Le voci della poesia

lunedì 25 marzo ore 17 – TAVOLA ROTONDA

LE VOCI DELLA POESIA –
Partecipano: Alberto Canetto, Emilio Diedo, Rita Marconi, Matteo Pazzi, Silvia Trabanelli e Gabiella Veroni Munerati
Coordina Camilla Ghedini
Interviene Gianna Vancini, presidente del Gruppo Scrittori Ferraresi
Il primo giorno di primavera di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale della Poesia. Istituita dall’Unesco, l’iniziativa intende riconoscere all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace.
“… non scrivete subito poesie d’amore, che sono le più difficili, aspettate almeno un’ottantina d’anni. Scrivetele su un altro argomento… che ne so… sul mare, il vento, un termosifone, un tram in ritardo… che non esiste una cosa più poetica di un’altra!
La poesia non è fuori, è dentro…
Cos’è la poesia, non chiedermelo più,
guardati nello specchio, la poesia sei tu…”
(Roberto Benigni dal film “La tigre e la neve”)
A cura del Gruppo Scrittori Ferraresi

Università Aperta Cento

In partenza gli ultimi 3 Corsi dell’Università Aperta Cento – A.A. 2012/13


“Dante, libertà va cercando”: da mercoledì 3 aprile 2013
“La Comunicazione con il corpo”: da martedì 9 aprile 2013
“Camminare per conoscere”: da domenica 21 aprile 2013

Ai nastri di partenza anche gli ultimi tre corsi dell’anno accademico 2012/2013 dell’Università Aperta Cento (U.A.C.).

Mercoledì 3 aprile p.v. si terrà il primo dei 4 appuntamenti in programma per “Dante, libertà va cercando“. Attraverso la lettura di alcuni canti esemplari della Divina Commedia, si affronterà il tema del viaggio nell’aldilà dimostrando che il cammino su questa terra è la strada di una felicità possibile e concreta.
Le lezioni si terranno presso il Liceo G. Cevolani di Cento dalle 20.30 alle 22.30.Costo di partecipazione: €40.

Si articola in 8 lezioni il corso “La comunicazione con il corpo” in partenza martedì 9 aprile p.v. Il Corso si prefigge lì obiettivo di far comprendere il funzionamento della comunicazione non verbale e la sua importanza nella quotidianità.
Le lezioni avranno luogo presso il Caffè Italia (C.so Guercino, 30 ) dalle 20.30 alle 22.30.Costo di partecipazione: €70.

In partenza, da domenica 21 aprile p.v., anche gli appuntamenti che compongono “Camminare per conoscere“; sei splendide occasioni per conoscere il nostro territorio attraverso percorsi guidati (passeggiate o facili escursioni in bicicletta) che si effettueranno in luoghi caratteristici e significativi per la storia della nostra zona. Costo di partecipazione: €40.

Per informazioni: tel.051/6843330 – uac@comune.cento.fe.it

Per partecipare ai corsi di Università Aperta è necessario iscriversi al corso prescelto.

Le iscrizioni possono essere effettuate direttamente on line (collegandosi al sito www.comune.cento.fe.it/lacitta/UAC/) oppure presentandosi al Centro Pandurera dal lunedì al sabato dalle 10.00 alle 12.00

Arte e vita in Italia tra le due guerre

Cagnaccio di San Pietro, Donna allo specchio, 1927. Verona, Fondazione Cassa di Risparmio di Verona.

Forlì, Musei San Domenico

Piazza Guido da Montefeltro

2 febbraio – 16 giugno 2013

La nuova esposizione ai Musei San Domenico intende rievocare un clima che ha visto non solo architetti, pittori e scultori, ma anche designer, grafici, pubblicitari, ebanisti,orafi, creatori di moda cimentarsi in un grande progetto comune che rispondeva, attraverso una profonda revisione del ruolo dell’artista, alle istanze del cosiddetto “ritornoall’ordine”. Il rappel à l’ordre, manifestatosi già durante gli anni della guerra, scaturiva dalla crisi delle avanguardie storiche, in particolare il Cubismo e il Futurismo, considerate l’ultima espressione di un processo di dissolvimento dell’ideale classico che era iniziato con il Romanticismo e si era accentuato con l’Impressionismo e i movimenti come il Divisionismo e il Simbolismo che lo avevano seguito.

Non solo i dipinti, le sculture o l’architettura, ma anche le opere di grafica e i manifesti diventarono parte integrante dell’immagine della città moderna. Il Novecento passò dall’arte alta agli oggetti della vita quotidiana, dove si respirava la stessa atmosfera di ritorno alla misura classica, anche nella manipolazione di materiali preziosi. Lo testimoniano gli splendidi mobili e gli altri oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano, Montalcini, Muzio, Gio Ponti e i gioielli realizzati da Alfredo Ravasco. Mai come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si identificarono con quelle della cultura e della politica, originando, tra il sogno parigino e l’autarchia, la prospettiva della grande moda italiana.

Informazioni: http://www.mostranovecento.it/informazioni.html

L'altro e l'altrove

Venerdì 22 marzo ore 16,30 – IL PRESENTE REMOTO 2013 – RIFLESSIONI SULL’IMMAGINARIO -Storie, immagini e libri

L’ALTRO E L’ALTROVE –
Conversazione con l’antropologo Marco Aime e il geografo Davide Papotti, in occasione della pubblicazione presso l’editore Einaudi del loro saggio “L’altro e l’altrove. Antropologia, geografia e turismo”
Il saggio prende in considerazione la complessa galassia di costruzioni culturali che ruota intorno all’appetibilità turistica di un luogo e alle pratiche del marketing di attrazione. Dietro ogni scelta e prassi del turismo, infatti, si trova un insieme di aspettative, desideri e preconcetti, spesso socialmente condivisi, relativi ai luoghi di destinazione e alle persone e comunità che ivi risiedono.
Scrivono gli autori: “L’immaginario, ci sembra, rimane nondimeno uno snodo centrale da indagare negli studi sul turismo. La natura dinamica degli immaginari antropologici e geografici legati all’altro e all’altrove, unitamente alla costante opera di contrattazione sociale che ne media le apparizioni e ne determina i successi, invita a proseguire le analisi in materia. La storia della società occidentale ha ‘trasfigurato’ la realtà, proiettandola nelle lontananze incantate dell’immaginazione, sino a farla coagulare in una figurazione spaziale o temporale: la natura vergine, la storia passata, il monumento, il folclore”.
Marco Aime, antropologo e scrittore, insegna Antropologia Culturale presso l’Università di Genova. Ha condotto ricerche sul campo in vari paesi extraeuropei e ha pubblicato numerosi volumi, alcuni considerati ormai dei “classici” del pensiero antropologico, fra gli altri: “Eccessi di culture”, “Una bella differenza. Alla scoperta della diversità del mondo”, “Il diverso come icona del male”.
Davide Papotti insegna Geografia Culturale presso l’Università degli Studi di Parma. Ha pubblicato “Geografie della scrittura. Paesaggi letterari del Medio Po” e con Luisa Rossi ha curato “Alla fine del viaggio”.
A cura di Roberto Roda, Centro di Documentazione Storica del Comune di Ferrara

Il viaggio dell'anima

Giovedì 21 marzo ore 16,30 – ANATOMIE DELLA MENTE Sei conferenze di varia psicologia – Anno VI

Stefano Caracciolo – IL VIAGGIO DELL’ANIMA
L’anima attraverso la Storia del Cinema fra Psicologia e Neuroscienze
Le moderne neuroscienze si propongono di fotografare l’anima attraverso le nuove tecniche di visualizzazione del funzionamento cerebrale, come la risonanza magnetica funzionale (FMRI). Al di là delle semplificazioni giornalistiche di stampo divulgativo, una serie di processi mentali possono essere studiati nel dettaglio in base alla visualizzazione di aree cerebrali attivate nel corso di operazioni mentali motorie e sensitive, emotive e cognitive. Ma il viaggio dell’anima parte da lontano e non si può facilmente riassumere in aree che si accendono e si spengono. Dall’anima dell’antica filosofia greca (Psyche, ovvero soffio vitale) fino alle dispute medievali della Scolastica, arrivando, attraverso il dualismo cartesiano, al moderno problema body-mind e alle tecniche di Damasio, il viaggio si snoda lungo innumerevoli tappe in un lungo pellegrinaggio che sarà affrontato con particolare attenzione per gli aspetti medici e psicologici, ma anche alla luce di stimoli artistici, in particolare l’arte figurativa, musicali e cinematografici.
A cura di Stefano Caracciolo, Professore Ordinario di Psicologia Clinica all’Università di Ferrara

L'orologio di Finale al salone del restauro

Mercoledì 20 marzo il quartiere fieristico di Ferrara apre le sue porte a Restauro 2013 – Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali di Ferrara quest’anno giunge alla sua XX edizione. Il taglio del nastro si terrà alle ore 10.00 all’interno del Padiglione 2 in presenza di tutte le autorità coinvolte (Ministeriale-MIBAC, Regionale, Provinciale, Comunale ecc. vedi allegato).
Il primo giorno del Salone sono in programma importanti convegni che metteranno a fuoco molti dei temi che saranno affrontati in questa XX edizione, primo fra tutti la ricostruzione post-sisma e il restauro consapevole dei beni danneggiati:
“Torre dei Modenesi (o dell’Orologio). Restituzione e restauro e ripristino filologico del simbolo del terremoto” dalle ore 10.30 alle 13.00, convegno organizzato dal Comune di Finale Emilia.
A questo proposito anticipiamo che la parte rimasta integra del quadrante dell’orologio, quasi una metà, sarà allestita all’interno del padiglione 5 dedicato al grande tema del “Dov’era, ma non com’era”, un’intera area dedicata al recupero e alle nuove strategie di intervento a favore dei beni architettonici e artistici gravemente danneggiati dal sisma.
“Emilia-Lombardia-Abruzzo: a che punto siamo” dalle ore 10.45 alle 12.30 organizzato e promosso dal MIBAC. Un dibattito fondamentale e strutturato per analizzare la situazione attuale e i prossimi obiettivi da raggiungere nelle tre regioni colpite duramente dal sisma
“Dov’era, ma non com’era: il ruolo centrale del restauro nella ricostruzione post-sismica sessione Prima: Emergenze Architettoniche” dalle ore 14.00 alle 17.00 organizzato e promosso da TekneHub – Rete Alta Tecnologia Emilia Romagna insieme al LabOra-Dipartimento di Architettura dell’Università degli studi di Ferrara e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna.

” Tutela dei beni culturali durante un’emergenza” dalle 10.15 a cura del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco, del MIBAC e del TekneHub del Tecnopolo dell’Università. Questo appuntamento sarà la prima occasione d’incontro e confronto tra i soggetti coinvolti nella messa in sicurezza e nel salvataggio di molte opere d’arte ed edifici colpiti dal sisma.

Verdi contro Wagner

Mercoledì 20 marzo ore 17 – LA SCUOLA DELL’ASCOLTO I EDIZIONE

Franchino Falsetti – VERDI CONTRO WAGNER
Nel duecentesimo anniversario della nascita  di Wagner(1813-2013)
La possibilità di ricordare figure di grande spicco del teatro dell’opera e del melodramma dell’Ottocento come Giuseppe Verdi e Richard Wagner rappresenta, in effetti, una ghiotta occasione per ri-vedere molte delle affermazioni e critiche che ne hanno caratterizzato le loro personalità, come il grado di innovazione apportato nell’ambito delle rispettive creatività e produzioni musicali.
Giuseppe Verdi ha saputo usare la musica per renderci partecipi dell’eterno universo dei sentimenti e delle vicende umane in opere immortali tratte dalla grande letteratura europea (da Shakespeare a Dumas) con le sue “grandi arie” come le definiva Rossini. I canti corali di Verdi divennero immediatamente i “mass-media” per il popolo italiano fomentando una nuova e travolgente passione patriottica.
Richard Wagner fonda la “musica assoluta”, la ricerca instancabile della musica: forma comunicativa e forza trascendentale, priva di testo, come anima totalizzante nei preludi e negli interludi. L’invenzione, non esclusiva, del leit-motiv assume una funzione metaforica, non solo per un continuo “contatto” con l’intreccio delle narrazioni, quasi di richiamo metafisico. È da sottolineare inoltre che Wagner nella sua “Tetralogia” ha realizzato una complessa produzione dialettica drammaturgica d’incontro tra nessi simbolici e culturali dell’antica tradizione germanica tra leggende e storia del popolo tedesco. (Franchino Falsetti, musicologo e critico d’arte)
A cura di Fondazione Teatro Comunale di Ferrara e Servizio Biblioteche e Archivi del Comune di Ferrara

Contro riforme

Nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Il discorso riformista è nella realtà un gigantesco quanto  complesso dispositivo volto  alla massima estensione e concentrazione della proprietà privata, producendo involuzione politica, sociale e culturale. Questo scritto vuole essere un grido d’allarme per impedire l’uso indiscriminato di una formulazione che, nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, ha cambiato interamente  senso. Dietro  l’uso della retorica delle riforme si cela una strategia  che utilizza la sovversione di significato di questo termine per produrre risultati sociali sempre piu irreversibili. La strategia riformista, che questo volume vuole portare allo scoperto sperando in un effetto  Dracula, per cui essa potrebbe morire se portata  alla luce del sole, conduce alla sistematica distruzione di ogni istituzione sociale che non sia perfettamente coerente con la massima estensione della proprietà privata e dell’attività di consumo, il brodo di coltura in cui essa prospera fin dalle sue origini nella rivoluzione borghese. L’individualizzazione  sociale e la riduzione di ogni rapporto umano allo scambio di mercato, scopo ultimo della logica capitalistica dell’accumulo e dello sfruttamento senza fine, sono progressivamente strutturati tramite un insieme di trasformazioni istituzionali, le riforme appunto, che sortiscono il loro effetto socialmente nefasto tanto nel caso in cui siano effettivamente realizzate quanto nell’ipotesi che non lo siano.nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese.
Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.
Negli Stati Uniti avevo visto l’ambiente, del tutto avulso dalla realtà,  in cui nello splendido  palazzo di metallo della World  Bank l’élite  accademica  produceva, in totale  irresponsabilità e inconsapevolezza dell’impatto umano e sociale della propria  ideologia universalistica, ricette istituzionali coerenti con gli interessi del potere  che ne finanziava  i dipartimenti. ln Mali avevo documentato l’impatto devastante (letteralmente genocida) delle ricette ivi elaborate sui valori costituzionali profondi di quella società informata alla solidarietà e all’organizzazione incentrata sul gruppo. Cominciai allora a essere sempre piu pervaso da un semplice dubbio che in poco tempo si trasformò in ipotesi di ricerca. Forse che anche in Italia, tutto questo parlare di riforme non sia sovversivo dell’ordine costituzionale fondato sui valori di solidarietà e uguaglianza da cui è permeata la Costituzione del 1948?
Dalla metà degli anni Ottanta, il concetto (da noi antico) di «riformismo» ha conosciuto una nuova pri­mavera. Tutti i politici desiderosi di assumere cariche di governo, dimostrandosi responsabili e affidabili agli occhi della comunità internazionale, si devono necessariamente  dichiarare «riformisti». Il riformismo è oggi qualcosa di più di una scelta politica, ancorché interamente  bipartisan.  In questa stagione, anche i cosiddetti tecnici «prestati  alla politica» continuano a ripetere come un mantra: «Bisogna fare le riforme!» Poche affermazioni possono competere in popolarità con questa,  tanto che pressoché tutti  i parlamentari in carica si dichiarano orgogliosamente riformisti (e quasi altrettanti liberali). Sono ben pochi coloro che si permettono  di far notare l’assoluta vacuità di questa nozione, anche perché chi lo fa è tacciato di estremismo,  marginalizzato  dal circuito mediatico­politico dominante e certamente  perde delle ottime opportunità di carriera. Chi mai potrà non volere le riforme?  Quale inguaribile  ottimista privo di ogni contatto  con la realtà può pubblicamente rallegrarsi dello status quo fino al punto  da non considerare le riforme necessarie? E all’opposto,  quale pericoloso e violento disegno utopistico o rivoluzionario potrà covare chi non condivide che le riforme siano una strada giusta ed equilibrata che ogni politico o intellettuale responsabile e realista deve percorrere senza indugio per preparare un mondo migliore? In effetti, il riformismo è oggi uno di quei valori tanto condivisi da poter essere difficilmente messo in discussione ma che, proprio per questo, è dovere del pensiero critico sottoporre a una rigorosa verifica. Che cosa significa davvero fare le riforme? Quale visione di società porta avanti o favorisce, consapevole o piu spesso inconsapevole, chi si dichiara riformista? Quali rapporti di forza e quali strutturazioni del potere accompagnano il discorso sul riformismo?
In questo libro intendo  sostenere che le riforme non sono altro che ideologia. Una falsa coscienza, il vestito buono adottato dai saccheggiatori neoliberali per portare avanti il loro disegno reazionario volto all’accumulo nelle mani di pochi di risorse appartenenti a tutti.

Dalla introduzione del libro “Contro riforme” di Ugo Mattei, disponibile anche in e-book 116pp. Einaudi 2013

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