Giorgio Kienerk, Giovinezza, 1902
Olio su tela cm. 129×189,7
Pavia, Musei Civici
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Breve introduzione di Carlo Sisi
Organizzato in otto sezioni tematiche, il percorso della mostra si svolge dagli anni ottanta del XIX secolo per giungere alla vigilia della prima guerra mondiale: un arco di tempo che segna il passaggio, nelle arti figurative, dai temi del Realismo e del Naturalismo alle poetiche del Decadentismo, alimentate, queste ultime, dalla scoperta dell’inconscio e dal suo straordinario apporto di suggestioni e immaginazioni.
La mostra – la prima dedicata all’arte del Simbolismo in Italia – presenta una selezione di opere fondamentali che raccontano l’avvincente tramonto del secolo nel segno di uno spiritualismo estetizzante favorevole al mito, al sogno, all’enigma, al mistero. Opere che, nel loro insieme, ricostruiscono l’acceso dibattito sulla missione dell’arte in anni di decisive mutazioni sociali; ed evocano, nello stesso tempo, la temperatura sentimentale che aleggiava intorno ai circoli letterari e filosofici governati da personalità del calibro di Gabriele D’Annunzio e di Angelo Conti, ai cenacoli musicali devoti a Wagner e impegnati in esperimenti sonori d’avanguardia, al grande laboratorio delle Esposizioni finalmente aperto ai movimenti europei e agli artisti, come Klimt e Böcklin, che diverranno esempi di vita artistica non convenzionale.
Proprio con una esposizione, la Triennale di Brera del 1891, si apre l’itinerario della mostra che presenta affiancate Le due madri di Giovanni Segantini e Maternità di Gaetano Previati, rara occasione di rivedere a confronto i quadri che sancirono, al loro apparire, la sintesi fra la tecnica del divisionismo e i contenuti simbolici che quello stile consentiva di rappresentare. La sezione che segue, dedicata ai ‘protagonisti’, riporta subito l’attenzione sui volti e sui temperamenti degli artisti italiani e stranieri che fra Otto e Novecento parteciparono direttamente a quell’avventura poetica intesa a superare le verità del naturalismo in favore di un’ ‘audacia ideista’ per molta parte debitrice dei movimenti d’oltralpe raccolti intorno al celebre Manifesto del 1886 di Jean Moréas e all’ “arte di pensiero”, che avrebbe maturato la condivisa poetica degli stati d’animo. “Un paesaggio è uno stato dell’anima” scriveva appunto Henry-Frédéric Amiel e a questo principio è ispirata la sezione della mostra che trattando del sentimento panico della natura espone opere dove prevalgono, nella rappresentazione del paesaggio, la nebbia, i bagliori notturni, la variabilità (continua e guarda la videointervista)