esentati dal diritto […] gli atti di riproduzione […] privi di rilievo economico proprio che sono […] parte integrante e essenziale di un procedimento tecnologico […]”, in particolare al paragrafo 3 lettera K “quando l’utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o pastiche.”
    Questa direttiva è specifica per la parodia. In questo senso, la legge specifica che è possibile distribuire un’opera parodiata senza scopo di lucro e senza dover sottostare a diritti d’autore già esistenti.
    Trib. Milano 29 gennaio 1996, in Foro it.,1996, I, 1426 e in Dir. Industriale, 1996, 479, n. MINA; Trib. Milano 15 novembre 1995 in Giur. It., 1996, I, 2, 749, in particolare alla dichiarazione: “A questo proposito, cercando di analizzare giuridicamente questo caso, va premesso che la parodia, secondo la giurisprudenza, si risolve sempre in un’opera autonoma e distinta rispetto a quella di riferimento e non richiede il consenso da parte del titolare del diritto di utilizzazione economica. L’opera pertanto sarà imputabile solo al parodista e giammai, neanche in parte, all’autore dell’opera parodiata.”
    Articolo 21 della Costituzione Italiana, “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E’ dunque assicurato il diritto “di satira come diritto fondamentale costituzionale”.

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  2. Complimenti ad Andrea Malaguti per gli interessanti spunti di riflessione sulla nostra poco edificante situazione politica. Mi unisco ad Andrea nel dire: Go ahead, Matteo, but not in my name.

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